Dalla Francia arriva dolore e terrore. Quel terrore che genera rabbia, facile a trasformarsi in odio e vendetta. Quando il sangue che scorre è il tuo, addirittura dei tuoi figli, dei tuoi fratelli, vengono fuori gli istinti più atavici. Affiora la voglia di punire, infliggere sofferenza più grande di quella subita, per intimorire e indurre l’aggressore a non riprovarci mai più. Peccato che tutti si comportino nella stessa maniera, per cui gli insulti più lievi possono trasformarsi in faide, guerre fra famiglie e comunità costellate di stupri, incendi, assassini. In una spirale senza fine. E’ la storia dell’umanità, che però non ha mai portato a niente di buono.

La storia ce lo ha insegnato in tutti i modi: la violenza genera violenza, l’unico modo per uscirne è mettere da parte l’istinto di vendetta facendo trionfare la ragione. Che significa abbandonare se stessi e trasferirsi nell’altro per capire le sue ragioni. Solo presentandoci all’altro disarmati, non per imporre la nostra visione, ma per chiedergli cosa ha contro di noi, potremo avviare quel dialogo che può mettere a tacere le armi e metterci in condizioni di fare capire anche all’altro le nostre ragioni e da lì partire per trovare delle soluzioni comuni. In altre parole la pace si fa accettando che la ragione non sta solo da una parte e che anche noi possiamo aver commesso degli errori per i quali chiedere scusa.

Gesù diceva “Chi di spada ferisce, di spada perisce” ed anche in questa circostanza l’esercizio che dobbiamo fare è chiederci se per caso abbiamo procurato ferite che oggi si ritorcono contro di noi. Potremmo dire che i mussulmani sono fanatici e intransigenti, che non accettano niente, che se la prendono anche per una battuta su Maometto. Ma se la mettiamo su questo piano non la finiamo più: in Italia abbiamo non solo il reato di bestemmia, ma perfino di vilipendio alla bandiera. Eppure si tratta solo di uno straccio. Dunque parlando di rigidità, è proprio il caso di dire che chi è senza peccato getti la prima pietra. In altre parole le responsabilità vanno ricercate a prescindere dai tratti caratteriali dell’altro, avendo la capacità di capire cosa per lui è offesa anche se per noi non lo è. In ogni caso sarebbe un errore pensare che la violenza che si sta abbattendo su di noi è dovuta alla permalosità degli islamici per qualche disegno satirico. Noi abbiamo l’interesse a sostenerlo perché ci permette di tenere l’attenzione su aspetti marginali che non chiamano in causa le nostre responsabilità. Abbiamo l’interesse a farlo perché ci permette di continuare col gioco del noi vittime innocenti, portatrici di libertà e democrazia, loro gli aggressori barbari, portatori di censura e tirannia. Ma è depistaggio.

Chi evita di pararsi dietro al dito, sa che le vere cause del terrorismo islamico vanno ricercate in quella polveriera che si chiama Medio oriente, abitato da vari filoni religiosi e linguistici che hanno difficoltà a coabitare perché ciascuno con un senso di sé così intenso da rivendicare totale autonomia organizzativa. Equilibri difficili che gli occidentali a più riprese hanno contribuito a incrinare. Come nazioni, Iraq e Siria nascono dopo la prima guerra mondiale, per accordo fra inglesi e francesi che si dividono l’area col righello, senza tenere conto di lingue, costumi, appartenenze religiose. Comunità successivamente tenute insieme da governi tiranni che reprimevano senza pietà la parte di popolazione diversa, per etnia e religione. Fra questi Saddam Hussein, che venne spazzato via dall’invasione statunitense fra le acclamazioni di alcuni e l’opposizione di altri che conobbero le torture di Abu Ghraib. Sulla necessità di liberare l’Iraq dal suo dittatore non discute nessuno, ma se l’intendimento degli Stati Uniti era ripristinare la concordia e la democrazia in Iraq, il fallimento è stato totale. Dopo nove anni di occupazione e 100.000 morti, prevalentemente civili, da un punto di vista politico gli Stati Uniti hanno lasciato l’Iraq come era, ma a parti inverse: un governo sciita che umilia i sunniti. In questo contesto si struttura l’Isis di espressione sunnita, che avanza verso un’altra zona disastrata: quella siriana. Un’Isis con un forte dente avvelenato contro gli Stati Uniti e tutte le altre forze europee che hanno appoggiato l’invasione statunitense. A maggior ragione la Francia che in ottobre ha inviato bombardieri in Siria per colpire le postazioni jihadiste.

Come se n’esce? Trovare la soluzione a un’esasperazione costruita lungo decenni di violenze a parti alterne, umiliazioni e scorrerie straniere, è tutt’altro che semplice. Ma l’importante è cominciare a mandare segnali di distensione, smettendo innanzi tutto di mandare bombardieri per assicurarsi un posto al sole, militare, politico ed economico. Sul piano militare, se qualcosa va fatto, è tagliare i rifornimenti di armi a tutte le parti in causa, affinché la guerra non possa più essere fatta per mancanza di strumenti. E poi bisognerà accettare di parlare con tutti, per conoscere le rivendicazioni di ciascuno, il loro grado di consenso popolare, le vie di attuazione. Non possiamo dire “con loro non parliamo perché seminano morte”. In guerra tutti seminano morte, se parlare è l’unico modo per uscirne bisogna farlo.

Non mi illudo che una simile strada possa trovare soluzioni immediate, ma forse potrebbe arrestare gli attacchi terroristici all’Europa. Se l’Europa dimostrasse di non volere più perseguire progetti imperialistici, ma di voler lavorare disinteressatamente per aiutare il Medio Oriente a ritrovare i propri equilibri, forse sarebbe visto con occhi diversi. Se poi fosse abbastanza intelligente da lavorare sul piano interno per garantire agli immigrati di seconda e terza generazione una situazione di piena inclusione sociale, smetterebbe di allevarsi serpi in seno che non vedono l’ora di dare sfogo alla propria frustrazione arruolandosi nelle file dell’islamismo radicale. Ma che fare come cittadini per spingere in questa direzione? Un primo passo è informarci in maniera autonoma per sfuggire al pensiero unico imposto da politici e mass media. Pensare con la nostra testa, farci la nostra idea e saperla sostenere anche se contro corrente, è indispensabile per attivare quel senso del dubbio, senza il quale nessun cambiamento può prendere forma.