“Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario.”                                    

Primo Levi, in appendice a un’edizione di Questo è un uomo.

“Il genocidio è un atto criminale premeditato, organizzato sistematicamente e messo in atto con l’obiettivo di sterminare delle comunità civili mirate, scelte in base a criteri di nazionalità, razza o religione.”                                                                                                       

Ryzard Kapuscinski, da Le Monde Diplomatique.

Il 27 gennaio del 1945, sono trascorsi 71 anni, l’Armata Rossa entrava nel campo di sterminio di Aushwitz, Oswiciem in polacco, e liberava i prigionieri superstiti. In quel giorno emerse in tutta la sua crudeltà quello che era accaduto di atroce in quel campo di concentramento. Il mondo scopriva l’orrore dell’Olocausto. Con l’avvento del nazismo di Hitler in Germania (1993/1945) venne avviato lo sterminio del popolo ebraico in Europa. Le vittime di questo immane olocausto sono calcolate in oltre in oltre 6 milioni di persone, la gran parte di loro morta nei campi di sterminio. Durante questo periodo non furono sterminati solo ebrei, ma anche quei gruppi non conformi al disegno nazista di purezza e perfezione della razza ariana: rom, omosessuali, neri, malati di mente, comunisti, slavi e via dicendo. Tutti quei gruppi definiti Untermenschen, sotto persone. Tra il 1941 ed il 1945 nei campi di concentramento e di sterminio istituiti dal regime nazionalsocialista morirono, compresi gli ebrei, tra i dieci e i quattordici milioni di persone.

A proposito di prigionieri politici, questa è la testimonianza dello scrittore ultracentenario Boris Pahor in “Triangoli rossi, i campi di concentramento dimenticati.” Triangoli rossi erano i pezzi di stoffa che venivano appuntati al petto di prigionieri politici. “Ogni Giorno della memoria si ripete sempre nello stesso modo: si parla molto di Auschwitz, si parla di Birkenau o Treblinka, di Buchenwald o di Mauthausen, ma quasi mai di Dora-Mittelbau, di Natzweiler-Struthof e altri campi riservati ai Triangoli rossi, i deportati politici. E spesso mi risentivo, qualche volta a voce alta, non perché sono stato un Triangolo rosso anch’io, bensì perché avere sul petto, sotto il numero che sostituiva il nome e il cognome, il triangolo rosso, significava che ero stato catturato perché come soldato non mi ero presentato all’autorità militare nazista, ma avevo scelto di oppormi in nome della libertà.                                         

Questa data è un giorno in cui non dobbiamo dimenticare che odio, violenza e illegalità possono riportare le tragedie del passato. Oggi stesso viviamo drammatici disastri. Le guerre d’ingerenza dell’imperialismo occidentale che hanno destabilizzato la Libia e il Medio Oriente. Il terrorismo islamista. Il terrore sionista in Palestina ed altro.

ALCUNI GENOCIDI DEL SECOLO SCORSO.

La storia del XX secolo conta oltre una decina di episodi di genocidio. Il termine episodio non è comunque il migliore, poiché questi massacri sono generalmente durati molto tempo. In ogni evento, lo svolgimento del massacro e dello sterminio della comunità perseguitata è stato preceduto da un periodo di sofferenze, di privazione per fame, di umiliazione, di terrore. Inoltre, in tutti i casi i genocidi sono stati preparati ed eseguiti in contesti sociali di crisi economica, politica, culturale e morale profonda.

Questa nota ne elenca alcuni, oltre l’Olocausto del popolo ebreo.

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Olocausto Herero e Nama nell’ Africa tedesca, Deutsch-Sudwestafri

Fu il primo genocidio del 900. Tra il 1884 ed il 1908 la colonia tedesca,ora Naimbia fu il laboratorio per la creazione di campi di concentramento e la sperimentazione delle prime forme di eliminazioni di massa. Il piu famigerato campo campo di concentramento fu il Konzentrantionslager auf der Haifishensel vor Luderritzbucht nell’ isola di Shark, dove si registrò un taso di mortalità del 70%. Per il clima inospitale, freddo, la malnutrizione, le violenze fisiche e gli stupri, fu denominato Todesinsel, l’isola della morte.Questi due popoli, herero e nama fu sterminato per essersi ribellati, coraggiosamente ed in armi, infliggendo perdite, contro l’invasore tedesco. Significative sono le parole di Lothar Von Trotha, inviato con 20000 soldati per una vera e propria azione di annientamento, prima ai suoi superiori: “Ritengo preferibile che la nazione herero perisca piuttosto che infetti i nostri soldati e inquini la nostra acqua ed inquini i nostri cibi”. Poi al popolo herero:” Io, generale delle truppe tedesche indirizzo questa lettera al popolo herero. D’ora in poi gli herero non sono più sudditi tedeschi…Devono lasciare il Paese (ndr: cioè il territorio africano che appartiene loro). Qualsiasi herero scoperto all’ interno del territorio tedesco, armato oppure no, con oppure senza bestiame sarà ucciso. Non sarà tollerata neppure la presenza di donne e bambini che dovranno raggiungere gli altri membri della loro tribù (ndr: ossia morire di fame nel deserto), altrimenti saranno fucilati.”

Non c’ è una contabilità esatta dei morti per le armi, di fame, nei campi di prigionia o nelle deportazioni. Alcuni dicono che i due popoli, herero e nama furono ridotti dell’80%.

 

Genocidio del popolo armeno.

Durante la prima guerra mondiale (1914-1918) si compie, nell’area dell’ex impero ottomano, in Turchia, il genocidio del popolo armeno (1915 – 1923), il primo del XX secolo. Il governo dei Giovani Turchi, preso il potere nel 1908, attua l’eliminazione dell’etnia armena, presente nell’area anatolica fin dal 7° secolo a.C.
Dalla memoria del popolo armeno, ma anche nella stima degli storici, perirono i due terzi degli armeni dell’Impero Ottomano, circa 1.500.000 di persone. Molti furono i bambini islamizzati e le donne inviate negli harem. La deportazione e lo sterminio del 1915 vennero preceduti dai pogrom del 1894-96 voluti dal Sultano Abdul Hamid II e da quelli del 1909 attuati dal governo dei Giovani Turchi.
Le responsabilità dell’ideazione e dell’attuazione del progetto genocidario vanno individuate all’interno del partito dei Giovani Turchi, “Ittihad ve Terraki” (Unione e Progresso). L’ala più intransigente del Comitato Centrale del Partito pianificò il genocidio, realizzato attraverso una struttura paramilitare, l’Organizzazione Speciale (O.S.), diretta da due medici, Nazim e Chakir. L’O.S. dipendeva dal Ministero della Guerra e attuò il genocidio con la supervisione del Ministero dell’Interno e la collaborazione del Ministero della Giustizia. I politici responsabili dell’esecuzione del genocidio furono: Talaat, Enver, Djemal. Mustafa Kemal, detto Ataturk, ha completato e avallato l’opera dei Giovani Turchi, sia con nuovi massacri, sia con la negazione delle responsabilità dei crimini commessi.
Il genocidio degli armeni può essere considerato il prototipo dei genocidi del XX secolo. L’obiettivo era di risolvere alla radice la questione degli armeni, popolazione cristiana che guardava all’occidente.
Il movente principale è da ricercarsi all’interno dell’ideologia panturchista, che ispira l’azione di governo dei Giovani Turchi, determinati a riformare lo Stato su una base nazionalista, e quindi sull’omogeneità etnica e religiosa. La popolazione armena, di religione cristiana, che aveva assorbito gli ideali dello stato di diritto di stampo occidentale, con le sue richieste di autonomia poteva costituire un ostacolo ed opporsi al progetto governativo.
L’obiettivo degli ottomani era la cancellazione della comunità armena come soggetto storico, culturale e soprattutto politico. Non secondaria fu la rapina dei beni e delle terre degli armeni. Il governo e la maggior parte degli storici turchi ancora oggi rifiutano di ammettere che nel 1915 è stato commesso un genocidio ai danni del popolo armeno.
Il 24 aprile del 1915 tutti i notabili armeni di Costantinopoli vennero arrestati, deportati e massacrati. A partire dal gennaio del 1915 i turchi intrapresero un’opera di sistematica deportazione della popolazione armena verso il deserto di Der-Es-Zor. Il decreto provvisorio di deportazione è del maggio 1915, seguito dal decreto di confisca dei beni, decreti mai ratificati dal parlamento. Dapprima i maschi adulti furono chiamati a prestare servizio militare e poi passati per le armi; poi ci fu la fase dei massacri e delle violenze indiscriminate sulla popolazione civile; infine i superstiti furono costretti ad una terribile marcia verso il deserto, nel corso della quale gli armeni furono depredati di tutti i loro averi e moltissimi persero la vita. Quelli che giunsero al deserto non ebbero alcuna possibilità di sopravvivere, molti furono gettati in caverne e bruciati vivi, altri annegati nel fiume Eufrate e nel Mar Nero.

 

Genocidi del colonialismo e fascismo italiani in Africa.

Libia

L’avventura coloniale in Libia, tra il 1911 e il 1931, fu accompagnata da orrori. deportazioni, bombardamenti, e l’uso di gas proibiti dalle convenzioni internazionali, campi di concentramento. Ad El Agheila e in altri campi di concentramento, secondo le stime più attendibili, furono rinchiuse circa 80mila persone. E ne uscirono, probabilmente, un quarto di meno. Un calo di ventimila unità dovuto fame e sentenze di Tribunale militare speciale, il quale, quasi sempre, decretava la pena capitale per gli imputati.

Colonialismo e fascismo italiani costarono al popolo libico un saldo di 100.000 morti su una popolazione di 700.000- 800.000.

 

Eritrea ed Etiopia

Il numero di morti eritrei dal 1890 al 1941 fu alto, anche se inferiore e di molto, a quello dei libici e degli etiopi. Per dare un’idea del genocidio africano di cui l’Italia coloniale e fascista è responsabile, le perdite etiopi nella guerra del 1935 e 1936 furono 760.000, secondo il numero fornito dal Negus alla Società delle Nazioni. Un numero forse non esatto, ma che indica la dimensione del massacro. In Etiopia a questo numero immenso, vanno aggiunte le perdite della prima guerra italo-etiope, 1895 – 1896, e dopo le stragi di bambini, donne e uomini in seguito all’ attentato a Graziani nel 1937, il massacro di Amazegna Wagni nel 1939 e i morti della seconda guerra mondiale in Africa Orientale.

Gli eritrei che hanno pagato il più alto prezzo di sangue furono i soldati dell’esercito coloniale, gli  ascari. Le stime, però, sono molto vaghe. Per i soldati italiani morti in terra d’Africa la contabilità è precisa, i soldati eritrei sono carne da macello, qualche migliaio in più o in meno ha poca importanza.

Circa 2000 furono gli ascari morti nella prima guerra italo etiopica, tra il dicembre del 1895 e l’ottobre del 1896. Nella seconda guerra italo-etiopica, 1935-1936, gli ascari morti sono da 3500 a 4500.  Contro gli inglesi i morti eritrei si stimano essere 10 000, solo 3700 nella battaglia di Gondar nel 1941. Queste morti di soldati di un popolo dominato, arruolati, con la costrizione o con il miraggio di sfuggire la fame, per combattere sotto la bandiera del dominatore devono essere addebitate al colonialismo ed al fascismo italiano.

Nocra, un lager africano

Colonialismo prima e fascismo poi crearono in Eritrea un sistema carcerario spietato. I campi di lavoro e di internamento furono molti, Assab, Massaua , Asmara, Cheren , Addi Ugri, Addi Caleh. Tra questi spicca il famigerato campo di concentramento di Nocra, nell’omonima isola dell’arcipelago Dakhlat, uno dei meno conosciuti orrori del dominio italiano in Africa.

L’isola, fu scelta perché i 55 km di distanza dalla costa, rendevano impossibile la fuga. Vi fu nel marzo 1893 il solo tentativo di fuga di massa, ma i fuggitivi furono catturati e passati per le armi. Il campo era costituto da un fabbricato di mattoni per le guardie e 200 tra tucul e tende per i prigionieri.

Un paradiso tropicale nel Mar Rosso che si trasformò in un inferno lungo cinquant’anni: caldo e umidità provocavano una sete che la poca acqua salmastra proveniente da un pozzo aumentava. Oltre che per la sete la morte arrivava per la fame( erano concessi pochi grammi al giorno, e non tutti i giorni, di farina, tè e zucchero), per le malattie (malaria, scorbuto e dissenteria) e per la fatica. In queste condizioni i prigionieri erano costretti a lavori forzati in una cava di pietra.  Si sa che il numero di prigionieri arrivò a 1000 e la media fu 500, ma non esiste una contabilità di quanti morirono.

Un capitano della marina militare che la visitò nel 1901 la descrisse così: “I detenuti, coperti di piaghe e d’insetti, muoiono lentamente di fame, scorbuto e altre malattie. Non un medico per curare, 30 centesimi per il loro sostentamento, ischeletriti, luridi, in gran parte hanno perduto l’uso delle gambe ridotti come sono a vivere costantemente sul tavolato alto un metro dal suolo.” La realtà che trovarono gli inglesi dopo quarant’anni, quando la liberarono nel 1941, non fu molto diversa. Nocra fu, per le crudeli condizioni di prigionia, un vero e proprio campo di sterminio, una Auschwitz tropicale.

Genocidio dei popoli dell’Indonesia. 

Sterminio di comunisti.

Kusno Sosrodiharjo, noto come Sukarno, conosceva una frase in italiano: vivere pericolosamente. Chiamò il discorso che tenne il 17 agosto 1965 in occasione della festa nazionale il 17 agosto: the year of living dangerously, l’anno del vivere pericoloso. Molte furono, allora nel 1965, le decisioni di Sukarno, ritenute pericolose dall’ imperialismo americano. Il pretesto per la sanguinaria controrivoluzione si verificò il 30 settembre 1965: il colpo di Stato di un quartetto di colonelli che proclamò «un governo rivoluzionario» dopo aver giustiziato alcuni membri dello stato maggiore della fazione di centro destra.

Suharto,? responsabile delle truppe riserviste nazionali (KOSTRAD), il giorno dopo, il 1 ottobre 1965, prese il controllo di Jakarta e iniziò la repressione. Il coinvolgimento della Cia, dell’ambasciata degli Stati Uniti, così come dei servizi segreti britannici sono provati. Furono gli Stati Uniti a contribuire alla formazione per la guerra contro-insurrezionale degli ufficiali indonesiani nella Scuola ufficiali a Bandung (SESKOAD). La Cia svolgerà inoltre un ruolo chiave nell’elaborazione della propaganda anticomunista dei golpisti, non solo facendo circolare false notizie sulle atrocità commesse dai comunisti, ma fomentando l’odio razziale contro i cinesi o religioso contro gli atei. L’ambasciata e l’intelligence degli Usa avevano anche stilato un elenco di 5000 quadri di tutti i livelli del PKI (Partito Comunista Indonesiano) per l’esercito indonesiano, facilitando così la distruzione fisica di questo partito.

Nel periodo 1965/1967, quasi un milione di comunisti indonesiani furono eliminati dalle forze governative aiutate da squadroni della morte.

Genocidio a Timor Est.

In seguito all’invasione indonesiana di questo stato del sud-est asiatico, si è registrato lo sterminio violentissimo di oltre 250.000 persone in meno di cinque anni. L’offensiva condotta dall’esercito invasore puntava all’annientamento di Timor Est nel ? massacrando la popolazione a più riprese, provocando carestie e arrivando addirittura alla limitazione delle nascite tramite la sterilizzazione forzata delle donne. Si è condotta la distruzione ragionata del sistema agricolo e intere famiglie di contadini, che prima abitavano sparsi sul territorio e sulle montagne, sono state trasferite in villaggi strategici per essere meglio controllate e affamate. I Timoresi perseverano nella resistenza grazie anche al sostegno della popolazione e della Chiesa Cattolica. Intanto le autorità procedevano anche ad una vasta opera di infiltrazione etnica, spostando masse di contadini poveri da Bali e Giava sulle migliori terre sottratte ai timoresi ,nel tentativo palese di rendere il popolo autoctono una minoranza sulla propria stessa terra. Il governo provò anche ad offrire posti di lavoro in altre isole dell’arcipelago al fine di disperdere il più possibile la popolazione timorese ma, quando ciò non risultò sufficiente, ricorse senza remore alla deportazione di massa. Il conteggio delle vittime risulta difficoltoso a causa del serrato blocco sull’informazione imposto dal regime di Giakarta. Nel 1975 si parlava del 10% della popolazione uccisa, nel 1979 del 15% mentre nel 1988 la cifra si attestava a circa il 30%. Il Dipartimento di Stato stima le perdite in numero compreso tra 100.000 e 200.000 morti di fame o a causa degli effetti degli agenti chimici e defolianti. I dati ci confermano che gli indonesiani hanno attuato uno dei genocidi peggiori della storia.

 

Genocidio bengalese.

A inizio anni ’70 il potere in Pakistan era detenuto dall’etnia punjabi e dai mohajir. Con sorpresa di tutti però nelle elezioni del 1970 vinse la Lega Awani, ovvero il partito nazionale bangalese (il Pakistan orientale). Allora il 25 marzo 1971 le forze militari pakistane attaccarono il Bengala allo scopo di sterminare la nuova classe dirigente uccidendo politici, intellettuali, studenti e uomini d’affari. Fu un massacro. Alcuni storici parlano di 3.000.000 di persone uccise, di 400.000 donne torturate e violentate, 10.000.000 di profughi. Il tutto in un brevissimo arco di tempo: si calcolano circa 10.000 persone uccise al giorno.

Genocidio nigeriano

Dall’indipendenza della Nigeria nel 1960 i tre gruppi etnici, Hausa, Yoruba e Igbo, hanno sempre combattuto per il controllo del Paese. Dopo l’assassinio del presidente igbo Johnson Aguiyi-Ironsi da parte del generale hausa Yakubu Gowon, praticamente un contro-colpo di stato, gli abitanti del sud-est del Paese furono esclusi dal sistema di potere. Nel 1967 il governatore militare di quella zona dichiarò la secessione? in Repubblica del Biafra. Iniziò così una guerra civile molto aspra. Non riuscendo ad avere la meglio, i nigeriani iniziarono un durissimo assedio al Biafra con un blocco navale, terrestre e aereo e nel frattempo portando avanti incursioni nelle fattorie al fine di prendere il Paese “per fame”. Sono circa tre i milioni di persone morte durante il conflitto per fame o malattie.

Genocidio del popolo cambogiano

Pol Pot nel 1975 conquista Phnom Phen, abbatte il regime di Long Lot e si mette in testa di creare l’uomo nuovo. Per raggiungere lo scopo, evacua tutte le città cambogiane, raduna tutta la popolazione, perdendo centinaia di migliaia di persone per la strada, in campi di rieducazione. All’interno di questi campi li costringe a lavorare senza neanche poter manifestare affetto per i familiari, perché l’affetto veniva considerato una degenerazione borghese. Si è trattato di un omicidio pianificato di una nazione. Se era per Pol Pot potevano rimanere su 6 milioni, un milione di uomini nuovi cambogiani. Nel ‘79 sono arrivati i vietnamiti per mettere fine a questo episodio agghiacciante della guerra fredda in Asia.In poco più di 3 anni, dal 1975 il regime Khmer Rouge ( sarebbe opportuno chiamarlo Khmer Noir) provocò la morte di 2,5 milioni di persone tra esecuzioni politiche, lavori forzati ed evacuazioni dalle città attraverso la giungla.

 

Genocidio dei popolo del Ruwanda.

Nel 1994 si consumò quello che sarà il più grande massacro dalla fine della seconda guerra mondiale sotto gli occhi delle potenze occidentali che non intervengono assolutamente se non per portare via gli occidentali presenti nel Ruanda al momento dell’eccidio. Questo genocidio che si attuò fra l’aprile e il luglio del 1994, è stato il palese risultato delle politiche coloniali e post coloniali, quanto meno irresponsabili e sconsiderate, che si sono intrecciate con il retaggio storico africano. Quello del Ruanda è un genocidio diverso che vede il massacro nell’arco di poco tempo, soli cento giorni, di un numero spropositato di persone, i Tutsi. Vengono massacrate sistematicamente a colpi di armi da fuoco ma soprattutto con machete e bastoni chiodati non meno di 800 mila vittime, uomini ,donne e bambini.

 Genocidio in Darfur.

Il Darfur è una regione situata all’ovest del Sudan, nel deserto del Sahara. È in maggioranza costituita da popolazioni musulmane, come nel resto del nord della nazione, salvo alcune etnie che abitano il sud della regione che sono animiste. Il territorio è suddiviso in tre province. Dal 2003 il Darfur è teatro di un feroce conflitto che vede la lotta tra la maggioranza nera e la minoranza araba (però maggioranza nel Sudan). Iniziato nel febbraio del 2003, vede contrapposti i Janjaweed, un gruppo di miliziani reclutati fra i membri delle locali tribù e la popolazione non Baggara della regione. Il governo sudanese, pur negando pubblicamente di supportare i Janjaweed, ha fornito loro armi e assistenza e ha partecipato ad attacchi congiunti rivolti sistematicamente contro i gruppi etnici Fur, Zaghawa e Masalit. Le stime sul numero di vittime del conflitto variano a seconda delle fonti da 50.000 (Organizzazione Mondiale della Sanità, settembre 2004) a 450.000 (secondo Eric Reeves, 28 aprile 2006). La maggior parte delle ONG reputa credibile la cifra di 400.000 morti fornita dalla Coalition for International Justice. I mass media hanno utilizzato, per definire il conflitto, i termini di pulizia etnica e di “genocidio”.

 Genocidio dei popoli dell’America Latina.

  

Dalla rivoluzione messicana ai “desaparecidos” delle dittature militari degli ultimi decenni del XX secolo, sono oltre un milione le vittime della violenza di stato dei regimi dittatoriali sudamericani.

Come abbiamo scritto, l’elenco dei genocidi non è completo: basti pensare all’assassinio di milioni di indiani, mussulmani e hindu nel momento della secessione dell’India (1947-1948) e alle pulizie etniche nella ex-Jugoslavia.

É giusto che accanto alle vittime della follia nazista, nel Giorno della Memoria si ricordino anche le vittime di tutti i genocidi che invece sono stati dimenticati o non ricordati come dovrebbero. Un concetto è espresso molto bene dal filosofo e saggista spagnolo, Georges Santayana: “Chi non sa ricordare il passato è condannato a ripeterlo”.                                              

Una frase simile è scritta anche in un muro di Auschwitz.