Affinché la loro piccola “oasi di pace” non venga sopraffatta dalla violenza, le persone nel Rojava (enclave kurda nella Siria del nord) hanno bisogno di essere sostenute dal punto di vista umanitario dall’Europa. Nonostante la regione kurda nel nord della Siria amministrata autonomamente subisca i ripetuti attacchi da parte delle milizie dell’IS e sia completamente isolata dal mondo esterno, è riuscita a creare una piccola oasi in cui i diversi gruppi etnici e religiosi convivono pacificamente. Affinché le persone non siano costrette a fuggire e a cercare aiuto altrove urgono però aiuti umanitari dall’esterno.

Questo è quanto conclude Kamal Sido, referente dell’Associazione per i Popoli Minacciati (APM) di Göttingen di ritorno da un viaggio conoscitivo nel Rojava. Per farsi un quadro della situazione generale, Sido ha incontrato i rappresentanti di quasi tutti i partiti politici presenti in Rojava, delle comunità religiose e delle minoranze etniche e ha parlato con i rappresentanti delle forze di sicurezza, dell’amministrazione e con diversi giornalisti. Le interviste condotte da Sido sono state pubblicate (in tedesco www.gfbv.de/fileadmin/redaktion/Reporte_Memoranden/2016/Nordsyrien_Reisebericht_compressed.pdf) dall’APM di Göttingen in un rapporto che descrive la situazione generale e la situazione dei diritti umani nella regione mediorientale.

“La nostra richiesta alla comunità internazionale è quella di aiutarci nella ricostruzione, così come siamo stati aiutati nella lotta contro l’IS”, dice Anwar Muslim, presidente del cantone di Kobane. I rappresentati delle organizzazioni kurde, cristiane, yezide e arabe concordano nell’individuare i maggiori problemi nella mancanza di attrezzature per la depurazione dell’acqua potabile, nella necessità di migliorare l’assistenza medica e la fornitura di elettricità. Sono questi i problemi maggiori che dovrebbero essere risolti quanto prima per far sì che la gente non sia obbligata a lasciare la propria casa e la propria terra. Un appartenente alle milizie cristiane Sutoro della località Al-Hasakeh dichiara infatti che “la gente non vuole andarsene per ritrovarsi nei centri di accoglienza sovraffollati europei, ma per poter restare bisogna prima di tutto eliminare le cause per cui la gente è costretta ad andarsene”. E, secondo un rappresentante di un’organizzazione non governativa presente nel Rojava, è importante anche sostenere forme di mediazione tra i diversi partiti kurdi per evitare possibili conflitti interni, combattere le violazioni dei diritti umani e gli arresti arbitrari.

Le regioni a maggioranza kurda tra i fiumi Eufrate e Tigri e la regione di Afrin nella Siria nordoccidentale contano una popolazione di almeno tre milioni di persone. A queste si aggiungono le centinaia di migliaia di profughi di ogni gruppo etnico e religioso provenienti dalle regioni in guerra del paese e che qui hanno cercato e trovato rifugio. Tutte queste persone sono pesantemente minacciate sia da diverse milizie radicali di stampo islamico sia dal governo turco e dal suo esercito.

Nel 2012 alcune organizzazioni kurde hanno dichiarato l’autonomia del Rojava e insieme a organizzazioni assiro-aramee, turkmene e arabe si sono da allora opposte con successo agli attacchi dello Stato Islamico (IS). Le persone che vivono in questa zona protetta vorrebbero continuare a organizzare la loro vita anche al di là dell’emergenza della guerra. Per fare ciò hanno però bisogno del sostegno dell’Europa. Sperano nella fine della dittatura di Assad e vogliono impedire a ogni costo che la Siria si trasformi in uno stato islamico basato sulla legge della Sharia.