La scorsa settimana ho avuto l’immenso piacere di intervistare Beatrice Fihn della Campagna Internazionale per l’abolizione delle armi nucleari. Verso la fine dell’intervista lei ha dichiarato abbastanza chiaramente che nessuno penserebbe mai di costruire ponti verso il nazismo e creare consenso rispetto al fatto di essere un po’ nazista, quindi perché dovremmo cercare di costruire ponti verso chi vorrebbe continuare a mantere il mondo armato con nucleari ?

Penso che Beatrice sia rimasta scioccata dall’effetto della sua forte e franca dichiarazione, dato il suo seguente commento su twitter:

Disclaimer: Non penso che le persone che criticano  la messa al bando delle armi nucleari siano naziste. Mi sono lasciata trasportare :o)

Beatrice Fihn (@BeaFihn) 8 Settembre 2017

Nel mondo d’oggi, chiamare qualcuno nazista è quasi la cosa  peggiore che si possa dire, come usare il termine “negro” per definire un afro-americano: una parola così forte che non può neanche essere scritta. Comunque, se guardiamo più in profondità ciò che lei dice, possiamo trovare che in realtà il paragone è abbastanza corretto e giustificabile.

L’accusa di nazismo deriva dal fatto che non solo i nazisti furono responsabili dell’Olocausto,  di una malvagità e dimensione incomprensibile, ma anche della Seconda Guerra Mondiale, che da sola fece 60 milioni di vittime, ossia un 3% della popolazione mondiale.

Questo tipo di omicidio di massa su scala industriale oggi sembra impensabile. Eppure, coloro che promuovono le armi nucleari come mezzo utile alla pace e alla sicurezza non vedono l’incoerenza delle loro argomentazioni.

Il più autorevole studio effettuato sulle conseguenze umanitarie delle armi nucleari è stato condotto dall’associazione internazionale dei Medici per la Prevenzione della Guerra Nucleare, nella lrelazione “Disastro nucleare: due miliardi di persone a rischio” preparata dal Dr. Ira Hefland nel novembre 2013.

Rivediamo di nuovo i punti più salienti di quello studio

In una guerra nucleare limitata al Pakistan e all’India, in cui 50 bombe vengano sganciate da ogni nazione, nell’atmosfera  verrebbero lanciata una quantità di fumo e polvere sufficiente a causare un inverno nucleare in cui:

– La produzione americana di mais diminuirebbe in media del 10% per dieci anni. La soia subirebbe un effetto simile.

– La produzione cinese di riso di metà stagione diminuirebbe, in media, del 21% per quattro anni e passerebbe al 10% in meno per altri sei anni.

– La produzione invernale cinese di grano diminuirebbe del 31% per dieci anni.

– Il numero di persone malnutrite nel mondo passerebbe a 215 milioni, aggiunti agli odierni 870 che vivono con meno di 1750 calorie al giorno.

– In Cina un miliardo di persone rischierebbe la fame.

A questi due miliardi di persone a rischio carestia (circa il 25% della popolazione globale in confronto alla Seconda Guerra Mondiale) va aggiunto il fatto che il mondo smetterebbe semplicemente di funzionare come funziona adesso. Il commercio globale si fermerebbe e non esisterebbe più la fiducia: nessuno comprerebbe beni nè azioni. Nessuno comprerebbe l’oro, cibo e medicine diventerebbero le nuove monete. Ci sarebbero guerre locali e violenze su larga scala. Le centrali nucleari danneggiate dalla guerra si fonderebbero ed esploderebbero, rilasciando il loro veleno radioattivo nell’atmosfera. La civiltà umana si fermerebbe.

I dati della relazione sono stati presentati negli ultimi 5 anni in numerose conferenze e, per quanto ne so, nessuno li ha messi in discussione, o ha cercato di minimizzarli.

E’ questo il tipo di informazioni che ha portato alla stesura del Trattato di messa al bando delle armi nucleari, che sarà aperto alla sottoscrizione il 20 settembre durante le riunioni dell’Assemblea generale dell’ONU.

Sin dal momento della sua approvazione, i diplomatici di USA, Francia e Gran Bretagna hanno subito dichiarato ai media “Non abbiamo intenzione di firmare, ratificare o partecipare a questo trattato.”

Hanno aggiunto: “L’adesione al trattato per la messa al bando delle armi nucleari non è compatibile con la politica della deterrenza nucleare, che è stata essenziale nel mantenere la pace in Europa e in Asia settentrionale per oltre 70 anni”.

Ma cos’è la deterrenza nucleare di cui parlano? Vediamo.

L’argomentazione più convincente contro la deterrenza nucleare è stata scritta da un autore americano, Ward Wilson, nel suo eccellente libro “Cinque miti sulle armi nucleari”. Egli distrugge sistematicamente non solo il mito per cui le bombe di Hiroshima e Nagasaki portarono il Giappone ad arrendersi alla fine della Seconda Guerra Mondiale, ma anche gli argomenti usati a supporto della deterrenza nucleare.

Chiediamoci: questa deterrenza ha impedito alla Russia di installare bombe a Cuba?

Le guerre della Corea, del Vietnam, dell’Iraq e delle Falklands non sono state prevenute grazie al possesso di armi nucleari.

La ripetizione dogmatica della “deterrenza nucleare” da parte degli stati detentori di armi nucleari ha più a che fare con la presunzione legata alla capacità  di distruggere il pianeta, che con la reale preoccupazione per la sicurezza dei loro cittadini.

Così, non appena il Trattato di messa al bando si potrà firmare, noi che ci opponiamo alle armi nucleari abbiamo l’obbligo di sottolineare questi fatti e quando ci imbattiamo in quelli che vorrebbero mantenere le armi nucleari, dobbiamo chiedergli: in quale scenario le userebbero?

Perché una sola bomba nucleare lanciata su New York, Londra, Parigi, Mosca, Pechino, Mumbai o Karachi sarebbe in grado di uccidere 6 milioni di persone. E questo dato giustifica il paragone con il nazismo.

Traduzione dall’inglese di Annalaura Erroi