Ci risiamo. Era già accaduto con Monti, poi con Letta, a seguire con Renzi ed infine con Gentiloni. Diversi esponenti politici anche di primo piano hanno affermato che si tratterebbe di un governo illegittimo, poiché non è stato eletto dal popolo italiano.

Sorge spontanea la domanda: per fare politica è proprio necessario ignorare la Costituzione vigente? Perché basterebbe conoscere l’ABC delle norme costituzionali per sapere che la “sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione” (art. 1) e che la seconda parte della Carta (di cui a lungo si è discusso in vista del referendum) non prevede che il governo sia eletto dal popolo. Infatti, l’art. 92 stabilisce che “il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta di questo, i Ministri”, mentre l’art. 94 afferma che “il governo deve avere la fiducia delle due Camere”.

Pertanto, in Italia dal 1948 non ci sono mai stati governi o Presidenti del Consiglio eletti dal popolo. I cittadini italiani votano per eleggere i propri rappresentanti in Parlamento, i quali possono dare o revocare la fiducia al governo. Fa parte delle prerogative del Presidente della Repubblica la libertà di scegliere la persona alla quale affidare l’incarico per cercare di formare un governo. Fino a prova contraria, l’Italia è anzitutto una Repubblica parlamentare (e non governativa).

Detto questo, si può discutere del problema relativo alla legittimità dell’attuale Parlamento e di conseguenza di tutti i governi che hanno ricevuto la sua fiducia. Non va dimenticata, infatti, la sentenza della Corte Costituzionale n. 1 del 2014, che ha dichiarato incostituzionali alcune parti della precedente legge elettorale (detta “porcellum”), con la quale sono stati eletti i parlamentari in carica: “Le assemblee parlamentari sono sedi esclusive della rappresentanza politica nazionale, si fondano sull’espressione del voto e quindi della sovranità popolare, ed in virtù di ciò ad esse sono affidate funzioni fondamentali, fra le quali vi sono, accanto a quelle di indirizzo e controllo del governo, anche le delicate funzioni connesse alla stessa garanzia della Costituzione (art. 138 Cost.)”.

Alla luce di questa sentenza è stato giustamente sottolineato che l’attuale Parlamento avrebbe dovuto evitare di porre mano alla revisione costituzionale, visto che non esiste alcun obbligo di procedere in tal senso. Discorso opposto si potrebbe fare per le funzioni “di indirizzo e controllo del governo”, poiché “le Camere sono organi costituzionalmente necessari ed indefettibili e non possono in alcun momento cessare di esistere o perdere la capacità di deliberare”. In altre parole, l’attuale Parlamento nasce con un vizio costituzionale, da tenere ben presente per le deliberazioni “straordinarie”, ma che non può inficiare il funzionamento delle istituzioni vigenti, sulla base del “principio fondamentale della continuità dello Stato, che non è un’astrazione e dunque si realizza in concreto attraverso la continuità in particolare dei suoi organi costituzionali: di tutti gli organi costituzionali, a cominciare dal Parlamento”.

Pertanto, un governo può essere sostenuto o contrastato dalle forze parlamentari, ma non può certamente essere considerato illegittimo. Confondere la normale dialettica politica con l’applicazione delle norme costituzionali è un grave errore. È essenziale che nel regime democratico tutti gli attori politici si riconoscano nelle regole comuni, a cominciare dalla Costituzione. Quando ciò non accade, ci si assume la responsabilità di lacerare la trama sulla quale è possibile costruire la convivenza nella diversità. Non riconoscere la legittimità di un governo significa disconoscere la Costituzione vigente. Il fatto che in questa operazione siano oggi in prima fila partiti che nella recente campagna referendaria si erano schierati a difesa della Costituzione mostra quanto la politica italiana sia strumentale.

Una sana e robusta cultura costituzionale esige rispetto delle regole e coerenza di principi. Il problema dell’Italia non è cambiare la Costituzione, ma – come scriveva Giuseppe Dossetti – “comprendere in profondità i suoi princìpi fondanti”. Abbiamo ancora molto da imparare.