Il socialismo bolivariano non ha buona stampa in Italia, e neanche nel resto d’Europa. Per giorni viene sbattuto in prima pagina, attaccato con le più grossolane menzogne, poi resta consegnato al silenzio quando dimostra nei fatti di essere un “esperimento” vitale, malgrado gli inevitabili errori. Nessun lettore medio verrà informato che, in un paese chiamato Venezuela, a pagare la crisi del capitalismo non sono le classi popolari come invece succede nell’Europa governata dal neoliberismo, dove le destre xenofobe avanzano.

In Spagna, in Francia e in Italia, se non paghi il mutuo alle banche, ti tolgono la casa. Se occupi le case sfitte, uno spazio, un terreno incolto, ti mandano la polizia. Se protesti perché non hai il lavoro e perché la pensione non basta per mangiare, ti possono anche mettere in galera. I servizi – luce, gas, acqua, raccolta della spazzatura, tasse scolastiche – si pagano cari. Non parliamo degli affitti (a Roma, due stanze, l’equivalente di uno stipendio), della benzina (oltre un euro e mezzo al litro) e del pedaggio dell’autostrada. E si potrebbe continuare.

I grandi potentati economici vogliono certamente mettere la mano sulle immense risorse (petrolifere, e non solo) del Venezuela, che per oltre il 70% vengono destinate al benessere del popolo. Ma temono anche il “contagio”, hanno paura dell’esempio che può diffondersi anche in Europa, riscattare la dignità dei popoli che è stata calpestata.

“Il socialismo è fallito”, dicono cercando così di esorcizzare la paura provata nel secolo delle rivoluzioni, a 100 anni dalla Rivoluzione d’Ottobre in Russia e a cinquanta dall’assassinio del Che in Bolivia. E a ogni nuova elezione – a cui si recano sempre meno persone – si affannano a ricattare il candidato che presenti un programma anticapitalista affinché prenda le distanze dal “castro-madurismo”. Più parlano di democrazia, più prendono le decisioni per decreto, ignorando il mandato popolare. Più parlano di pace, più preparano le guerre e le chiamano “guerre umanitarie”. Guerre classiche o per procura o di nuovo tipo: guerre economiche, finanziarie, mediatiche.

Contro il Venezuela, le bordate partono dagli Usa, dall’Osa di Almagro e dall’Europa. L’arrivo di Trump ha ringalluzzito la vena golpista delle destre venezuelane, che applaudono alle sanzioni imposte dal presidente Usa e spingono persino per l’intervento armato. Gli Stati Uniti – ha detto Trump con l’ignoranza che lo caratterizza – manterranno le sanzioni contro Cuba e Venezuela finché non verranno ripristinate “le libertà politiche e religiose”.

Il chavismo ha vinto le elezioni regionali portando a sé 18 Stati su 23? “Per noi non cambia niente”, ha dichiarato il ministro degli Esteri spagnolo: i paesi dell’Unione Europea (UE) hanno già raggiunto un accordo unanime per preparare “sanzioni selettive” contro personalità venezuelane considerate responsabili della “repressione”.

Chi sanzionerà Rajoy per la repressione in Spagna, o Renzi per quella in Italia? Qui in Italia, con i soldi dei contribuenti, sono stati invitati i rappresentanti delle destre venezuelane, invitati in Parlamento o accompagnati a conferenze internazionali, premiati e riveriti mentre imponevano violenze e devastazioni al popolo venezuelano. Alcune parrocchie di periferia stanno diventando centri di propaganda per le destre venezuelane, che hanno le porte spalancate nelle accademie e nei luoghi di cultura istituzionali. La grande stampa dà voce a italiani che tornano per dire che “il comunismo sta affamando le persone”.

Nessuno spiega quanto sia scandaloso che quegli italiani, dopo aver fatto fortuna in Venezuela, vorrebbero farsi pagare le pensioni col parametro di Dollar Today. Nessuno racconta il ruolo di molti imprenditori italiani, spagnoli, portoghesi nell’accaparramento e nella guerra economica. Nessuno spiega quanto abbiano speculato le compagnie aeree con il traffico dei finti biglietti che serviva a portare denaro all’estero col pretesto dei viaggi, e che ora vorrebbero essere pagate secondo il mercato del dollaro parallelo.

La menzogna che questi media ci raccontano è quella di uno “stato fallito”, di un narco-stato diretto da dirigenti corrotti e incapaci.

Per questo, amplificano le denunce dell’ex Procuratrice Generale Luisa Ortega, che ha trovato ascolto presso i più impresentabili capi di Stato che hanno fatto della corruzione e della repressione moneta corrente dei loro governi neoliberisti. Per questo, squalificano le istituzioni bolivariane, in pieno stile neocoloniale, essendo l’Italia il paese di Colombo e delle sue Caravelle.

Per questo, una certa sinistra italiana dà credito alle voci stonate di alcuni personaggi che si definiscono “chavisti critici”, per propagandare un miscuglio tra indigenismo e neoliberismo, ignorando le decisioni sovrane delle popolazioni indigene, che hanno votato per l’Assemblea Nazionale Costituente e ora, per esempio, in Amazonas.

Nei giorni che hanno preceduto le elezioni regionali in Venezuela, i media mainstream si sono esercitati a sparare sondaggi, tutti sfavorevoli al chavismo, pronosticandone per l’ennesima volta la fine. “Maduro ha i giorni contati”, titolavano inanellando errori grossolani, dati manomessi e un’ignoranza crassa sulla storia del paese. Forse per questo l’Alto Rappresentante all’Ue Federica Mogherini si è detta “stupita” del successo chavista alle regionali.

Riportiamo qui una delle tante “perle” dell’Ansa-Ap: “Il Venezuela è al voto oggi in un’elezione amministrativa che potrebbe riconsegnare, dopo quasi cent’anni dall’inizio dell’era chavista, la maggioranza dei 23 governatorati del paese all’opposizione, coalizzata nel Tavolo di Unità Democratica (Mud) che ha già la maggioranza dei seggi nel parlamento nazionale. Il voto, che chiama 18 milioni di aventi diritto, è considerato dagli osservatori un banco di prova per la tenuta del potere chavista, che scivola sempre più verso la dittatura. L’opposizione lo considera viziato dalle stesse irregolarità che avrebbero contraddistinto il voto legislativo, anche se i sondaggi indicano che i candidati d’opposizione hanno serie chance di imporsi in 15 Stati su 23, con possibili vittorie in altri 5”. Una sequela di evidenti (e interessate) e grossolane incongruenze. “Cento anni” di chavismo? Chavez era del 1954, ha vinto le elezioni nel 1998 ed è morto nel 2013. Ma se il voto era “viziato” nel 2015, come ha fatto l’opposizione a ottenere la maggioranza in Parlamento? Eccetera eccetera…

Tutto questo per screditare la legittimità delle istituzioni bolivariane e preparare l’entrata in scena di un governo parallelo, avallato dalla grottesca investitura di altri magistrati del Tsj, decisa dall’OSA di Luis Almagro.

L’uruguayano Almagro si comporta da candidato alla presidenza… del Venezuela. Detta la linea ai suoi protetti dell’opposizione venezuelana in base ai desideri del padrone nordamericano: “Non è più tempo di risoluzioni o dichiarazioni – ha dichiarato dopo la vittoria chavista del 15 ottobre – l’opposizione dovrà unirsi alla gente e ai pochi leader che hanno capito che la cittadinanza del Venezuela chiede libertà e non è disposta a seguire le regole della dittatura”. Un invito neanche troppo mascherato al colpo di stato?

Il “ministero delle colonie”, come giustamente lo ha definito a suo tempo Fidel Castro, sta organizzando infatti nuovi attacchi contro il socialismo bolivariano”. Il Tsj – titolano i giornali europei – lavorerà “con l’Oea, con Washington e con la Colombia”. Il Tsj illegittimo, ovviamente, perché quello vero sta continuando a compiere la sua funzione di organo di equilibrio dei cinque poteri costituzionali.

L’Europa – ha denunciato il deputato spagnolo Couso – si prepara a non riconoscere i risultati del 15 ottobre. A quando un referendum secessionista negli stati di frontiera del Venezuela? Di sicuro, a Maduro non sarebbe consentito neanche un grammo della repressione scatenata da Rajoy in Spagna contro gli indipendentisti catalani. La “democrazia” che piace a Washington resta quella del “cagnolino simpatico” che scodinzola nel cortile di casa degli Usa. Vogliamo che sia anche la nostra?