In Perù si è conclusa la seconda tornata elettorale. Quasi 7 milioni di elettori domenica 5 giugno sceglieranno tra due opzioni che assicurano la continuità del modello neoliberista installatosi dalla decade del ’90.

Le elezioni, per un momento, hanno messo il paese davanti a uno specchio in cui si misura il peso della memoria e la statura morale della società. Ai cittadini si è presentata la necessità di scegliere tra due formule: il ritorno all’autoritarismo corrotto o il rispetto delle regole della democrazia.

Una forte mobilitazione sociale ha inviato in questa ultima settimana un chiaro messaggio contro il ritorno al fujimorismo. Lo scorso martedì 31, circa 100.000 persone hanno marciato su Lima e in varie città del paese e del mondo al motto di “No a Keiko”, con gli slogan “No al Narcostato”, “Un popolo cosciente non sceglie delinquenti”, “Dato che abbiamo memoria, abbiamo futuro”.

La sistematica campagna populista realizzata dalla figlia dell’ex dittatore ed ex First Lady in ogni angolo del paese negli ultimi cinque anni, si esprime in un leggero vantaggio evidenziato dagli ultimi sondaggi. “Un lavoro di anni ha ottenuto che gli elettori credano che arrivi una versione purificata della dittatura degli anni ‘90” segnalava a riguardo un giornalista.

In cerca di voti, paradossalmente i candidati hanno incentrato il loro confronto su chi potrà affrontare più efficacemente la violenza, l’insicurezza e la criminalità, in un ambito elettorale punteggiato da reciproche accuse di corruzione e, soprattutto nel caso di Keiko Fujimori, dalle loro relazioni con un contorno di politici e di collaboratori accusati di riciclaggio di denaro e di legami con reti di narcotrafficanti. Questa candidata guadagna voti offrendo “pugno duro” contro la delinquenza, aumento delle forze di polizia nelle strade e costruzione di carceri sopra i 4.000 metri di altitudine.

Al di là delle offerte e dei discorsi dei candidati, gli analisti critici delle ultime settimane si sono precipitati a decifrare le “lacune” esistenti nella mentalità delle popolazioni che chiedono risposte davanti all’insicurezza e alla violenza crescenti ma a volte diventano tolleranti con la corruzione e l’autoritarismo. Lo slogan “roba, pero hace obra” (ruba, ma si dà da fare), utilizzato nell’ultima campagna per l’attuale sindaco della città, esprime la presenza di una “crisi morale” che colpisce le grandi popolazioni, dimenticate dallo stato e allo stesso tempo sottomesse, negli ultimi due decenni, all’assedio del mercato e al mito del progresso.

Giornalisti critici hanno testato le loro spiegazioni riconoscendo una “sconfitta morale”, la presenza di un’“entropia negativa”, e considerando che “votare per Keiko significa volersi poco bene”.

La situazione mostra che tendenze apparentemente opposte potrebbero alternarsi al potere senza modificare affatto il processo di destrutturazione sociale attuale. Di fronte a una lotta di slogan e forme vuote, il cittadino si orienta verso un possibile vantaggio e si concentra su quanto è più percettivo e immediato.

In questo contesto, alcune voci, come quella del Centro di Studi Umanisti di Lima, hanno denunciato la distruzione morale che cresce nel paese e hanno fatto appello a non legittimare la truffa, il furto e il cinismo, ma a rafforzare i diritti umani e a ripudiare la dittatura e l’autoritarismo.

 

Traduzione dallo spagnolo di Matilde Mirabella