E’ una delle riforme sull’immigrazione più attese nel panorama legislativo europeo, ma la strada per arrivare a un nuovo Regolamento Dublino potrebbe essere tutta in salita. Da mesi nel Parlamento europeo la Commissione Libertà civili, giustizia e affari interni (Libe) sta lavorando per arrivare a un testo congiunto. La relatrice della riforma è l’eurodeputata svedese Cecilia Wikstrom (gruppo Alde), che ha già depositato un testo, su cui sono piovuti 1021 emendamenti da tutti gli schieramenti politici. Tassello dopo tassello, la revisione va avanti, e potrebbe concludersi già entro l’estate: in Commissione si dicono, infatti, tutti fiduciosi sulla possibilità di arrivare a un accordo. Più difficile sarà superare lo scoglio del Consiglio europeo, formato dai leader degli Stati membri dell’Ue. Qui c’è il blocco del Visegrad formato da paesi apertamente ostili all’accoglienza dei migranti (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia), che supportati dall’Austria, fanno muro per far saltare l’impianto della riforma.

I punti chiave della riforma. Il Regolamento Dublino, che definisce in particolare la competenza degli Stati nelle richieste d’asilo, è entrato in vigore nel 1999. Nel corso degli anni è stato riformato tre volte. Tra i nodi principali del Regolamento Dublino III, attualmente in vigore, c’è il principio secondo cui sono i paesi di primo approdo a doversi far carico della domande di protezione internazionale di chi arriva: una norma che grava in particolare sui paesi di frontiera (come Italia e Grecia). Ed è proprio questo uno dei punti più controversi. Se nella prima formulazione del testo, infatti, l’intero controllo di ammissibilità delle richieste di protezione internazionale era ancora lasciato ai paesi di primo approdo, nel nuovo testo la norma è stata soppressa con un emendamento per evitare “l’onere supplementare per gli Stati membri in prima linea”, che “disincentiverebbe tali Stati dal registrare correttamente i richiedenti, incoraggiando così i movimenti secondari”. Agli Stati di frontiera, resterà invece l’onere della registrazione e dell’identificazione dei migranti. Per il funzionamento del nuovo regolamento, sarà centrale dunque il principio di solidarietà: “ogni stato membro deve assumersi una quota di responsabilità – spiega la relatrice Wikstrom -. Non possiamo accettare che siano solo alcuni, tra i 28, ad assumersi l’onere. La solidarietà dovrebbe essere un elemento permanente – sottolinea – . L’unione europea non è un buffet dove ognuno può scegliere quello che vuole”. Una volta arrivati e identificati, i migranti e i richiedenti asilo verranno trasferiti in uno dei 28 paesi Ue, ogni Stato dovrà assicurare accoglienza a una quota stabilita di richiedenti asilo. Solo per gli stati che hanno meno esperienza di immigrazione si prevede un programma scaglionato di arrivi (raggiungeranno la quota totale in 5 anni).

Tra le altre novità della riforma c’è l’allargamento del legame di parentela anche ai fratelli e sorelle dei richiedenti, per aumentare e facilitare i ricongiungimenti familiari. Il sistema di relocation (che oggi va a rilento) verrà reso automatico e permanente: i migranti non potranno scegliere il paese di destinazione ma si terrà conto dei legami del richiedente asilo con un particolare paese (non solo legami amicali e di parentela ma anche conoscenza della lingua e passate esperienze sul territorio). L’obiettivo è scoraggiare i cosiddetti movimenti secondari: cioè il fatto che le persone si spostino da un luogo all’altro per raggiungere il paese prescelto. “Gli standard di accoglienza devono essere accettabili ovunque, non dobbiamo permettere che si creino delle diaspore in tutta Europa. L’attuale sistema favorisce i movimenti secondari – aggiunge Wikstrom -. Il sistema va armonizzato perché oggi non funziona in nessun paese dell’Unione, neanche nei paesi che hanno ricevuto maggiori richieste d’asilo come la Svezia e la Germania. Qui l’accesso alla protezione ha ormai tempi lunghissimi, c’è molto lavoro inevaso”. La riforma prevede anche un grado di tutela maggiore per i minori non accompagnati e il diritto all’informativa legale per i migranti. Sul fronte delle sanzioni, invece, inizialmente si prevedevano multe ai paesi anti-immigrati: 250 mila euro a richiedente asilo non accolto. Ma la proposto è stata bocciata perché secondo molti era “poco etico” dare un prezzo alla vita delle persone, l’idea ora è invece quella di intervenire sui fondi strutturali che verrebbero tagliati ai paesi che non vogliono entrare nel sistema delle quote. Una sanzione era prevista anche per i migranti che lasciano il paese a loro destinato: l’idea era di farli uscire dal sistema di accoglienza, ma anche questa formula è stata ridiscussa, perché considerata troppo punitiva.

“Per ballare il tango ci vogliono due persone”: lo scoglio del Consiglio europeo. Emendamento dopo emendamento il lavoro della Commissione, va avanti e potrebbe concludersi entro l’estate. “Ora siamo ora nella fase dei compromessi – spiega Wikstrom – Una volta finito di analizzare gli emendamenti avremo la posizione del Parlamento. All’interno del Parlamento sono fiduciosa che riusciremo a risolvere le nostre divergenze per arrivare a una posizione comune – aggiunge -. Solo allora saremo pronti per avviare i negoziati con il Consiglio, in altre parole con gli Stati membri perché il Consiglio è rappresentato dai leader dei vari paesi. Ed è qui che subentreranno le difficoltà: sono tanti i governi nazionali che hanno difficoltà sul tema asilo e immigrazione”. Wikstrom afferma chiaramente che il Parlamento non accetterà “idee folli che arrivano dagli stati membri” né un testo che non modifichi realmente la situazione. “Nel 2015 il sistema è completamente crollato: prima era in rianimazione, ora è definitivamente morto – spiega – Se gli stati di frontiera come l’Italia e la Grecia devono assumersi tutte le responsabilità vuol dire che c’è qualcosa che non funziona. Noi ci rimbocchiamo le maniche per chiudere al più presto, ma c’è sempre qualcuno che si frappone. Anche prima della pausa estiva si potrebbe passare al voto alla Libe, ma non sarà facile arrivare alla fine. Per ballare il tango ci vogliono due persone, l’altra istituzione si è impuntata in diverse riunioni con proposte sul principio di solidarietà che sono state cestinate”. L’ipotesi, non troppo velata, che circola nei corridoi del Parlamento è che il Consiglio voglia far saltare il tavolo della trattativa. A fare muro sono in particolare i paesi dell’Est, il cosiddetto gruppo di Visegrad, sostenuto dall’Austria. “Sappiamo che questi paesi non vogliono rifugiati: sfortunatamente rappresentano una minoranza di blocco – spiega ancora Wikstrom -, il Consiglio non deve prendere una decisione all’unanimità ma deve arrivare a una maggioranza qualificata. E auspico che questo accade, anche se c’è molto da fare. Il Consiglio è colegislatore quindi serve la collaborazione di tutti. Dal canto nostro, come Parlamento, non accetteremo mai, un sistema che possa essere fallimentare fin dall’inizio. Non scenderemo a compromessi solo per arrivare a un accordo – conclude -. Dobbiamo far sì che tutti gli stai membri abbiano l’obbligo di partecipare equamente all’accoglienza. Non possiamo legiferare la solidarietà ma possiamo creare normative che diano vita a reti di solidarietà”.

La posizione dei gruppi parlamentari. Su alcuni punti specifici i relatori ombra, che rappresentano i diversi gruppi del Parlamento europeo, stanno convergendo sulla proposta Wikstrom per presentarsi davanti al Consigli con una posizione comune. “Vogliamo questo nuovo regolamento, e pur se siamo su posizioni politiche diverse, concordiamo con la proposta della collega svedese – afferma Alessandra Mussolini europarlamentare di Forza Italia, relatrice ombra per il Ppe (Partito popolare europeo) -. Su Dublino dobbiamo essere più coraggiosi, perché la situazione in alcuni stati è terribile sia dal punto di vista umanitario che sul fronte sicurezza. Molti migranti non vogliono farsi identificare in Italia proprio a causa del regolamento Dublino. Bisogna rendere più diffusa tra gli stati membri la solidarietà”. Mussolini si dice pronta anche ad accettare l’idea del periodo transitorio di 5 anni per i paesi “non abituati ad accogliere” purché ci sia un’effettiva redistribuzione su tutto il territorio europeo. I conservatori dell’Ecr, invece, si dicono contrari all’abbandono del principio del primo paese di approdo e alla possibilità di sanzioni verso chi non accoglie. Diametralmente opposta la posizione dei socialisti. Per Elly Schlein, eurodeputata italiana di Possibile “chi fugge da persecuzioni non fugge verso uno Stato membro ma verso l’Unione europea: per questo chiediamo coerenza – afferma – è una vergogna che non siano stati rispettati gli impegni presi col programma di relocation”. Schlein propone anche un sistema di sponsorship, sul modello canadese, da parte di un’associazione o di un’organizzazione per favorire il trasferimento dei richiedenti asilo. Anche i Verdi, pur non condividendo alcuni punti, appoggiano la proposta dell’eurodeputata dell’Alde. Diverso il punto di vista di Laura Ferrara, relatrice ombra del gruppo Efdd: per l’eurodeputata del M5S la proposta Wikstrom non va nella direzione auspicata, perché “l’obiettivo è combattere l’immigrazione irregolare e i movimenti secondari, basandosi su una punizione ex post, senza incidere sulle cause”. “Bisognava introdurre un’alternativa cioè le vie legali all’ accesso in Ue” sottolinea. Ma se sulle singole norme si continua a discutere, nessuno sembra preoccupato che il Parlamento riesca a trovare la quadra su Dublino IV. Molto difficile sarà invece far sposare il testo al Consiglio: la redistribuzione degli oneri tra gli Stati è un principio che non interessa a troppi paesi dell’Unione.

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