Quella che sta attraversando, in questo scorcio finale di 2013, il nostro continente, già scosso dalla crisi economica e dalla instabilità politica da un capo all’altro della sua estensione, è una vera e propria partita a scacchi tra due dei poli mondiali che si contendono l’egemonia, in una inedita sfida per il primato economico e politico: la Federazione Russa e l’Unione Europea. Nulla di analogo o di assimilabile a quella che fu la guerra fredda, la storica contrapposizione bipolare tra blocchi politico-economici e motivazioni storico-ideologiche antagoniste; semmai, l’inedita riproposizione di una conflittualità di aspirazioni e di interessi, di portata strategica e generale, intorno ai quali si riaccende uno scontro complesso, che coinvolge molti attori e implica una gran quantità di elementi (non solo politici ed economici, ma anche culturali e, perfino, per certi aspetti, di valori), e si ridà spazio ad un terreno classico della controversia, quello della “contraddizione inter-imperialistica” (con buona pace dei liquidatori del ruolo dello Stato e dei cantori della fine degli “imperialismi”).

Chi ha cominciato? Non c’è dubbio che l’iniziativa russa in alcuni contesti di prossimità (che sono tuttavia presentati come “prossimi” anche dalle cancellerie europee), quali l’Ucraina, la Moldova e la Serbia, possa apparire, a tratti, aggressiva, e perfino, talvolta, spregiudicata. Ma sarebbe sbagliato minimizzare la portata della iniziativa europea verso questo scacchiere europeo-orientale, per la prima volta declinata in maniera non meno spregiudicata o aggressiva, se sono autentiche le dichiarazioni rilasciate, non più tardi dello scorso Ottobre, dal commissario europeo all’allargamento, Štefan Füle, in base alle quali “l’allargamento, in particolare verso Est, dell’Unione Europea sarà la sua priorità strategica per il 2014”, “l’allargamento dovrà essere inserito nel quadro di una strategia politica e di una visione complessiva” e, non meno rilevante: “il processo di allargamento è parte della soluzione della crisi economica e dei problemi della governance economica in Europa”.

Nulla quaestio, come si dice, se questa declinazione del processo di allargamento, così assertiva, fosse stata accompagnata ad altrettanta attenzione e consapevolezza verso i principi dell’inclusione e della corresponsabilizzazione, nell’ottica di una governance multipolare e prospetticamente democratica del sistema Europa, ben più complesso e problematico della sola Unione Europea, che una prospettiva di democrazia globale e di gestione accorta delle crisi e delle controversie nello scenario di prossimità naturalmente richiederebbe. Come se non bastasse, alle parole che non sono state dette, hanno subito fatto seguito le azioni che sono state intraprese: al di là delle legittime aspirazioni di questo o quel settore, più o meno filo-europeo o più o meno filo-russo, della società ucraina, l’intromissione (una vera e propria ingerenza) della Commissione Europea negli affari interni di Kiev è stata sorprendente e aggressiva. Una per tutte: a che titolo Aleksandr Kwasniewski, co-presidente della missione UE in Ucraina, dalle colonne del quotidiano (polacco) Rzeczpospolita, ha invitato l’opposizione ucraina filo-occidentale a usare la forza per impadronirsi del potere nel Paese?

Ha immediatamente ripreso quota il big-game, forte anche dell’impressione che desta questa Unione Europea, alle prese con la sua instabilità istituzionale e la sua crisi economica, di fare la voce grossa ma di essere, in buona sostanza, un “gigante dai piedi di argilla”. Ciò che la burocrazia europea non può offrire, è stato invece concordato tra i due paesi fratelli, Russia ed Ucraina: eliminazione degli ostacoli nel commercio bilaterale, riduzione del prezzo sulle forniture del gas russo, acquisto da parte russa di 15 miliardi di dollari di titoli di stato ucraini, riposizionamento della bilancia commerciale e conferma del partenariato strategico con la Russia, che potrebbe integrare anche Kiev nel suo progetto EurAsEc, lo spazio economico comune tra Russia, Bielorussia, Kazakistan, Kirgizistan e Tagikistan, che proietta tale sistema verso una vera unione economica di qui al 2015.

Si tratta di uno spazio concorrente al progetto europeo e aperto non solo ad Ucraina ed Armenia, ma anche alla Moldova, più vicina degli altri, in ogni caso, alla sfera di inclusione europea. Non a caso, la Transnistria, repubblica di fatto a maggioranza russo-ucraina nella rumena Moldova, potrebbe approvare una modifica costituzionale volta ad inquadrare “la legislazione della Transnistria come parte della legislazione federale della Federazione Russa”. Il big-game, insomma, è appena iniziato.