Una chiara politica e un framework legale restrittivo, trasparente e monitorabile per l’utilizzo dei droni armati. Questo è quanto è emerso dal seminario internazionale tenutosi a Roma il 24 novembre presso l’Istituto Luigi Sturzo e organizzato dalla Rete italiana per il Disarmo e da Archivio Disarmo.

Un’azione necessaria richiesta a gran voce dalla società civile al mondo politico al fine di attivarsi nella redazione di un quadro normativo di riferimento capace di regolamentare la complessa gestione dei droni armati.

Certo, da nonviolenti attivi e pacifisti ci sembra quasi aberrante dovere persino pensare all’esistenza di armi così letali e immorali e ci sconforta assistere invece alla loro crescente proliferazione a livello mondiale.

Ci piacerebbe piuttosto assistere e accompagnare politiche di disarmo e strategie di riconciliazione nonviolenta. Ma le classi dirigenti mondiali, sotto la spinta del business delle armi e quella dell’insensatezza dei poteri forti, stanno invece correndo sempre più alla corsa agli armamenti e alla loro massima tecnologizzazione. Così è nostro dovere preoccuparci di pretendere trasparenza e una strutturazione giuridica solida e perentoria per farci garanti, almeno noi, del diritto alla proprietà della vita e dei diritti umani.

Come emerso dall’incontro capitolino che ha avuto il grande merito di mettere attorno allo stesso tavolo esperti del settore militare, giornalisti, ricercatori, politici e società civile, allo stato attuale c’è una grave mancanza di chiarezza nella strategie d’utilizzo dei droni armati.

Sembra scontata la loro illegittimità soprattutto quando se ne fa ricorso al di fuori di territori in guerra e quando il loro uso improprio genera le cosiddette esecuzioni mirate.

I “danni collaterali” esistono eccome, la famiglia Lo Porto se ne sa qualcosa, anche se i dati numerici esistenti risultano essere imprecisi e divergenti.

Cosicché da un lato abbiamo le fonti statunitensi che stimano intorno al 3-4% il margine di errore dei droni mentre è di 11% quello stimato da altre fonti indipendenti come il Bureau of Investigative Journalism (BIJ). In tale contesto di segretezza e di opacità le stime del BIJ parlano di circa 900 civili uccisi, tra cui 200 minori, dai droni statunitensi nel solo 2011. Alcune estimazioni apprezzano a 73% le vittime civili a seguito di azioni di esecuzioni extragiudiziali mirate eseguite da droni armati.

Tali indecorosi scenari di gioco alla morte e di uccisioni resi operativi da un soldatino armato di joystick vengono poi appesantiti dal gravissimo vuoto di responsabilità e d’impunità.

Come dimenticare a tal proposito le responsabilità impunite e persino censurate del premio nobel per la Pace Barack Obama? Come non parlare dei suoi mandati che hanno promosso ed esaltato l’utilizzo dei droni armati?

Le prudenti stime della New American Foundation parlano di un numero compreso tra 150 e 500 civili uccisi per mano dell’amministrazione Obama. Se lo stimato presidente Obama ha silenziosamente giocato il ruolo di decisionista dei targeted killings, che destino toccherà al mondo con Donald Trump?

Di certo gli States sono la potenza internazionale per eccellenza in materia di droni armati, ma è bene sapere e sottolineare che, anche per via del “basso” costo e della facilità di reperimento, la loro proliferazione a livello internazionale, e non solo tra Stati riconosciuti, impone con maggior urgenza una rilevante azione d’inquadramento normativo e di monitoraggio.

Come se non bastasse, la necessità di fare chiarezza in breve tempo è anche legata alle nuove strategie di guerra che hanno finito con l’attribuire al drone armato una doppia modalità di utilizzo: da un lato quello per il controllo del territorio e dall’altro la pratica sistematica degli omicidi mirati.

E l’Italia?

Per un verso il Belpaese continua a convivere con un matrimonio forzato e ereditato storicamente, quello rappresentato dalla base di Sigonella dalla quale oggi partono i droni armati US all’interno di un semi sconosciuto quadro normativo, apparentemente restrittivo, in cui però sembrano difficili le verifiche e i controlli. Per un altro verso, dopo la benedizione americana dello scorso anno, anche il nostro paese ha deciso di dotarsi di droni armati che potrebbero essere operativi entro un paio di anni secondo il Generale Vincenzo Camporini, vicepresidente dell’Istituto Affari Internazionali (IAI) ed ex capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica e della Difesa.

Da qui la preoccupazione da parte di Rete Disarmo e Archivio Disarmo e la volontà di mostrare la via con un primo atto, il seminario internazionale, volto a informare e a sensibilizzare l’opinione pubblica, unica forza di contrappeso alle follie dei governanti, e contestualmente volto ad aprire il dialogo con le forze politiche affinché possano prendere consapevolezza e possano infine costruire rapidamente un dispositivo molto restrittivo sia a livello normativo che di monitoraggio.

Durante il seminario internazionale abbiamo raccolto le riflessioni e le testimonianze di alcuni relatori che potrete ascoltare nel video qui sotto