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Il maggior impianto petrolifero del Paese è stato chiuso martedì dopo essere stato preso d’assalto ed occupato da un gruppo armato locale, legato alle milizie islamiste che da agosto controllano Tripoli, che in questo modo voleva dar risalto alle proprie rivendicazioni politiche e economiche.

E mentre continuano violenti gli scontri al porto di Bengasi e in altre zone del Paese, l’agenzia Lana ha oggi comunicato che la Corte costituzionale libica ha annullato i risultati delle elezioni parlamentari del 25 giugno scorso che hanno portato alla formazione dell’attuale Camera dei rappresentanti, sciogliendo di fatto il parlamento di Tobruk, riconosciuto dalla comunità internazionale.

Una decisione preoccupa anche il nostro Ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, che ha commentato: “Dalla Libia sono arrivati sulle nostre coste 132.000 rifugiati dei 162.000 totali arrivati in Italia. […] Il rischio è molto grande, le notizie […] sull’annullamento delle elezioni confermano la necessità di rilanciare l’iniziativa della Nazioni Unite. La minaccia non riguarda solo l’Italia, riguarda tutti noi”.

Secondo il sito di informazione Bawabat Al-Wasat, ammonta a oltre 250 persone il bilancio delle vittime dell’ultima ondata di violenze che da ottobre sta sconvolgendo Bengasi. La tensione resta molto alta soprattutto nell’area del porto, a Sabri, dove l’esercito libico fedele all’ex generale Khalifa Haftar aveva imposto martedì un ultimatum ai miliziani di Ansar al-Sharia intimando ai residenti di abbandonare le abitazioni prima dell’inizio delle offensive. Centinaia di famiglie avevano infatti abbandonato le proprie case nella città portuale mentre le lotte in strada tra i gruppi armati rivali continuavano a terrorizzare la città.

Secondo il quotidiano Libya Herald, nella serata di ieri è divampato un incendio nel principale ospedale di Bengasi, il Jumhoriya, il cui reparto di maternità era già stato colpito da un incendio ad ottobre. Il primo novembre, invece, una forte esplosione aveva creato ingenti danni nei pressi del Benghazi Medical Centre.

L’assalto ai pozzi di El-Sharara rischia di determinare un calo della produzione nazionale dagli attuali 800.000 a circa 600.000 barili al giorno. Il giacimento era sfruttato dalla società statale libica National Oil Corporation e dalla spagnola Repsol. I pozzi sono stati occupati mentre nell’est del Paese continuano i combattimenti tra le milizie islamiste e le forze legate al governo riconosciuto dall’Onu.

Nel resto del Paese la situazione non è migliore dove nella giornata di ieri si sono accese battaglie anche a Kikla, nell’Ovest della Libia, dove da tempo c’è tensione tra islamisti e milizie locali. Sembra che le vittime delle ultime due settimane siano ben 142 e i feriti 518, un numero decisamente elevato, segno che il livello degli scontri si sta alzando notevolmente e che quelli che fino ad oggi sono sembrati gli strascichi di una guerra civile mai realmente risolta potrebbero invece svilupparsi in un nuovo e violento conflitto civile.

Fonti AnsaMed/Agenzie