Ieri mattina a Budapest ero in una palestra dove vado spesso, per combattere gli effetti del tempo che passa muovendo il corpo e quando sono uscito ho sentito la sirena di una moto della polizia che veniva verso di me. Mentre mi guardavo intorno per capire cosa stava succedendo ho notato altri due veicoli che si avvicinavano e ho pensato che qualche presidente straniero stesse visitando il paese con una scorta speciale.

Con mia grande sorpresa invece le moto e le macchine della polizia stavano scortando un pulman verso la sede dell’Ufficio Immigrazione, che sorge proprio lì di fronte.

Una volta capito che non si trattava di un dignitario straniero – visto che pochi dignitari viaggiano su vecchi pulman – mi sono chiesto se a bordo ci fossero dei pericolosi criminali. Poi mi sono ricordato di aver sentito per tutta la mattina dal mio appartamento il rumore delle macchine della polizia che si muovevano per la città e di averlo ignorato. Possibile che le due cose fossero collegate? Quando il pullman mi ha superato ho visto inorridito i visi di donne e bambini, chiaramente profughi, seduti a bordo, mentre gli uomini erano in piedi circondati da agenti di polizia: una decina di poliziotti scortavano cinquanta profughi. Portavano mascherine del tipo usato per evitare malattie contagiose.

Non so come fosse la vita nella Germania nazista prima della seconda guerra mondiale e dell’inizio dell’olocausto, ma scommetto che non fosse molto diversa dallo spettacolo a cui stavo assistendo a Budapest in una calda giornata estiva del 2015. Ripetendo l’orrore delle scene di Budapest, nella Repubblica Ceca la polizia ha cominciato a disegnare numeri di identificazione sulle braccia dei profughi.

Budapest è quasi in stato d’assedio. Ogni giorno arrivano migliaia di persone, probabilmente più di prima della costruzione dell’assurdo muro alla frontiera con la Serbia. Ora che la Germania ha dato via libera all’accoglienza dei siriani, ogni profugo con l’aria vagamente medio-orientale si sta dirigendo là. Certa gente sta facendo un sacco di soldi fabbricando e vendendo falsi passaporti siriani. All’inizio della settimana la polizia ungherese ha permesso ai profughi di viaggiare senza che i documenti venissero controllati, ma poi ha cambiato idea e ora fuori dalla stazione ferroviaria ci sono circa 3.000 rifugiati in attesa che le autorità cambino di nuovo idea.

I politici europei annaspano in uno stato permanente di improvvisazione. Non hanno la più pallida idea della risposta da dare a questa situazione e ogni tipo d’accordo è impossibile. Durante una riunione tra i leader dell’Unione Europea avvenuta la settimana scorsa si è parlato di una quota “volontaria” di  circa 32.000 profughi per paese, distribuendo così gli 800.000 che la Germania si aspetta quest’anno. È ridicolo però pensare che paesi oppressi dall’austerity e con economie fragili siano in grado di accogliere dei profughi. Altri paesi si rifiutano di prendere in considerazione l’idea, mentre Polonia, Irlanda e Slovacchia vogliono solo profughi cristiani.

Gli accordi di Schengen stanno per crollare sotto l’impatto di un simile afflusso di gente. 800.000 persone sono solo la punta dell’iceberg. Ogni essere umano che arriva stimola il viaggio di altri, trasmettendo la sua esperienza per telefono o via Internet a chi è rimasto indietro. Arrivano intere famiglie, con bambini, anziani e perfino disabili, fuggendo dall’incubo che l’Occidente ha creato nei loro paesi.

Se l’Europa vuole risolvere questo problema deve capirlo nella sua ultima radice, ossia le guerre della Nato e la sua interferenza in altri paesi. Gli Stati Uniti e i loro alleati pensavano di poter bombardare paesi e distruggere economie e vite senza conseguenze, ma ora è arrivato il momento di pagare il conto. C’è voluto un po’, ma prima il Kosovo e ora la Siria si stanno svuotando dei loro abitanti. Sono tutti convinti che in Occidente ci sia una vita migliore per loro e sono pronti a correre il rischio perché nei loro paesi non hanno più niente.

Se l’Europa vuole davvero risolvere la crisi dei profughi, allora è necessario un radicale cambiamento della sua politica estera. Lo ha capito perfino il Primo Ministro inglese David Cameron: oggi ha detto che il modo migliore di risolvere la crisi dei profughi è portare la pace in Medio Oriente.

Negli ultimi anni l’equilibrio di potere tra capitale e lavoro nel mondo è andato cambiando sempre di più a favore del capitale. A meno di non collegare le diverse crisi– guerre e spese militari, crollo economico e disastro ecologico – non troveremo la risposta giusta.

Vale la pena di riconoscere che oggi ci sono delle somiglianze con altri momenti storici. Prima della seconda guerra mondiale si è verificata un’enorme ondata di xenofobia e nazionalismo in un paese soggetto a una terribile austerity. Oggi la xenofobia, il nazionalismo e l’austerity compaiono tutti i giorni nei notiziari.

Pare che dopo la guerra la gente in Europa occidentale e nel mondo fosse così sconvolta da ciò che era accaduto da introdurre cambiamenti fondamentali. Nell’Europa occidentale c’è stata una grande espansione dei servizi pubblici, le industrie chiave sono state nazionalizzate e la distanza tra ricchi e poveri è diminuita. Il capitale era più al servizio dell’essere umano. Poi però ha acquistato un potere sempre maggiore, facendo retrocedere i miglioramenti dei servizi pubblici e i benefici forniti dalle industrie nazionalizzate. Queste sono state vendute a prezzi stracciati per arricchire un numero ristretto di persone e l’equilibrio di potere tra capitale e lavoro si è di nuovo spostato a favore del capitale.

Oggi il Grande Capitale ha un tale potere da essere praticamente fuori controllo. Crea caos e distruzione accumulando profitti a spese dell’essere umano. La Nato è il suo braccio armato.

Se tutto questo non viene fermato in fretta, ci troveremo nella situazione descritta dal filosofo, scrittore, poeta e saggista spagnolo George Santayana: “Chi non ricorda il passato è condannato a ripeterlo”.

Per l’Europa un ottimo punto di partenza per invertire l’avanzata verso una guerra globale sarebbe riconoscere che la Nato crea più problemi di quanti ne risolva e sciogliere l’alleanza.

Questo fine settimana a Helsinki, in Finlandia, si terrà una conferenza sulla Nato, la Russia e la zona del Mar Baltico, organizzata dalla rete “No to War – No to NATO”. La conferenza ha l’obiettivo di “riunire cittadini delle regioni baltiche ed esperti per informarsi a vicenda, analizzare la situazione tesa della zona e presentare alternative alla militarizzazione. Queste comprendono la cooperazione, una casa comune per l’Europa e l’OSCE (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) e la neutralità. Oltre ad analizzare la strategia della Nato e i suoi interessi geo-strategici, la conferenza discuterà anche degli impatti negativi di tali politiche sulle società, soprattutto per quanto riguarda la giustizia sociale e di genere.”

Il momento è più opportuno che mai, visto che in ottobre la Nato terrà esercitazioni militari in Italia, Spagna e Portogallo. Gli attivisti di questi paesi stanno organizzando una serie di manifestazioni per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla pericolosa dottrina militare sostenuta dalla Nato e i suoi effetti sulla vita quotidiana dei cittadini europei. Nonostante l’austerity le spese militari non calano e i paesi Nato continuano a intensificare la loro retorica contro la Russia, cercando di attribuirle il ruolo di “cattivo” prima ricoperto dall’Unione Sovietica durante la guerra fredda.

Parteciperanno delegati da tutta l’Europa e Pressenza seguirà l’evento.

Traduzione dall’inglese di Anna Polo