Dopo averne esclusa più volte la possibilità, il primo ministro britannico Theresa May ha annunciato oggi a sorpresa il ricorso a elezioni anticipate da tenersi l’8 giugno (previa approvazione di una mozione che verrà presentata domani alla Camera dei Comuni). Una decisione, ha detto, presa con riluttanza “per garantire sicurezza e stabilità al paese” e uscire dal clima di divisione creato dalle opposizioni, accusate di indebolire la posizione britannica in previsione dei negoziati con l’Unione Europea per la Brexit.

In realtà la decisione ha ragioni molto meno “nobili”: innanzitutto la speranza di ottenere una maggioranza solida e compatta, un mandato forte da invocare nel corso delle trattative, facendo fuori i pochi conservatori rimasti contrari alla Brexit, ma da usare anche per continuare la spietata politica interna di tagli alle spese sociali.  E poi la possibilità di prendere in contropiede le opposizioni, approfittando dei sondaggi favorevoli al governo, giocando sulle loro divisioni interne e mettendole davanti al fatto compiuto: ovviamente tutti voteranno la mozione che indice le elezioni, per evitare di passare per ostruzionisti o timorosi di perdere.

La svolta di Theresa May costituisce anche un abile modo di sfruttare il clima di (illusoria) nostalgia imperiale che si sta diffondendo nel paese, illustrato da dichiarazioni quali: “Non abbiamo bisogno dell’Europa per i rapporti commerciali, perché possiamo contare sulla rete del Commonwealth e sui legami privilegiati con i paesi anglofoni” e dalla retorica guerresca della campagna “Giù le mani dalla nostra rocca” lanciata da tabloid conservatore “The Sun” contro i leader “impiccioni” dell’Unione Europea e della Spagna in difesa della Rocca di Gibilterra.

Le elezioni anticipate costituiscono comunque un’occasione e una sfida per chiarire le immagini del futuro del paese al di là di slogan vaghi e retorici. E questo vale soprattutto per i partiti di opposizione. L’estrema destra dell’UKIP si trova nella situazione paradossale per cui le sue proposte sono state adottate dai conservatori al punto da far cadere il motivo per votarla. I liberal democratici, usciti malconci dalle elezioni del 2015, sono stati i primi a reagire all’annuncio della May, presentandosi come i campioni dell’Europa e di un paese aperto e puntando chiaramente agli elettori che hanno votato per rimanere. Gli indipendentisti scozzesi devono fare i conti con una parte del loro elettorato, sia pure minoritaria, che ha votato per la Brexit e soprattutto con condizioni economiche peggiori di quelle che esistevano ai tempi del referendum per l’indipendenza di tre anni fa. Nel caso riescano a ottenere un secondo referendum devono quindi offrire un’immagine di futuro capace di convincere gli elettori che la Scozia starebbe meglio fuori dal Regno Unito (e dentro l’Europa).

La sfida più difficile riguarda i laburisti: come i nazionalisti scozzesi, anche loro hanno una base elettorale divisa tra favorevoli e contrari alla Brexit (cosa che li ha portati negli ultimi mesi ad apparire incerti e a volte contradditori). Inoltre scontano i danni d’immagine di un partito spaccato lasciati dalla feroce guerra scatenata negli ultimi due anni contro la leadership di Jeremy Corbyn dai parlamentari più centristi e “blairiani” e dalla maggioranza dei media.

Allo stesso tempo però la campagna elettorale offre l’occasione di riprendere l’ondata di attivismo, soprattutto tra i giovani, che ha consentito a Corbyn di vincere per due volte le primarie del partito e di insistere sulla disastrosa politica di tagli alle spese sociali (e in particolar modo al servizio sanitario nazionale) che continuerebbe se i conservatori vincessero di nuovo le elezioni. Dovranno sfatare l’appello retorico all’unità del paese per rafforzare la posizione del governo nei negoziati con Europa, che sarà senz’altro il leit motiv della campagna di Theresa May e compagni e mostrarlo per quello che è: un tentativo di distrarre l’attenzione degli elettori dalle crescenti disuguaglianze sociali e dall’impoverimento di gran parte della popolazione.

La prima reazione di Jeremy Corbyn all’annuncio delle elezioni anticipate sembra andare in questo senso. “Accolgo con favore la decisione del primo ministro di dare al popolo britannico la possibilità di votare per un governo che darà la priorità agli interessi della maggioranza. Il Labour offrirà al paese un’alternativa efficace a un governo che ha fallito nella ricostruzione dell’economia, non ha mantenuto le promesse sugli standard di vita e ha compiuto dannosi tagli alle scuole e al servizio sanitario nazionale.”