L’Assemblea Nazionale Catalana (ANC) ha come obiettivo l’indipendenza della nazione catalana con mezzi democratici e pacifici. Riunisce oltre 500 assemblee territoriali ed è formata da decine di migliaia di persone che lavorano in modo disinteressato per la libertà collettiva. L’ANC ha organizzato le tre mobilitazioni più grandi della storia dei Paesi Catalani e tra le maggiori avvenute in Europa. La prima, l’11 settembre  2012, con lo slogan “Catalogna, nuovo stato europeo”, la seconda, nel 2013, con il titolo “La Via catalana verso l’indipendenza” e l’ultima, nel 2014, con la Via Catalana “L’ora è ora”.

Intervistiamo la presidentessa dell’ANC Carme Forcadell:

Il diritto all’autodeterminazione è uno dei principali diritti umani.

Sì; secondo la Carta delle Nazioni Unite, firmata e ratificata da oltre 160 paesi, il diritto all’autodeterminazione appartiene a tutti i popoli, è un diritto collettivo che va esercitato collettivamente, ma lo Stato spagnolo lo nega al popolo catalano, non ci lascia decidere sul nostro futuro.

Un paese che proibisce al suo popolo di votare si può considerare democratico?

Ci piacerebbe che il primo ministro spagnolo Rajoy fosse come David Cameron, primo ministro britannico, che è stato un esempio di democrazia. Una volta si poteva proibire il voto con la forza, ma per fortuna abbiamo un regime democratico da oltre 35 anni, siamo nel XXI secolo e facciamo parte dell’Unione Europea. In democrazia vale la volontà della maggioranza. Oggi i conflitti politici si risolvono politicamente, ossia parlando. 

Cosa c’è dietro l’“indissolubile unità della nazione spagnola”?

Purtroppo quando siamo passati dalla dittatura alla democrazia e si è scritta la Costituzione non c’è stata una rottura democratica, ma una transizione. Le persone al potere durante il franchismo ci sono rimaste;  pertanto la Costituzione non è stata veramente democratica, perché l’hanno scritta persone che avevano collaborato con la dittatura, all’ombra di questo potere e all’ombra dell’esercito.

Quando lo Stato spagnolo non rispetta gli accordi, quali meccanismi giuridici e legali può utilizzare la Catalogna per difendersi?

Non abbiamo nessun meccanismo legale. Lo Stato spagnolo si basa sulla Costituzione e nella Costituzione la Catalogna non appare, non le viene riconosciuto alcun diritto come popolo. E’ molto difficile contare su meccanismi per obbligare lo Stato spagnolo a rispettare gli accordi, perché il Tribunale Costituzionale difende la Costituzione e questa non ci riconosce come popolo. E’ un Tribunale che si è sempre utilizzato contro gli interessi della Catalogna.

Il 9 novembre si terrà la consultazione per l’indipendenza. Perché sono necessarie in seguito delle elezioni plebiscitarie?

Vogliamo che il 9N sia un processo partecipativo e un successo, che tutti possano scendere per strada, votare ed esprimere la loro volontà. Riteniamo necessarie delle elezioni plebiscitarie perché quando il governo si è presentato alle elezioni del novembre 2012, il suo programma conteneva la promessa di consultare il popolo catalano in modo che potesse decidere il suo futuro. La consultazione del 9 novembre non è come la volevamo, nonostante sia molto importante e abbia un grande valore politico; pertanto avremo bisogno di un mandato democratico che ci dica realmente cosa vuole la maggioranza dei catalani. Avremo bisogno di un mandato democratico che affermi davanti alla Spagna e davanti al mondo che possiamo negoziare il nostro futuro e questo ce lo possono dare solo delle elezioni.  Possiamo considerare questa consultazione il primo turno delle elezioni, che poi ci conferiranno un mandato democratico.

Non sarebbe meglio aspettare e negoziare con un possibile nuovo governo spagnolo uscito dalle elezioni del 2015?

Il fatto è che non gli crediamo. L’ultimo negoziato che abbiamo fatto con lo Stato spagnolo riguardava lo Statuto approvato nel 2005.  Lo Statuto era frutto di un negoziato tra il governo catalano e quello spagnolo, ma quello che abbiamo votato non corrispondeva a ciò che era uscito dal Parlamento della Catalogna, era più ridotto. Dopo le trattative il governo spagnolo lo ha portato davanti ai Tribunali, ossia una cosa insolita. E questo Tribunal ha sostenuto che lo Statuto non poteva esistere, visto che era stato negoziato con il governo spagnolo e approvato dal popolo catalano. Questo dimostra che allo Stato spagnolo non importa niente di ciò che pensiamo e sentiamo, delle nostre opinioni. Non ci rispettano, né come cittadini né come popolo. E dunque che credibilità può avere un governo che ha già dimostrato di non rispettarci? Non è stato solo il Partito Popolare a dire che non potevamo votare, ma anche quello socialista. Chiunque vinca le prossime elezioni per noi sarà uguale; pertanto abbiamo deciso che il futuro della Catalogna deve stare nelle mani dei suoi cittadini e che il momento è adesso.

Cosa succederà dopo? Dove ci porterà questa consultazione?

Questa consultazione serve semplicemente a conoscere l’opinione di tutti, è un processo partecipativo perché tutti possano dare la loro opinione e dire se la Catalogna deve o no essere indipendente. E tutti potranno votare. Questo non crea un mandato democratico, non è un referendum come volevamo noi. Dunque è necessario che dopo si tengano delle elezioni e a partire da là il governo catalano avvierà i negoziati.  Una cosa è “Dichiarare” l’indipendenza e un’altra “Proclamarla”. Se la maggioranza dei cittadini catalani dirà che vuole uno Stato indipendente, bisognerà fare una dichiarazione d’indipendenza, annunciando alla Spagna, all’Europa e al mondo che vogliamo essere indipendenti e che cominceremo a lavorare per diventarlo. A quel punto inizieranno i negoziati con lo Stato spagnolo, con l’Unione Europea e con l’ONU e si cominceranno a creare le strutture statali.  Avremo bisogno di un’agenzia catalana dei tributi e dovremo lavorare a livello internazionale perché il mondo ci riconosca e per creare le strutture dello Stato. Una volta dichiarata l’indipendenza, lavoreremo per un anno, un anno e mezzo per proclamarla, quindi di fatto saremo indipendenti.

Come verranno trattati i cittadini che non sono catalani e gli immigrati?

Questo è un processo di tutti, a prescindere dalla lingua e dalle origini; tutti quelli che abitiamo qui vogliamo un paese migliore e dovremo costruirlo tra tutti. Non siamo forse tutti uguali? Non siamo tutte persone? Quando saremo indipendenti diventeremo tutti cittadini catalani lo stesso giorno; non saremo immigrati, ma cittadini catalani. Sarà per tutti il primo giorno della Repubblica Catalana.

Quando una donna vuole separarsi e diventare indipendente dal marito ha bisogno in primo luogo di una grande risoluzione e poi di risorse economiche. Il popolo catalano ha dimostrato la sua volontà manifestando per strada, ma dispone delle risorse necessarie per farlo?

Abbiamo le risorse necessarie, ma oggi non le raccogliamo; è questo il problema. Noi siamo il 16% della popolazione spagnola, abbiamo il 19% del prodotto interno lordo e paghiamo il 24% delle tasse. Dunque le risorse ci sono, ma non le raccogliamo e così se ne vanno.

Una volta indipendenti, come pagheremo le pensioni?

Paghiamo già le pensioni catalane ogni mese con il denaro di chi lavora e versa i contributi in Catalogna. Questi contributi servono a pagare le pensioni, non sono in una cassa di Madrid. La Catalogna continuerà a lavorare e si continueranno a pagare le pensioni con i contributi dei lavoratori catalani.

Cosa ci servirà uno Stato nostro, se taglierà le spese sociali?

Dovremo fare in modo che non ci siano tagli. Sarà una nostra responsabilità. Vogliamo l’indipendenza, ma vogliamo anche scuole migliori, una sanità migliore, servizi sociali migliori e vogliamo decidere il nostro futuro. Ci siamo resi conto che come cittadini abbiamo molta forza e che uniti possiamo cambiare molte cose. Abbiamo recuperato la sovranità. In una democrazia questa appartiene al popolo. Lo Stato che costruiremo dipenderà da ciò che saremo capaci di fare. Dopo tutto quello che abbiamo fatto per ottenere uno Stato migliore, sarebbe un errore colossale  non riuscire a renderlo tale. Non possiamo perdere questa opportunità; dobbiamo far capire ai cittadini che siamo noi a renderlo migliore o peggiore. Vogliamo uno Stato che non faccia tagli, chiaro.

Dopo il 9N, il popolo catalano verrà di nuovo consultato sul modello di sanità e istruzione pubblica, sugli sfratti e i salvataggi delle banche?

Ci aspettiamo di sì. Dobbiamo decidere se vogliamo restare nell’Unione Europea, sul tipo di sanità che vogliamo, dobbiamo decidere tutto. I partiti politici dicono che faranno una cosa e poi fanno l’esatto contrario. Bisogna risolvere questo punto: dobbiamo esigere che i politici mantengano le promesse elettorali. La pressione popolare che tutti noi stiamo esercitando per poter decidere il nostro futuro dobbiamo esercitarla anche per avere una sanità migliore e per esigere che i partiti politici realizzino il loro programma elettorale. Non vogliamo più sfratti, vogliamo decidere se aiutare le persone o le banche. Il governo spagnolo ha deciso di salvare le banche e abbandonare le persone. Questo è molto grave. Un governo deve preoccuparsi dei cittadini e non delle banche, che oltretutto stanno nei consigli di amministrazione delle imprese e continuano ad arricchirsi. Questo è vergognoso e intollerabile e in Spagna succede più che in qualsiasi altro paese del mondo.

Può essere libero e sovrano un popolo governato dalla Legge di sicurezza che nega il diritto di manifestazione?

Ovvio che no. Vogliamo l’indipendenza proprio per cambiare queste cose. Noi siamo un movimento dal basso verso l’alto e siamo qui non perché lo abbiano voluto i politici o le elite economiche, ma perché lo abbiamo voluto tutti noi, la maggioranza della gente. Questa è la nostra forza. Ed è questa forza che può far sì che le cose cambino. La sfida è riuscire a mantenere la forza che abbiamo recuperato a così caro prezzo.

Da dove trae Carme Forcadell la sua vitalità e la sua calma?

Dalla gente. In questo paese c’è moltissima gente che lavora moltissimo per costruire un paese migliore. Ci sono molte donne e molti uomini che potrebbero fare esattamente quello che farei io. Noi siamo assembleari e ci muoviamo in base a quello che decide la maggioranza. Io sono qui in prima linea, ma la forza appartiene alla gente ed è questo che mi spinge. 

Martin Luther King aveva un sogno che si è realizzato. Qual è il sogno di Carme Forcadell?

Non è solo un sogno mio, ma di migliaia e migliaia di cittadini di questo paese. Dobbiamo approfittare di questa occasione storica, che pochi popoli hanno. Noi ce l’abbiamo e dobbiamo costruire questo paese tra tutti, perché sia migliore, con la forza della gente. Se lo facciamo bene sarà un esempio per il mondo, visto che lo avremo ottenuto in una maniera radicalmente democratica e assolutamente pacifica. Cambiare le cose in questa maniera è un esempio per il mondo. Questo è il sogno mio e di moltissime altre persone.

Traduzione dallo spagnolo di Anna Polo