Matteo Renzi alla festa democratica di Firenze s’è vantato del fatto che il PD “scrive in Costituzione la trasparenza”.

In effetti il testo di revisione costituzionale che in autunno verrà sottoposto a referendum prevede l’inserimento del termine “trasparenza” nell’art. 97 e nell’art.118 della Costituzione, come garanzia della pubblica amministrazione nei confronti del cittadini. Si  tratta fondamentalmente di buoni propositi, poiché la trasparenza si realizza nei comportamenti effettivi delle pubbliche amministrazioni e per l’applicazione concreta sono determinanti le leggi applicative. Comunque, se venisse introdotto qualche riferimento alla trasparenza anche nella Costituzione, sarebbe sicuramente positivo.

C’è però un altro aspetto della trasparenza che Matteo Renzi non ha considerato: la trasparenza del testo della Costituzione, cioè la comprensibilità di quanto viene scritto. Da questo punto di vista il progetto di revisione è pessimo, anzitutto perché il testo costituzionale è rivisto in modo disomogeneo:  in alcuni casi si sostituisce il testo di un intero articolo, in altri si modificano singoli commi o punti e in altri ancora si inseriscono o si aggiungono frasi nel testo vigente.

Di conseguenza per avere una visione chiara e trasparente del testo costituzionale risultante dalle modifiche, è necessario fare un notevole esercizio di taglia, copia e incolla. Senza questa operazione preliminare è impossibile capire che cosa cambierebbe con la riforma: in questo caso la trasparenza non è certo ottimale.

Ancora più negativo è il fatto che il testo della riforma in diversi articoli è scritto con rinvii ad altri articoli. L’esempio più eclatante è il nuovo art. 70, che risulta oscuro per non dire incomprensibile.

Infine, la trasparenza potrebbe essere considerata anche in modo diverso, cioè valutando che cosa traspare dal progetto di riforma. In particolare c’è un argomento, sostenuto dai promotori della riforma, che lascia alquanto perplessi. Si dice che con la revisione i poteri del Governo non vengono cambiati, poiché il Titolo III della seconda parte della Costituzione non viene modificato, con l’eccezione della soppressione del CNEL.

In realtà la riforma toglie direttamente poteri al Senato e alle Regioni, oltre alle Province che vengono addirittura abolite. Ma un sistema di potere funziona come i vasi comunicanti: ciò che viene tolto da una parte finisce ad un’altra. Infatti, la riforma di fatto rafforza il ruolo della Camera e del Governo, creando – attraverso la legge elettorale “italicum” – una stretta connessione tra questi due poteri, a tal punto da limitare persino le prerogative del Presidente della Repubblica (per esempio nella scelta per l’incarico di formare un Governo).

Inoltre, dato che con la nuova legge elettorale la maggioranza dei deputati  apparterrà ad un unico partito, è evidente che anche i ministri del Governo tenderanno ad essere del tutto omogenei a quel partito. Di fronte alla concentrazione nelle stesse mani del potere legislativo ed esecutivo, in presenza del depotenziamento degli altri poteri, c’è da temere proprio per la trasparenza delle decisioni. Il rischio che le politiche del  Paese vengano stabilite sostanzialmente in una stanza chiusa di una sede di partito è molto elevato. La vera trasparenza si ha in un contesto pluralistico, quando diversi soggetti possono partecipare alle scelte comuni. Se le politiche sono decise dal leader carismatico e dal cerchio dei suoi fedelissimi, la trasparenza si offusca e la democrazia si svuota.