Le 13 donne che, da diverse parti del mondo, si erano imbarcate sulla  barca Zaytouna-Oliva della Freedom Flotilla per superare il blocco navale e protestare contro l’assedio imposto da Israele alla
Striscia di Gaza,  sono  state arrestate ed espulse. Lasciano tuttavia  un importante testimone nelle
mani di chi vorrà rilanciare il loro urlo di libertà.
Anche se Tel Aviv sembra voler chiudere la vicenda al più presto e senza fare rumore. Come in occasione dell’arrembaggio israeliano al traghetto turco Mavi Marmara diretto a Gaza, che causò la morte di 10 passeggeri nel 2010.
Forte dell’esperienza fatta in passato, il governo israeliano sa che più si parla di queste azioni di forza della sua Marina in acque internazionali, più l’attenzione si concentra sulle terribili condizioni in cui versa la Striscia. A maggior ragione, ricordiamo che il viaggio delle attiviste era cominciato da Messina, in Italia, il 27 settembre  e  che  il  gruppo  comprendeva  un  Premio  Nobel  per  la  Pace,  tre  parlamentari,  una diplomatica statunitense, un’atleta olimpica sudafricana ed altre personalità del mondo accademico e dell’informazione provenienti da tutti e cinque i continenti, compresa Yudit Ilany, consulente della Knesset, che ha dichiarato, quasi scusandosi: “Come donna israeliana sono parte integrante della macchina d’occupazione, nonostante sia totalmente opposta ad essa e tenti di combatterla”.
Ad  attendere  impazienti  la  barca,  al  vecchio  porto,  decine  di  bambini  delle  scuole  di  Gaza  che  si erano  organizzati  da  giorni  per  dare  la  giusta  accoglienza  ad  una  iniziativa  di  solidarietà  molto apprezzata da tutti gli abitanti della Striscia.
La violenza israeliana che ha posto fine all’avventura di questa imbarcazione e del suo coraggioso
equipaggio è stata immediatamente condannata dal Ministro degli Esteri della Palestina Riad Malki, che ha parlato di un vero e proprio “atto di pirateria”, e dal Segretario Generale del Comitato Esecutivo dell’OLP, Saeb Erekat, che ha chiesto il rilascio immediato delle donne detenute, appellandosi anche ai loro Paesi d’origine “affinché facciano qualcosa per evitare che Israele violi i diritti delle loro cittadine”, e ricordando che “la causa palestinese per la libertà e l’indipendenza rappresenta una richiesta universale di giustizia condivisa da milioni di persone in tutto il mondo. In modo umile ma significativo, la Flotilla ci dice che è giunta l’ora di trasformare le dichiarazioni di solidarietà in azioni concrete”.

Fonte: Newsletter dell’Ambasciata Palestinese