Boca Juniors è un club molto conosciuto per i successi della sua squadra di calcio e per la fama mondiale di qualche giocatore – come Maradona, Riquelme o Tévez – che ha indossato la sua maglia. I tifosi di questo club si riferiscono in genere a se stessi – non senza dar prova di un’eccessiva autostima – come “la metà più uno del paese”. Forse questa passionale superbia risponde a una modalità che la psicologia moderna potrebbe descrivere come la “sindrome del porteño” (abitante di Buenos Aires, n.d.t.) ed è assai probabile che l’ubicazione e la cultura portuaria che gira intorno a questa istituzione avvalli il sospetto inerente a questo tipo di apprezzamento.

Non è però il caso di indugiare sull’analisi esaustiva di questo tipo particolare di argentino nato (o stabilitosi là provenendo dall’interno del paese) tra i confini del Rìo de la Plata (argentum in latino) e l’autostrada che separa due universi. Quella che porta il nome di un generale cordovese – di nome José Marìa Paz y Haedo – che dopo averci rimesso il braccio nei primi combattimenti per l’indipendenza, lottò contro il federalismo caudillista. Ciò che ci interessa evidenziare è che, al di là del luogo di nascita, da quella zona e da quel club è emerso in campo politico un imprenditore che il marketing, la manipolazione mediatica e un certo risentimento di una parte della società innalzano adesso alla massima carica esecutiva del paese.

Del resto non potrebbe essere altrimenti; il risultato elettorale che lo ha portato a questo ruolo è quasi esattamente la stessa “metà più uno” di cui di solito si vanta anche il club che l’ha avuto come presidente.

Questa esigua differenza rispetto al candidato che personificava la continuità governativa – circa 700.000 voti secondo il conteggio primario – non segnala in chiave politica un rifiuto netto e di massa delle politiche seguite dal governo che il 10 dicembre termina le sue funzioni. Questo risultato non avvalla nemmeno quello che sembra configurarsi come un cambiamento di centoottanta gradi nell’orientamento inclusivo delle politiche di Nestor Kirchner e Cristìna Fernàndez.

In questo senso risultano preoccupanti gli annunci a breve termine come la brutale svalutazione monetaria o il brusco aumento delle tariffe dei servizi essenziali, che avranno un forte e immediato impatto sui portafogli e sull’umore di molti argentini.

Le intenzioni davvero pericolose sono quelle a lungo termine. L’aumento di varie ritenute nel settore esportatore tradizionalmente collegato all’agro-pastorizia comporta un eccessivo ritorno di profitti, che non solo acuiscono la già persistente disuguaglianza (prodotto di secoli di ingiustizia), ma minacciano anche la possibilità di continuare con le misure di sostegno sociale diretto che permettono nuovi passi avanti nell’uguaglianza delle opportunità.

Questo deficit, accentuato dalla recente risoluzione della Corte Suprema di Giustizia, in cui si intima all’Amministrazione di Sicurezza Sociale dello Stato (ANSES) la devoluzione retroattiva della percentuale trattenuta sulla compartecipazione di alcune provincie, fa prevedere un progressivo sotto-finanziamento pubblico. Questo “buco” nella finanza diventerà senza dubbio un nuovo debito con la banca o un congelamento (in dollari) dell’erogazioni dello Stato – sia esso in salari o sussidi.

In ogni caso, l’obiettivo è coerente con gli interessi di una banca avida di ritornare a uno dei suoi affari prediletti, il finanziamento e successivo svuotamento della proprietà pubblica, mediante la riscossione estorsiva degli interessi sul debito. È coerente anche con l’interesse delle grandi aziende di ridurre il costo (anche in dollari) del lavoro. Il personale a cui il governo entrante affiderà questa mansione – i suoi ministri e segretari – è ovviamente coerente con il suo compito: vari sono rappresentanti provenienti da posizioni dirigenziali nelle corporazioni; gli altri sono subordinati che cercheranno di dotare di “efficacia” una gestione essenzialmente spietata e crudele.

Naturalmente non è possibile esaurire in un solo articolo l’analisi di altre intenzioni retrograde che la dirigenza entrante comincia a manifestare nell’ambito delle relazioni internazionali, della sanità o della cultura. In questo momento c’è da chiedersi se il nuovo governo, nato con un appoggio minimo e in minoranza in Parlamento, potrà realizzare questo programma.

Non c’è dubbio che il nuovo governo, alleato e rappresentante di un potente complesso mediatico-corporativo, cercherà innanzitutto di distruggere l’unità dell’opposizione kirchnerista. Per riuscire a ottenere questo tradimento utilizzerà tutti gli espedienti possibili, dalle minacce alle elargizioni.

Se questa strategia machiavellica non dovesse sortire alcun effetto (o se la sua esecuzione dovesse ritardare), ha già anticipato che si appellerà ai Decreti di Necessità e Urgenza (DNU), per eliminare (o ritardare) la discussione parlamentare delle direttive.

Il meccanismo dei DNU è previsto dall’articolo 99 della Costituzione Nazionale “solo quando circostanze eccezionali rendessero impossibile seguire i tramiti ordinari previsti da questa Costituzione per la sanzione delle leggi e non si tratti di norme che regolino la materia penale, tributaria, elettorale o il regime dei partiti politici”. Il suo uso assoluto rimanda alle dittature militari e in termini più ampi ai governi di Carlos Menem, che ne firmò 545 nei suoi dieci anni al potere.

La cosa assurda della regolamentazione di questi Decreti, risalente al 1994, è il periodo di venti giorni tra la firma e la discussione parlamentare, durante il quale le decisioni del Decreto hanno pieno valore legale. In questo modo il pericolo evidente è che il nuovo governo detti norme contrarie al benessere generale, anti-costituzionali, ma formalmente legali.

Naturalmente tutto ciò si verificherà durante i due primi anni; poi si terranno le elezioni di metà mandato, nelle quali le corporazioni metteranno tutta la “carne al fuoco” per riconfigurare le proporzioni parlamentarie a loro vantaggio.

Intanto nella base sociale una parte importante del 49% non rimane passiva e inizia a mettere in moto quella che è stata chiamata la “Resistenza con Pazienza”. Ci occuperemo in un nuovo articolo di questo fenomeno, sorto come variante creativa a difesa dei diritti acquisiti nell’ultimo decennio e vicino ai nuovi ed estesi movimenti sociali di quest’epoca.

Per ora il 10 dicembre, Giornata Internazionale dei Diritti Umani, può essere considerato un giorno nero nella storia di questa celebrazione nella Repubblica Argentina. In quella data entrerà in carica un governo che ha anticipato la sua intenzione di rivedere e invertire la politica di avanzamento dei diritti su tutti i piani. Il governo di appena la metà più uno.

Traduzione dallo spagnolo di Claudia Calderaro