Avevo già capito che i posti per il paradiso erano pochi, mentre l’inferno era aperto a tutti. E fin da piccolo giurai a me stesso che nella vita avrei lottato con tutte le mie forze per salire in paradiso. Ancora, però, non sapevo che sarei sceso solo all’inferno.
Dal libro di Carmelo Musumeci “Angelo SenzaDio” disponibile su  https://www.amazon.it/Angelo-SenzaDio-Carmelo-usumeci/dp/1544016441/ref=asap_bc?ie=UTF8

Ciao Carmelo,
stasera è una di quelle serate in cui il cervello vola verso altri orizzonti che sono sempre lontani dall’immaginario comune. A volte mi sembra di vivere due vite, una in cui mi sembra di essere come tutti gli altri, e l’altra in cui mi sembra di essere perennemente in uno stato di prigionia. Le due vite non si incontrano mai, perché ancora, dopo tanti anni che sono uscita dal carcere, non sono riuscita mai a spiegare alle persone care che cosa significhi essere privati della libertà. Allora mi sembra una doppia prigionia, quella fisica e quella mentale, perché sono convita che detenuti si rimanga tutta la vita e, nonostante tu faccia di tutto per cancellare quel brutto ricordo, succederà una bella notte che sognerai la guardia che ti sveglia con la torcia, oppure sentirai il rumore delle chiave che ti ronza nella mente. Quando aprirai gli occhi penserai: “meno male che è solo un sogno!”. Ma, in realtà, non è così perché in Italia in galera ci finisci sempre due volte: la prima da presunto innocente e la seconda da condannato. Poco importa se nel mezzo una persona si ricostruisce una vita, perché la legge è questa e non ci sono altre vie d’uscita.

Rieducazione, reinserimento e altro ancora diventano un lontano miraggio perché, come in tutte le cose che contraddistinguono il nostro modo di essere, nessuno è realmente interessato alla sofferenza altrui. Se dovessi raccontarti la mia vita in una sola parola potrei usare il termine “diversa”, perché è così che mi sento ora che ho quasi trent’anni. Ed è stato così anche da bambina quando, invece di giocare con le amichette, mi piaceva aiutare gli altri. Così sono cresciuta, senza malizia e nella convinzione che se fai del bene ottieni lo stesso. Ma nulla è stato come pensavo. Dopo quello che ho vissuto, ho perso fiducia negli esseri umani, ma soprattutto ho capito che esiste una certa tendenza a “godere delle sofferenza altrui” che mi spaventa tremendamente.

Ti scrivo questo perché ti penso molto spesso, penso molto spesso alle parole che ci siamo detti nel corso di quel pomeriggio passato insieme. Mi rendo conto di come siano complesse le relazioni umane e di come basti davvero un piccolo gesto per cambiare una vita; nel tuo caso possiamo dire per sempre (…ma anche nel mio). Credimi, se fosse per me potrei riempire le mie giornate di seminari sul carcere, sull’ergastolo o su qualsiasi argomento che parli di “umanità”, ma mi sto rendendo sempre più conto che nelle persone c’è solo una terribile voglia di trovare “il cattivo” e poca voglia di capire il perché di molte cose. Vivo questa frustrazione quotidianamente e la cosa che mi fa più male è vedere alcune mie colleghe (che studiano servizio sociale!)  che mi dicono di stare dalla parte delle vittime e non dei carnefici. Ti rendi conto del livello in cui siamo arrivati? Dopo anni di istruzione ci sono persone che ancora non sono in grado di sviscerare le situazioni, ma si sentono in diritto di poter giudicare e condannare. Sono sempre più convinta che, se raccontassi a qualcuna di queste future assistenti sociali qualcosa del mio passato cambierebbero subito idea di me.

Ma io mi chiedo: è mai possibile che uno debba vivere in eterno con questa stima? Ma come si fa a sentirsi liberi davvero quando le persone ti ricorderanno per quello che tu hai fatto 10 anni fa e non per quello che fai oggi?

Ti ammiro Carmelo perché ci sono delle volte che vorrei solo piangere, ci sono delle volte che non ho più voglia di lottare e di spiegare le mie ragioni. Come fai? Come hai fatto a trovare dentro di te tutta questa forza e tutta questa pazienza di amare il prossimo? Forse sono domande banali, ma meritano una risposta che sia ripetuta quotidianamente.

Mio papà, quando ero piccola, mi diceva sempre: tu devi lottare per essere libera, per poter essere quello che desideri e per poter fare quello che ti piace. Ma la libertà si paga sempre a caro prezzo; a volte per guadagnartela la devi perdere del tutto!

Non so l’inferno che hai passato, l’ho letto dai tuoi libri, ho cercato di capirlo fino in fondo, ma solo tu puoi essere testimone della tua sofferenza. Quello che posso dirti però è che questo incontro mi ha cambiato la vita. Non sapevo nemmeno che cosa fosse l’ergastolo finché un giorno non ho letto della presentazione del libro tuo e di Pugiotto a Firenze, e da lì è iniziato il mio viaggio. Ti ringrazio di tutto, di ogni singola parola che ci siamo scambiati, della tua dolcezza nel raccontare le cose, della tua accoglienza, della tua voglia di donarmi in po’ di te stesso, del tuo interesse verso tutti noi studenti e di tante altre cose che porto nel mio cuore. E se penso che ti “abbiamo” (perché questa è una colpa che tutti abbiamo a livello societario) tolto tutti questi anni di vita, mi sento profondamente in colpa e mi sento in dovere di chiederti scusa per non aver fatto molto per cambiare le cose. Perché è giusto che le cose cambino ed è giusto che nessuno muoia in carcere senza la speranza di poter uscire.

Concludo dicendoti che sei sempre nei miei pensieri, perché se qualcuno mi chiedesse oggi cosa significhi essere libero io penserei a te, perché sei un esempio di intelligenza e di libertà interiore.
Ciao Carmelo un abbraccio forte e un sorriso.

Ciao Anna,
sul treno che prendo al mattino quando esco dal carcere ci sono molti ragazzi che vanno a scuola. Questa mattina alcuni di loro si passavano la palla con le mani e alcuni passeggeri li guardavano male. Io, invece, sorridevo loro e quando la palla per caso è andata a sbattere sul mio posto a sedere, l’ho raccolta e, con timidezza, mi sono messo a giocare con loro. Quando prendo il treno, mi siedo sempre nel posto vicino al finestrino. A differenza degli altri passeggeri che guardano il loro telefonino, io mi metto ad osservare il panorama che sfreccia davanti a me. E mi viene in mente con tristezza quando mi trasferivano da un carcere all’altro con le manette ai polsi e vedevo la libertà solo dai fori della parete del blindato.

Ieri notte, un mio compagno che ha continuamente paura del terremoto, ci ha svegliato alle due di notte perché aveva sentito la branda tremare. Io non sentito nessuna scossa e gli ho detto di spegnere la luce e di mettersi a dormire tranquillo perché le carceri, a differenza delle case, le costruiscono solide e tutte in cemento armato per non fare scappare i prigionieri.

Non c’è nulla da fare: alla sera, appena passo la porta dell’Assassino dei Sogni, sento l’inconfondibile puzza di ogni prigione in cui sono stato: l’odore di dolore. Al mattino, quando arrivo nella struttura dove lavoro, mi faccio subito una doccia per levarmelo di dosso.

Poco tempo fa sono stato qualche giorno in licenza da mio figlio e ho avuto la conferma che in alcuni casi i “cattivi” cambiano, ma i buoni non cambiano mai. Infatti una notte, alle due in punto, la polizia ha suonato il campanello per controllare se ero in casa. Mio figlio è venuto in camera a svegliarmi ed insieme a lui si sono alzati anche i miei due nipotini. Questa visita fuori luogo e fuori orario mi ha ferito perché ho capito che per molti rimarrò sempre l’uomo del reato. Inoltre, mi è dispiaciuto soprattutto per mio figlio perché immagino abbia rivissuto la notte in cui sono venuti ad arrestarmi.
L’indomani, per la prima volta nella mia vita, sono andato a prendere a scuola i miei nipotini e l’ultimo giorno di licenza l’ho trascorso solo con loro. Così mi sono messo da parte nel mio cuore le belle emozioni che ho provato, per i giorni tristi che verranno. Purtroppo sono sicuro che verranno perché il mio fine pena, anche se di giorno uscirò dal carcere, rimarrà sempre il 9.999.

Luglio 2017
www.carmelomusumeci.com