Alla vigilia delle elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo del 25 Maggio, la vicenda ucraina sta assumendo contorni ben più ampi di quelli che usualmente vengono tratteggiati, specie da parte di una stampa distratta ed osservatori frettolosi. In gioco in Ucraina non sono soltanto gli assetti del potere nazionale e gli interessi russi sul Mar Nero; in ballo è la tenuta stessa della democrazia, e, in particolare, del principio di pluralismo – etnico, culturale, politico – in Europa.
L’assenza di un profilo politico, al tempo stesso, credibile e riconoscibile, dell’Unione Europea, è, insieme, causa ed effetto della disastrosa intromissione da parte di Bruxelles negli affari interni di Kiev e, prima ancora, della catastrofica sconsideratezza del fatto che proprio di affari interni si trattava, nel caso della sollevazione antigovernativa e della successiva reazione delle forze dell’ordine. Dimenticare o dissimulare la vigenza dei principi, insieme, di auto-determinazione e non-ingerenza, porta infatti a clamorose violazioni della giustizia e della legalità internazionali ed a devastanti conseguenze dal punto di vista degli equilibri regionali e del rispetto dei diritti umani.
Ma, appunto, quel nesso di causa ed effetto è, questa volta più che mai, biunivoco. L’incapacità della Unione Europea di parlare ed intervenire con una voce sola nelle grandi questioni globali (e la vicenda russo-ucraina, come tutto il sistema di relazioni europeo-orientali, è una grande questione globale), mediando tra i diversi interessi dei singoli Paesi Membri, lascia campo aperto al volere, e, spesso, all’arbitrio del più forte, e agli interessi nazionali, politico-economici, che vi retro-agiscono, come ha dimostrato il ruolo, preponderante ed intromissivo, svolto dalla Germania.
D’altro canto, il protagonismo di voci specifiche contrarie ad una soluzione negoziale (in primo luogo con gli Stati limitrofi e la Russia), ha deteriorato e radicalizzato la posizione europea, rendendola indistinguibile nei fatti da quella degli Stati Uniti e della Alleanza Atlantica, pur essendo gli interessi europei nell’area non interamente coincidenti con quelli statunitensi.
Se queste rapide premesse sono fondate, allora appare superficiale – ed un tanto ideologica – la posizione di quanti affermano che, a Piazza Indipendenza a Kiev, l’Unione Europea ha “mostrato il suo vero volto” o piuttosto “svelato la sua vera natura”. Che l’Unione Europea sia (anche) il campo della conflittualità inter-imperialistica tra i più potenti dei suoi Stati Membri è evidente oggi, con la Germania e la Polonia sul fronte ucraino, così come era chiaro ieri, con la Francia e la Gran Bretagna sul fronte libico o, ancora più recentemente, nel teatro siriano.
Né l’Italia gioca un ruolo periferico in questo big game, pure al netto della brillante assenza politica e “di visione” mostrata dalla nostra diplomazia sulla scena ucraina. Ma è proprio perché incapace di essere “unita nella diversità” e di rappresentare un’opzione unitaria sulla scena-mondo (come attore multipolare e non unipolare e soggetto “europeo” e non “atlantico”) che la UE finisce per giocare un ruolo opposto a quello che suggerirebbero i valori democratici cui si “ispira”.
Tra tali valori, per concludere queste brevi note, vi sono quelli del “pluralismo”: etnico, culturale, politico. La misura del carattere antidemocratico della sollevazione di Piazza Indipendenza non è solo nella composizione della rivolta, ampiamente condizionata e tendenzialmente egemonizzata da attori e soggetti ultra-nazionalisti e addirittura neo-fascisti, ma in particolare nel profilo dei suoi primi atti: revoca del russo come lingua co-ufficiale e squadrismo persecutorio contro le etnie russofone (non “filorusse” come brutalmente certa nostra stampa va ripetendo).
L’opposizione alla separazione della Crimea oggi, come a quella del Kosovo ieri, dovrebbe avere come motivazione di fondo proprio il desiderio di garantire compagini multi-etniche capaci di comporre democraticamente la questione nazionale. Né sono credibili certi richiami “dominanti” al rispetto delle integrità statuali, dopo anni in cui quelle stesse cancellerie si sono esercitate nel fomentare particolarismi e separatismi, spesso proprio di matrice etno-politica. La lunga e dolorosa vicenda balcanica, per tutti gli anni Novanta, sta lì a testimoniarlo.
Solo una concreta UE “dei popoli” può interpretare una delle grandi sfide del nostro tempo, la multi-etnicità come presupposto e garanzia della democrazia sostanziale.