Lo studioso Alessandro Orsini ha pubblicato un saggio molto chiaro, denso e diretto: “ISIS. I terroristi più fortunati del mondo e tutto ciò che è stato fatto per favorirli” (Rizzoli, 2016, euro 18).

 

Secondo Alessandro Orsini i responsabili della mancata guerra risolutiva “contro l’Isis sono, da una parte Russia e Iran [che teme di più Israele] e, dall’altra, Stati Uniti, Turchia [che teme di più i curdi], Arabia Saudita, Kuwait, Qatar, Emirati Arabi Uniti” (p. 19). Tutti questi Stati preferiscono conquistare il governo della Siria, ma così facendo favoriscono la lenta estensione territoriale dei terroristi più o meno fondamentalisti e molto prezzolati da alcuni sceicchi e da vari Stati.

Naturalmente appena fuori dallo schieramento di queste otto nazioni opera lo Stato più potente del Medio Oriente: Israele. E il governo israeliano fa quasi sempre questo ragionamento: “L’idea di cancellare l’Isis dalla faccia della terra ci piace, ma, se per cancellare l’Isis dobbiamo accettare una crescita dell’influenza dell’Iran in Siria, preferiamo che non nasca nessuna grande coalizione contro al-Baghdadi perché non posso permettere a Hezbollah di diventare più forte di prima, altrimenti aumenteranno le probabilità che saremo uccisi, visto che noi uccidiamo loro” (p. 36).

Comunque i terroristi hanno una logica prevedibile: “odiano coloro da cui sono colpiti e uccidono coloro da cui sono colpiti”. E anche se la forza militare è molto modesta, “il ritardo nella lotta contro l’Isis mette in pericolo tutte le città europee perché la sopravvivenza dell’Isis, esaltando i fanatici, accresce i processi di radicalizzazione verso il terrorismo di matrice jihadista” (p. 63). E quando i terroristi si trovano in difficoltà in casa, cercano di avanzare all’estero: “Se non costruiscono la loro società, vengono a distruggere la nostra” (p. 85). E la Libia è molto vicina.

Del resto “l’Isis può sfruttare il lavoro già fatto da al-Qaeda, che ha diffuso e rinvigorito l’ideologia jihadista in tutto il mondo e può evitare di commettere i suoi errori (l’Isis è nato ben 25 dopo al-Qaeda). Per l’Isis non è il consenso, ma è la violenza che crea il Califfato, soprattutto attraverso la conquista delle fonti energetiche. Sono tutti soldi molto facili che fanno gola agli avanzi di galera.

Forse il vero problema è questo: in tutti i paesi islamici si legge poco e si pubblicano pochissimi libri, sia di scrittori nazionali che di scrittori internazionali. Se in passato l’Islam è stato la culla della cultura, oggi è diventato il cimitero della cultura. È semplicemente per questo motivo che un criminale si  può autoproclamare califfo e può trovare facilmente dei giovani e dei padri di famiglia disposti a rischiare la vita (conta anche l’aspettativa del paradiso in cambio di una vita di sacrifici).

In ogni caso la violenza “rabbiosa” e reattiva è diversa dalla violenza ideologica: la prima “termina quando vengono rimosse le cause economiche e politiche  che hanno prodotto la rabbia e la frustrazione. La seconda, invece, è largamente indipendente dal contesto politico ed economico. Contro la violenza ideologica, che scaturisce dall’educazione all’odio, le tregue e i processi di pace hanno – generalmente – lo stesso peso di un lenzuolo poggiato sul cratere di un vulcano. Vi è un odio che nasce dalla politica e una politica che nasce dall’odio” (p. 129).

In definitiva quando si parla di Medio Oriente, bisogna tenere presente “che molti paesi si odiano tra loro e ognuno opera per realizzare il male dell’altro. Chi vacilla, come è accaduto a Bashar al-Assad, riceve uno spintone e cade a terra. Una volta a terra, i nemici si avventano per affondare i denti nella giugulare. La forza decisiva che muove il Medio Oriente non è l’imperialismo russo o americano, di cui sarebbe impossibile nascondere l’importanza. La forza decisiva è la paura reciproca che domina i governanti, da cui scaturisce un effetto politico che chiamo Se inciampi ti sbrano”. Quindi è la paura di decadere e di morire a dominare, non l’amore per il petrolio.

 

Alessandro Orsini è direttore del Centro per lo Studio del Terrorismo dell’Università Tor Vergata di Roma, Research Affiliate al MIT di Boston e docente di Sociologia del terrorismo alla LUISS. Nel 2010 ha pubblicato Anatomia delle Brigate Rosse (Rubbettino, ha vinto il Premio Acqui Storia).

 

Per approfondimenti vari: http://alessandroorsini.com, www.youtube.com/watch?v=fCiORSl5ztQ (2015, parla dell’attentato di Parigi); www.youtube.com/watch?v=ylGzchQQIGM&nohtml5=False (parla di possibili attentati in Italia nel 2018, a causa della situazione caotica in Libia, vicino alla Sicilia).Per valutare il contributo dell’Islam alla civiltà: http://www.agoravox.it/Il-contributo-dell-Islam-alla.html. Per valutare il contributo all’inciviltà: “Violenza e Islam” (Adonis, Guanda, 2015).

 

Nota economica – La struttura amministrativa dell’Isis ha quattro fonti principali di guadagno: la prima è la tassazione generale, la seconda è la vendita del petrolio, la terza è il riscatto derivato dai rapimenti e la quarta è la tassa imposta alle minoranze religiose. La vera posta in gioco nel Medio Oriente è la Siria, anche per un motivo economico: su suggerimento dei russi Assad aveva approvato il progetto di gasdotto iraniano e non quello del Qatar. Di conseguenza il Qatar “nel periodo 2011-2013 ha speso 3 miliardi di dollari per finanziare tutti i movimenti che vorrebbero fare secco Bashar al-Assad e riaprire il discorso sul progetto di gasdotto” mai iniziato (p. 54).

Nota psicologica – Molti terroristi hanno una personalità fragile che tende alla disintegrazione. Una crisi di identità esistenziale, personale e sociale, di solito spinge a ricercare punti fermi, a volte di carattere fondamentalista (“Alcuni di loro, da zero, diventano eroi, nel giro di un attimo”, testimonianza di un ex jihadista). Per questo motivo l’Isis ha creato Dabiq, una rivista patinata e un sistema di reclutamento molto settario. In ultima analisi molti problemi umani sono di origine demografica e in questo caso si può dire che la mamma dei fondamentalisti è sempre incinta.

Nota finale – “Uno studioso non deve mai preoccuparsi del giudizio del pubblico e non deve mai avere paura di essere isolato per le sue idee, se queste sono basate su studi rigorosi. L’autocensura è la morte di uno studioso” (p. 243). Bisogna pensare a lungo termine: “Il tempo è galantuomo”. E come dice Orsini, “visto che si parla di decapitazioni e ammazzamenti, ciò che Maometto ha fatto mi interessa molto di più di ciò che ha detto” nel Corano (p. 245). Bisognerebbe educare tutti in modo da far capire che tutte le civiltà devono progredire nel tempo.