Pubblichiamo integralmente l’intervento con cui Vito Correddu, Presidente del CSU “Salvatore Puledda”,  ha chiuso il V Simposio del Centro Mondiale di Studi Umanisti svoltosi presso il Parco di Studi e Riflessione di Attigliano lo scorso finesettimana.

 

Questo Simposio ci ha visto oggi riuniti insieme con l’intento di riflettere intorno al tema della rivoluzione. E’ stato un momento che ci ha permesso di scambiare delle idee e ampliare le nostro conoscenze in un clima di apertura e disponibilità, indispensabile per maturare la creatività e l’ispirazione necessaria al fine di dare le risposte necessarie all’altezza dei tempi.

In questo Simposio abbiamo messo al centro la necessità di una rivoluzione che poggiasse su alcuni idee fondamentali. Abbiamo individuato nella nonviolenza, la libertà e la riconciliazione i nuovi paradigmi di una nuova civiltà. Tenterò ora di dare qualche spiegazione in merito al fine di dare un’idea nel quadro della rivoluzione.

Nella nonviolenza vediamo la forma più coerente di trasformazione sociale perché si presenta come la manifestazione concreta di quella che viene chiamata comunemente regola aurea, che recita più o meno in questo modo: “Tratta l’altro come vorresti essere trattato”.

Ci stiamo riferendo a questa regola perché definisce il quadro morale dentro il quale vogliamo che la rivoluzione e la direzione rivoluzionaria si esprima.

E’ ovvio che qui non parliamo di nonviolenza come di un atteggiamento passivo e remissivo. Una condizione cioè che aspira all’assenza del conflitto, per una sorta di vigliaccheria. La nonviolenza è in conflitto permanente, permanente nella misura in cui si scontra con la violenza personale e sociale, interna o esterna all’essere umano.

L’azione nonviolenta ha come bersaglio di liberazione l’oppresso e l’oppressore. Perché in questa lotta tra oppressi e oppressori, entrambi i soggetti sono sottomessi alla violenza.

Non mancherà mai il violento che per giustificare i propri atti si appellerà a cause di forza maggiore, entità superiori o a valori supremi, quasi a dire che le sue azioni sono il frutto di volontà ineluttabili e dalle quali non si può sottrarre. Il violento quando disumanizza, si disumanizza. In questo senso è nello stesso tempo artefice e vittima della violenza.

Con la nonviolenza quindi si rompe questo schema. Uno dei soggetti, il soggetto apparentemente più debole, rompe la catena e col suo agire aspira a una trasformazione dei rapporti di forza. Comincia l’opera di umanizzazione.

Infine, in termini esperienziali, la nonviolenza produce un avanzamento, un’apertura verso nuovi orizzonti fino a quel momento sconnessi. Si avverte la consapevolezza di una forza che nasce dal Profondo e che oltrepassa gli apparenti limiti consentiti di spazio e di tempo.

Ci si riappropria della propria umanità e delle infinite possibilità.

Per questo la nonviolenza mostra a chi la compie, di avere validità in sé, a prescindere dal risultato che all’esterno si possa produrre.

Nella libertà, il secondo pilastro, vediamo il bersaglio principe della Rivoluzione Umana. La libertà non è qui intesa come un traguardo da raggiungere ma come un’aspirazione continua, un’eterna lotta per il superamento del dolore e la sofferenza.

Questo significa lottare contro tutte le forme di oppressione e di discriminazione, in ultimo, contro tutte le forme di violenza.

La specificità tutta umana di ampliare il proprio orizzonte temporale, permette all’essere umano di orientare la propria azione nel mondo, di scegliere e differire le risposte di fronte agli stimoli. È proprio questa libertà di scelta tra condizioni ciò che determina l’umanità stessa. Non c’è libertà senza l’umano ma soprattutto non c’è umano senza libertà. Possiamo quindi parlare dell’essere umano come di un essere-in-libertà da cui discende che aspirare al più alto grado di libertà è in ultima istanza, aspirare all’umano. A questo punto però è necessario configurare un’etica della libertà, cioè una libertà intesa come il superamento delle condizioni di oppressione non solo in se stessi ma anche nell’altro.

Il terzo pilastro della Rivoluzione Umana è quello della riconciliazione. Questa forse può definirsi come la precondizione per la Rivoluzione e nello stesso tempo una condizione necessaria per una trasformazione profonda. E’ una precondizione perché non si può immaginare il futuro profondamente diverso partendo da un sentimento di rivalsa e risentimento. In quel caso sarebbe il passato a vincere sul futuro. È una condizione necessaria perché il sistema di idee, credenze e aspirazioni in cui viviamo è fortemente impregnato e invaso dalla vendetta. Con la riconciliazione quindi, stiamo mettendo in discussione il trasfondo psicologico in cui questo sistema di valori sta operando.

In merito voglio ricordare le parole di Silo che nel 1964 affermava: “Salviamo l’uomo dalla vendetta, preparando il cammino della nuova umanità che già si avvicina”. Questa frase riecheggia in maniera inequivocabile il pensiero di Nietzsche che nel suo “Così parlò Zarathustra” scriveva «…che l’uomo sia redento dalla vendettaquesto è per me il ponte verso la speranza suprema e un arcobaleno dopo lunghe tempeste».

Superare la vendetta nel vissuto umano sarebbe così una rivoluzione di grande portata.

Se la vendetta è un fenomeno riconducibile al religioso allora la riconciliazione sarà la traduzione di una ispirazione spirituale che ridia un senso alla vita umana.

Se la vendetta è in relazione con la struttura identitaria della società allora necessitiamo di uno sforzo verso la convergenza nella diversità. Dovremmo universalizzarci culturalmente, geograficamente e nelle strutture sociali.

Se la vendetta è anche il risultato di emozioni negative, allora invece di reprimerle dovremmo trasformarle. Per questo abbiamo bisogno di elevare i nostri desideri perché quanto più si è violenti tanto più sono rozzi i nostri desideri.

Se oggi la giustizia non è altro che una vendetta mascherata allora occorre immaginare una giustizia che assuma il principio morale di trattare l’altro come vorremmo esser trattati per passare da una giustizia retributiva a una giustizia riparativa.

Spero con questo di aver compiuto con il proposito iniziale di chiarire i nuovi pardagmi della Rivoluzione Umana. Vorrei qui un momento soffermarmi sull’aggettivo “necessaria” presente nel titolo di questo simposio. L’aggettivo è particolare perché si presta a due interpretazioni. In effetti la rivoluzione prima ancora che un fatto è un progetto e perciò, sarebbe necessaria la rivoluzione o abbiamo bisogno di un’idea di rivoluzione? Nel primo caso si pone attenzione alla grave situazione di crisi del momento attuale, nel secondo caso invece, dopo il crollo delle ultime utopie, si reclamerebbe dal futuro un’immagine che guidi il nostro fare nel mondo e che ridarebbe senso all’esistenza umana. Ebbene, le due interpretazioni sono entrambe valide.

Non servono molte parole per affermare che attraversiamo un momento di crisi che investe tutti i campi d’interesse dell’essere umano. È la crisi di un sistema di valori, credenze e aspirazioni. Le cose cominciano a star strette. L’essere umano si sente addosso dei vestiti stretti.

L’evidenza della crisi, prima ancora che nelle analisi economiche, si coglie nell’accelerazione del conflitto, inteso non solo in termini sociali ma soprattutto personali. Le persone sono in primo luogo in conflitto nel proprio mondo interno. Sarebbe un errore pensare che quella lotta tra intenzioni sia solo un fatto esterno. Il conflitto è soprattutto interno, tra istanze di un mondo passato e le necessità di un presente in continua mutazione.  Assistiamo alla crisi tipica di un sistema che si concepisce isolato. Isolato si sente l’individuo, isolato è inteso il mondo in cui l’individuo agisce. Prendendo in prestito le parole di Silo possiamo affermare che: “ciascuno considera il destino generale come suo destino particolare ampliato e non considera invece il suo destino particolare come destino generale ristretto”.[1]

Ogni individuo come fenomeno isolato è travolto dall’accelerazione avviatasi dallo sviluppo tecnologico e come nel mondo atomico, la temperatura aumenta nella misura in cui questi si scontrano tra loro. Da questo punto di vista il riscaldamento globale, che avvertiamo sul pianeta, sembra quasi essere una metafora di questa crisi.

A tutto ciò si deve aggiungere, che a differenza del passato oggi ci troviamo davanti a un sistema globale che raggiungendo i suoi limiti geografici, si avvicina sempre più a un sistema chiuso ove più si cerca di mettere ordine e più aumenta il disordine.

Dopo la caduta del muro di Berlino si parlò della fine della storia, si parlò di quel momento come il culmine di un processo storico dell’essere umano che poteva ormai consacrare la democrazia cosiddetta liberale come il migliore dei mondi possibili. Si parlò della sconfitta delle ideologie come di quel momento a partire dal quale l’utopia poteva essere messa definitivamente in cantina. In questa visione, le ingiustizie e le diseguaglianze, che milioni di esseri umani patiscono, non sono altro che il prezzo da pagare mentre si è in fila di fronte allo sportello elettronico del libero mercato. Così se qualcuno si azzuffa per passare avanti nella fila, il problema è solo una questione di ordine pubblico. In questo quadro anti-ideologico che resta pur sempre ideologico, ogni discorso sulla rivoluzione è considerato, dal pensiero mainstream, del tutto demodé.

In questo contesto, un’immagine al futuro che trascini verso di sé l’azione trasformatrice in direzione progressista risulta necessaria, non solo per la situazione in cui versa la condizione umana ma anche perché ridarebbe un senso trascendente alle particolari rivendicazioni di genere, classe, di etnia e religione. Senza quest’immagine al futuro la disperazione finirà per alimentare il risentimento e il desiderio di vendetta in cui l’irrazionalismo di ogni matrice conquisterà sempre più spazio. Stiamo ponendo enfasi sull’immagine e non su un sistema di pensiero articolato perché seppur necessario non sarà su questo che le persone organizzeranno le proprie azioni nel mondo. C’è bisogno di un nuovo proposito, un proposito che sorga dal Profondo affinché si scalzi il sistema di immagini precedente. Questa forse è la sfida più grande.

In sintesi, la Rivoluzione Umana è necessaria, da un lato perché l’attuale condizione umana, intesa nella sua strutturalità, evidenzia sempre di più i limiti dell’azione riformatrice d’impostazione pragmatica e dall’altro perché si avverte una carenza temporo-spaziale nell’immaginario collettivo.

Detto ciò, affermiamo che la Rivoluzione Umana dovrà assumersi l’imperativo di costruire un nuovo assetto sociale che elimini i fattori di oppressione e sfruttamento universalizzando i diritti umani fondamentali, a partire dalla salute e l’istruzione gratuita e per tutti.

Una rivoluzione pienamente umana che metterà la libertà come massima aspirazione e accetterà la diversità personale e culturale. Svilupperà una nuova concezione di giustizia che supererà l’idea del colpevole e della vittima. Una giustizia che avrà la missione di riparare l’integrità del tessuto sociale.

Immaginerà un’economia che ribalti l’idea che il lavoro sia al servizio del capitale. Un’economia in cui il lavoro non sia il mezzo di sussistenza ma la forma attraverso la quale, in piena libertà, si decide di contribuire al bene comune, svuotandolo quindi dal suo essere mezzo di produzione, merce di scambio o valore esistenziale.

Una rivoluzione che supererà l’istituzione dello Stato nazionale o dello Stato dei gruppi privati oggi in ascesa, e che costruisca le condizioni per la decentralizzazione del potere decisionale verso un modello federativo i cui limiti sono l’intero pianeta.

Una rivoluzione che viva la religiosità a partire dall’esperienza intima dell’essere umano e non da una morale lontana, incomprensibile e convenzionale. Una religiosità che riconcili l’essere umano con il suo passato, per lanciarlo dalla preistoria alla storia pienamente umana.

Una rivoluzione che superi le false antinomie, coscienza e mondo, anima e corpo, mente e materia.

La rivoluzione, questo concetto per il solo fatto di stare permanentemente nel futuro, più volte ha visto la sua morte prima ancora di nascere. Più volte invece di andargli incontro, la si è tirata giù nel presente svuotandola di ogni significato. Nemmeno sono mancate le circostanze in cui, per la paura d’incontrarla davanti, la si è gettata in un passato senza ritorno.

Oggi invece questo concetto acquista un nuovo significato ma non per questo completo e definitivo, perché la rivoluzione resta pur sempre e soprattutto un’aspirazione lanciata al futuro. È un processo interminabile in cui il protagonista è l’essere umano concreto il cui compito è quello di  umanizzare la terra.

Concludo questo intervento con le parole di colui che ha ispirato questo simposio, quelli passati e ispirerà quelli avvenire. “Creatore di mille nomi, costruttore di significati, trasformatore del mondo…. i tuoi padri e i padri dei tuoi padri continuano in te. Non sei una meteora che cade ma una freccia luminosa che vola verso i cieli. Sei il senso del mondo; quando chiarisci il tuo senso illumini la Terra. Ti diro qual e il senso della tua vita qui: Umanizzare la Terra! Che cosa significa Umanizzare la Terra? Significa superare il dolore e la sofferenza, imparare senza limiti, amare la realtà che costruisci!”[2]

Grazie.

[1]      Opere complete -Silo 1998 pag.631

[2]      Opere complete – Silo 1998 -pag. 72