Tra i diversi appelli che circolano in questi giorni, quello di Anna Falcone e Tomaso Montanari che propone un’alleanza popolare per la democrazia e l’uguaglianza, e lancia l’assemblea del 18 giugno a Roma per una sinistra unita, contiene elementi condivisibili, che possono essere terreno comune per coltivare e far crescere valori ed esperienze plurali con una prospettiva politica originale. Ringraziamo Anna e Tomaso per il lavoro fatto.
Tuttavia riteniamo che anche questo appello abbia bisogna di un’aggiunta. Che è tanto un’aggiunta preliminare, una pregiudiziale costitutiva che dà sostanza e fisionomia a tutta la proposta, quanto un punto programmatico fondativo e preliminare a tutti gli altri.
E’ l’aggiunta nonviolenta, senza la quale sarebbe forte il rischio di ricadere in schemi già visti, percorsi già fatti, errori già commessi. Nonviolenza come orizzonte e come metodo di lavoro.
L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro e che ripudia la guerra. Sono il primo e l’undicesimo principio fondamentale della Costituzione: gli assi portanti della nostra democrazia. Eppure, il nostro Paese è in Europa ultimo per l’occupazione giovanile e primo per l’aumento delle spese militari. Siamo di fronte al più grande riarmo del Paese dai tempi della seconda guerra mondiale (+85% in spesa pubblica per armamenti) e di fronte alla moltiplicazione per sei dell’export di armi negli ultimi due anni (che alimentano guerre che generano terrorismo e producono profughi). Negli ultimi 10 anni la spesa pubblica militare del nostro Paese è aumentata del 21% a fronte di continui tagli alla spesa sociale. Nel 2017 saranno sacrificati sull’altare della guerra altri 23,3 miliardi di euro, pari a 64 milioni al giorno, l‘ 1,4% del prodotto interno lordo che il governo si è impegnato a portare al 2% e non rinuncia all’acquisto degli 80 cacciabombardieri F35, a capacità nucleare, per un’ulteriore spesa complessiva di 14 miliardi di euro.
Tutto questo è follia. L’urgenza assoluta è quella di una inversione di questa tendenza.
Il disarmo, la riconversione sociale delle spese militari, la riconversione civile dell’industria bellica, così come la costruzione della difesa civile non armata e nonviolenta, devono essere il segno distintivo di un nuova politica. L’opposizione integrale alla guerra, e alla sua preparazione (qui ed ora), è la condizione preliminare per parlare di un orientamento diverso, di una nuova socialità.
La sinistra, per essere tale, ha bisogno di mettere al proprio centro politiche attive di pace.
Riproponiamo dunque l’appello di Carlo Cassola: “O la sinistra fa dell’impegno per la pace il terreno decisivo dello scontro tra civiltà e barbarie o rimane di destra anche se si proclama di sinistra”. Mai queste parole furono così attuali quanto oggi.
Democrazia e uguaglianza sono incompatibili con la preparazione della guerra. Per questo l‘unità della sinistra è una valore solo se si sostanzia come unità attorno alla politica di pace (cioè un “pacifismo concreto”, come diceva Alexander Langer, che aiuti “il settore R&S (ricerca e sviluppo) della nonviolenza a fare grandi passi avanti”).
E’ con questo spirito che saremo ben contenti di portare un contributo al programma costruttivo di una sinistra aperta, inclusiva, solidale, accogliente. La prima sfida, a partire già dal 18 giugno, sarà quella di applicare davvero il metodo della nonviolenza a partire da se stessi, dalla capacità di dialogo e di stare insieme andando oltre gli steccati, senza compilare elenchi di buoni e cattivi, nell’esclusivo interesse comune e di un Paese che altrimenti rischia di perdersi.
Mao Valpiana e Pasquale Pugliese
del Movimento Nonviolento
7 giugno 2017