“Come fai a fermare un’insurrezione democratica espressa attraverso le urne? Che cosa farai? Stato di eccezione? Applicherai leggi per togliere diritti alla gente che si è espressa pubblicamente? Cosa diranno all’Europa? Cosa diranno a noi? E se non ci fanno fare niente, cosa faremo alle prossime elezioni? O pensano di eliminarle, le prossime elezioni?”

 

Intervista a Lluìs Llach

Musicista e cantautore catalano (Girona, 1948).

 

La sua la canzone più popolare e impegnata “L’Estaca” (“Il Palo”, n.d.t.), del 1968, ha fatto cantare in catalano tutta la Spagna antifranchista. Continua ad essere la canzone simbolo della libertà e della sovranità della Catalogna. Anche la rivoluzione tunisina del 2011 ha fatto sua questa canzone.

 

Durante la dittatura franchista venne proibito il catalano, ma ciononostante, lui non ha mai smesso di cantare nella sua lingua. I suoi concerti furono proibiti. Perseguitato per le sue idee politiche dovette esiliarsi a Parigi. Il 15 gennaio del 1976, quasi due mesi dopo la morte di Franco, Lluis Llach torna dopo anni di interdizione.

 

Dopo quarant’anni sulle scene, il 24 marzo 2007 mette fine alla sua carriera in un ultimo concerto a Verges (Girona), in presenza di quasi tutto il governo della Catalogna, dove fa una dura critica all’attitudine mediocre dei politici con lo Statuto e denuncia che “da vent’anni la sinistra sociale europea ha rinunciato a trasformare la società”.

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A sette anni ha iniziato i suoi studi di solfeggio e a 19 era già un cantante famoso. Nel 1967 si integrò nel movimento della “Nova Cançò”. La sua esibizione all’ Olympia di Parigi l’ha consacrato dentro e fuori dalla Spagna. Con il suo “Viatge a Itaca” (1975) abbiamo scoperto Kavafis. E ci ha anche avvicinato, con la sua musica e le sue canzoni, al poeta Marti I Pol, il preferito di Pep Guardiola, ex allenatore del Barcellona e difensore, anche lui, dell’indipendenza della Catalogna.

 

Il suo impegnoe la sua coerenza per tutta la sua vita, in difesa della cultura, della lingua e della libertà, fanno di lui una persona molto amata e rispettata dal pubblico catalano.

 

Il 24 luglio è giunto l’annuncio che si è candidato alla coalizione indipendentista “Junts pel Si” (“Insieme per il Sì”, n.d.t.) di Girona, di fronte alle prossime elezioni al Parlamento di Catalogna, che si celebreranno il 27 di settembre.

 

“Junts pel Sì” è una candidatura di carattere trasversale e indipendentista formata dalla società civile catalana, con l’appoggio del partito conservatore “Convergenza Democratica di Catalogna” e “Sinistra Repubblicana”, così come altri partiti e gruppi civili, tra cui l’Assemblea Nazionale Catalana e Omnium Cultural, fino ad allora presidiata rispettivamente da Carme Forcadell e Muriel Casals, con l’obiettivo di vincere le elezioni plebiscitarie del 27 – S.

Dopo una vita passata a cantare per la libertà in Catalogna, sembra che sia arrivato il momento. “È così, compagni?”

Si, “Ora è l’ora”! E bisogna provarci, per questo mi sono candidato a “Junts pel Sì”, e sono a capo, con molto piacere, della coalizione di Girona. “Compagni, questo sì!”

 

Le elezioni del 27S sono determinanti.

 

Siamo davanti a un momento trascendentale, stiamo cercando di fare quello che non c’è stato permesso di fare per anni, che è questo, il nostro futuro, come vogliamo essere, che tipo di società vogliamo. Lo Stato spagnolo ha sempre dimostrato un particolare rifiuto verso le nostre ambizioni politiche, economiche e culturali e tutto ciò ci ha obbligato a percorrere strade quasi inventate. In Europa, almeno, non si è mai verificato un caso di questo tipo basato sull’azione democratica, e tutto questo si è concentrato nel 27S. Se questo giorno vincono i “Sì” per l’indipendenza, per la sovranità nazionale, avremo l’opportunità storica di iniziare a fare, nella pratica, le strutture di Stato, un Processo Costituente e iniziare la proclamazione della Repubblica Catalana. Tutto quello che non dovesse essere “Sì” sarà interpretato come qualcosa di negativo. Non ci devono essere dubbi. Dobbiamo vincere e dobbiamo provarci.

 

Stiamo vivendo una rivoluzione senza rendercene conto, una rivoluzione pacifica.

 

Sì, ma io credo che ci stiamo rendendo conto che stiamo facendo una rivoluzione perché stiamo utilizzando strumenti che fino ad ora non potevamo utilizzare. Adesso abbiamo già qualche anno di esercizio democratico alle spalle e lo strumento che abbiamo per proiettarci è uno strumento finora inutilizzato, che è il voto, la libertà di voto. Questo cambia totalmente le prospettive. Dal 2006 con tutto quello che è successo con il Tribunale Costituzionale, soprattutto nel 2010, c’è un cambio di chip nella società civile. Vogliamo smettere di essere aspiranti cittadini per diventare cittadini a pieno diritto, vogliamo lasciare la nostra condizione di sudditi per arrivare ad essere i protagonisti della nostra stessa storia e del nostro futuro.

 

Una rivoluzione democratica.

 

Sì, questo cambia tutto. Come fai a fermare una un’insurrezione democratica espressa attraverso le urne? Cosa farai? Stato di eccezione? Applicherai leggi per togliere diritti alla gente che si è espressa pubblicamente? Cosa diranno all’Europa? Cosa diranno a noi? E se non ci lasciano fare nulla, cosa faremo nelle prossime elezioni? O hanno pensato di eliminarle le prossime elezioni? Allora, come lo faranno? Io capisco che lo Stato spagnolo si trovi davanti a una sfida, e allo stesso tempo può togliere molti partiti, perché lo Stato spagnolo deve essere pianificato da capo a coda. Quello che sta succedendo in Catalogna è l’ultimo esempio della dimostrazione che lo Stato spagnolo ha fallito come progetto di futuro.

 

Dicono che economicamente sarebbe un passo indietro e usciremmo dall’Unione Europea..

Noi siamo contribuenti forti, dicono le statistiche che contribuiamo più della Francia. La Merkel non lascerà uscire un paese di punta, ancora nessuno ha detto che la creazione di un nuovo Stato vuole dire uscire dall’Europa, lo stanno ancora studiando. Noi siamo cittadini europei di pieno diritto, ma l’Europa non risolverà tutto questo prima che succeda. Vogliono farci paura, ma non ci riescono. Non c’è né un solo economista prestigioso, né internazionale che abbia posto in pericolo il futuro economico della Catalogna, neanche uno. E, attualmente, tutti stanno facendo studi e tutti dicono la stessa cosa, “Se voi uscite dalla Spagna, avrete un futuro economico migliore”. Il problema è come uscire dalla Spagna.

La Catalogna continuerà ad essere bilingue?

Certo, ce l’abbiamo in programma. È chiaro che una nostra lingua ufficiale, che è quella catalana, ci deve essere, e che deve anche essere particolarmente tutelata, ma, per favore, è chiaro che il castigliano fa già parte del nostro patrimonio culturale.

 

Che cosa direbbe alle persone che parlano castigliano?

 

Non devo dire assolutamente niente! Potranno anche essere persone che parlano castigliano come lo sono stati fino adesso, con rispetto e affetto. E lo dice una persona che, fino ai 16 anni, manifestava una straordinaria preferenza per Garcia Lorca. Per favore! Se c’è una cosa che mi spaventa è che noi, come paese, dobbiamo esistere facendo le bestialità che ci sono state fatte a noi. Non lo sopporterei, dovrei andarmene da qui. Non è possibile. Questo è un paese di convivenza, di miscuglio e di sintesi, e, in più, siamo tutte queste cose anche storicamente. “Junts pel Sì” dice che nessuno sarà obbligato a rinunciare alla nazionalità spagnola. Questa è una candidatura di convivenza e di positivismo. Su questo non c’è nessun dubbio. E’ che noi siamo noi! Io mi chiamo Grande, Lluis Llach Grande. Mio nonno era di Madrid, e io sono qui, vivo qui, la maggior parte di noi è testimone di tutto questo.

 

Si può essere di sinistra e non difendere le libertà dei popoli?

 

No, questa è una cosa che per me è chiara. Quando avevo vent’anni lo dicevamo nei concerti e, per questo, venivamo banditi. Non ci sono esseri umani liberi che vivono in popoli che non sono liberi. E, al contrario, non ci sono popoli liberi senza esseri umani liberi. Non ci sarebbe nemmeno una sovranità sociale, se non ci fosse una sovranità nazionale. Ci è sempre stato chiaro. Adesso ci sono problemi di clientelismo elettorale che fanno in modo che questo non sia chiaro.

 

Si può essere nazionalista e difendere gli interessi di una minoranza capitalista?

 

Stiamo facendo un paese, e un paese non lo può fare un solo settore. Se dobbiamo fare un paese libero, sovrano, vuol dire che dobbiamo fare la maggioranza, e in questa maggioranza entrano tutti i settori. Se devo candidarmi insieme a Artur Mas lo faccio! Dopo sarò il primo che farà critiche se continueranno a fare la stessa politica, ma se dobbiamo fare un paese dobbiamo esserci tutti. Dopo si potranno fare governi di sinistra o no, ma prima dobbiamo fare un paese.

 

Lo Stato spagnolo non ha mai accettato la diversità culturale e storica dei suoi popoli.

 

Perché la Spagna è stata fatta su un errore storico, ovvero l’imposizione di una comunità molto potente in un determinato momento sulle altre. Inoltre, è stata un’imposizione molto poco intelligente. La repressione spagnola è sempre stata “sostenerla e non emendarla” e prendere in giro fino alla fine. L’essenza spagnola, tra le altre cose, è stata l’annichilimento delle minoranze, questo è stato il “live motive” di questo Stato e quello da cui vogliamo scappare. La Spagna è vittima quanto noi di questo Stato. Questo Stato è un animale molto strano, fatto da cellule viziate che vengono dai figli dei latifondismi andalusi.
La Spagna non risolverà i suoi problemi se non lotta contro il suo Stato. È quello che in origine strutturava “Podemos”, ovvero, l’indignazione. C’è una lotta da sempre, di sinistre e destre, però c’è un’altra lotta molto più nascosta, uguale o più importante, che è la lotta tra il potere e i cittadini. È il momento, adesso, per i cittadini di essere protagonisti. Mi è piaciuta molto Ada Colau quando ha detto “Da quando sono al potere, ho meno potere”, questo mi è piaciuto molto.

 

Ada Colau, Muriel Casals, Carme Forcadell… è il momento delle donne?

 

Credo davvero che le donne abbiano una maniera di fronteggiare i problemi e la vita, totalmente diversa dagli uomini. Credo che la donna capisca la complessità, a livello quasi di DNA, invece, l’uomo deve capire che cos’è questa complessità. Credo che loro, la Muriel e la Carmen, hanno fatto un lavoro squisito, la loro maniera di vedere le cose ha toccato tutti noi, io ho piena fiducia in loro. Le donne capiscono la globalità in un modo molto speciale, con molta sensibilità, e credo di sì, che questo sia il momento delle donne.

 

Quando ritorni in Senegal?

 

Non posso adesso, ci sono andato quindici anni fa per terminare la biblioteca, organizzare e delegare. Funzionerà, c’è gente straordinaria lì. Adesso devo stare qui. Mi disturba molto non poter andare, non vedere quei sorrisi, quei bambini che arrivano alla nuova biblioteca, a loro piace, e piace anche ai ragazzi di diciotto anni che non hanno luce né tavoli nelle loro case, e che, nel periodo degli esami, sono venuti tutti in biblioteca. Adesso abbiamo un nuovo progetto, la “biblio-carretta”, che ogni mattina arriverà in un villaggio, in accordo con i professori, per incoraggiare i più piccoli alla lettura.

 

Si può vivere senza musica, senza poesia?

 

C’è gente che lo fa. Io direi, a chiari termini, di no. Perché la gente che non sa leggere, magari sa fare poesia, a volte con un gesto, allattando un figlio con un sorriso… L’essere umano è capace di esprimere questa sensibilità. Come musicisti, i senegalesi sono i migliori con i poli-ritmi, ci sono orchestre intere di percussionisti straordinari che non conoscono neanche una nota…

 

Il prossimo 11 settembre, festa nazionale della Catalogna, la “Via Libre” sarà di nuovo festiva, allegra e con tanta gente.

 

Sì, credo che sarà molto importante. Per fare il grande salto dobbiamo fare uno sforzo coraggioso, aperto, per il diritto di decidere, per la sovranità. Torneremo lì, torneremo a sorridere, ci guarderemo di nuovo negli occhi e diremo: “Va! Adesso Sì!”

 

 

Tradotto dallo spagnolo da Claudia Calderaro per Pressenza