La sinistra curda è delusa e delusi sono tutti quelli che in Turchia e fuori dalla Turchia avevano auspicato un cambiamento in senso democratico. E la delusione è tanto più forte quanto le aspettative erano alte e, evidentemente, fuorvianti. Ma guai a farsi trascinare ora dallo scoramento, anche perché se è vero che Erdogan ha vinto, è altrettanto vero che, nonostante la massiccia repressione, non è riuscito ad espellere il partito della sinistra curda, l’Hdp, dal parlamento turco. Proviamo quindi a fare un po’ di ordine nei nostri ragionamenti.

La strategia della tensione paga

In fondo, qui in Italia dovremmo saperlo bene: la strategia della tensione non ha come obiettivo la destabilizzazione del quadro politico, bensì la sua stabilizzazione. In altre parole, l’obiettivo è ostacolare e impedire il cambiamento, costruendo consenso attorno a una domanda di ordine. Queste, allora, erano le finalità delle stragi nostrane, da piazza Fontana in poi, e queste, oggi, erano le finalità delle bombe di Dyarbakir, Suruç eAnkara e della riapertura della guerra contro il movimento curdo. E a giudicare dai risultati elettorali, anche al netto delle irregolarità e dei brogli che sicuramente ci sono stati, l’operazione di Erdogan ha funzionato.

Nelle elezioni politiche del 7 giugno scorso il partito di Erdogan, l’Akp, aveva evidenziato una significativa crisi, scendendo al 40.86% dei consensi (18,8 mln di voti), insufficienti non soltanto per riscrivere la Costituzione in senso presidenzialista, ma anche per formare un governo monocolore (l’unico governo che Erdogan concepisca). Nelle elezioni di ieri 1 novembre, invece, l’Akp ha ottenuto il 49,4% (23,7 mln di voti), che gli consegna un’ampia maggioranza assoluta in parlamento, sufficiente a formare un governo monocolore, anche se manca ancora un pugno di parlamentari per le riforme autoritarie.

Insomma, il conflitto con il Pkk e la relativa narrazione ufficiale, la sensazione di paura e insicurezza generata dagli attentati e la guerra siriana alle porte, hanno diviso e polarizzato la società turca e costruito consenso attorno al potere costituito e alla sua promessa di ordine e sicurezza. E così, l’Akp è riuscito ad aumentare l’affluenza alle urne e togliere consensi sia alla destra fascista, gli ex lupi grigi del Mhp, scesi in cinque mesi dal 16,3% (7,5 mln di voti) al 11,9% (5,7 mln di voti), sia alla sinistra curda dell’Hdp, scesa dal 13,1% (6 mln di voti) al 10,7% (5,1 mln di voti), mentre i kemalisti del Chp sono rimasti sostanzialmente fermi (24,9% e 11,5 mln di voti a giugno, 25,4% e 12,1 mln di voti ora).

La sinistra curda resiste

La delusione è fatta da due elementi: la vittoria di Erdogan e la perdita di consensi dell’Hdp del giovane leader Selahattin Demirtas. E quindi, quasi nessuno in queste ore sottolinea a sufficienza il dato che l’Hdp ha confermato la sua presenza nel parlamento turco, dove per prima volta era riuscito ad entrare nel giugno scorso, superando l’incredibile soglia di sbarramento del 10%, introdotta a suo tempo con il fine esplicito di impedire una rappresentanza curda. Non era dunque affatto scontato che l’Hdp ce la facesse anche questa volta, visto che era il bersaglio politico principale della repressione e della guerra di Erdogan di questi mesi.

Certo, aver perso consensi, probabilmente sia tra gli elettori curdi più conservatori che in settori progressisti turchi, non è una buona cosa e imporrà delle riflessioni, ma aver superato il 10% in condizioni proibitive (arresti di militanti ed eletti, devastazioni di sedi, stato d’assedio in molte città curde, libertà di stampa praticamente azzerata ecc.) e, dunque, aver resistito al tentativo del regime di espellerlo dal parlamento, non è affatto un dato marginale.

E ora?

La sfera di cristallo non ce l’ha nessuno e le prossime mosse di Erdogan non sono del tutto prevedibili (per esempio: escalation o de-escalation nella guerra con il Pkk?), ma è del tutto evidente che la Turchia esce più polarizzata da questa “campagna elettorale” e con tutti i conflitti più che mai aperti, da quello tra Stato e curdi a quello tra laicità e islamismo politico, passando per quello tra movimenti democratici e autoritarismo. E probabilmente è proprio sull’intreccio di questi conflitti che la sinistra curda (Hdp e Pkk) e turca sarà chiamata a interrogarsi.

Per quanto riguarda noi, invece, si tratta di archiviare il più presto possibile la delusione e di riprendere/continuare l’attività solidale. Primo, perché l’Europa e il nostro governo faranno come sempre, cioè andranno a braccetto con il potere costituito ad Ankara, a maggior ragione ora che si tratta di impedire ai profughi di raggiungere il continente, e chi se ne frega della democrazia, dei diritti umani, dei curdi e tutte quelle belle cose di cui l’Europa ama riempirsi la bocca, salvo poi fare altro. Secondo, perché allo stato i movimenti curdi, dal Rojava alla Turchia, rappresentano quasi l’unica opzione politica democratica, socialmente includente e non settaria in una regione, dove altrimenti c’è soltanto l’alternativa tra la dittatura e l’oscurantismo fascistoide di Daesh.