Nel 2012 la Germania ha accolto 1.080.936 migranti, di cui 37.683 spagnoli (+33,9% rispetto al 2011), 45.094 italiani (+37,2%), 35.811 greci (41,7%) e 12.609 portoghesi (fonte Le Point, maggio 2013).

Nel 2003 e nel 2004 la nazione tedesca ha avviato una serie di riforme del mercato del lavoro, tra le quali il cosiddetto “Kurzarbeit”, lavoro a tempo parziale, che hanno contribuito a generare una maggiore competitività e a sviluppare consistentemente il mercato del lavoro. In un contesto economico notoriamente difficile, è stato così possibile non solo il mantenimento dei posti di lavoro, ma anche una veloce ripresa che ha permesso di evitarne una diminuzione. Dal 2005 e fino al 2009 è diminuito il numero dei disoccupati da 4,9 a 3,4 milioni, mentre il numero dei lavoratori è aumentato a livelli record passando dai 38,7 (2005) ai quasi 40,2 milioni (2009). Un mercato del lavoro solido quello tedesco che nel 2012 conta circa 2,75 milioni disoccupati, 229.000 di meno rispetto al 2011 mentre il tasso di disoccupazione del 2012 si stabilizza 6,5% (fonti: Istituto nazionale per il Commercio Estero, Frühjahrsgutachten des Sachverständigenrates e DESTATIS Ente Federale di Statistica, novembre 2012).

Anche se nel 2012 si è assistito a un rallentamento dell’economia tedesca la Germania non vive la crisi. In questo scenario, negli ultimi anni, la terra tedesca è così divenuta la calamita per tanti europei alla ricerca di migliori sorti. Di fronte ai recenti flussi migratori il ministro Ursula Von Der Leyern si compiace valutandoli come una grande fortuna e un’opportunità per il suo paese considerato l’invecchiamento demografico che vive e tenendo in conto inoltre che l’ondata migratoria è costituita da gente giovane, formata e creativa. Insomma la Germania apre le porte allo straniero per ripartire, come sempre nella sua storia recente, al volante dell’Europa e del mondo.

Certamente per i migranti non è tutto oro ciò che luccica, né tanto meno sono da trascurare le difficoltà da affrontare all’estero; la Germania non è l’isola felice o la manna dal cielo, ma quel milione di migranti cerca un presente migliore ed anche delle garanzie sulla qualità della propria esistenza. La “fuga” di questa generazione di migranti italiani per esempio non è solamente attribuibile alla ricerca di un lavoro, ma anche al desiderio di averne uno che gratifichi e riconosca equamente competenze e talenti. La scelta di lasciare il proprio paese per cercare la via straniera è anche legata alla ricerca di una qualità di vita superiore che, badiamo bene, non è esclusivamente associabile a migliori servizi ma anche al fatto di non sentirsi costretti a respirare l’aria del sopruso, del ricatto, della pedata, del compromesso, della corruzione, dell’illegalità, della cultura mafiosa, del furbetto che s’incontra quotidianamente. Qualità della vita è non essere perennemente nella conflittualità con le istituzioni, nel non essere vittime della volgarità mediatica ma anche pretendere di riuscire a vivere in contesti che ruotano intorno al rispetto e alla dignità della persona e alla salvaguardia dell’ambiente che lo circonda. Qualità della vita è potere beneficiare del bello, è riuscire a vivere e condividere la chance di sviluppare le potenzialità intrinseche di ogni individuo.

Rinunciare a circondarsi delle proprie bellezze, dei propri affetti, dei propri ricordi, dei propri odori non è cosa semplice né scontata ed, anzi, è spesso, e per tanti, una scelta dura e complessa. Eppure si corre il rischio, si accetta la sfida spinti dalle necessità e dalla frustrazione. La disperazione finanziaria, quella sociale, il degrado culturale sono sempre più crescenti nei paesi del sud d’Europa, proprio quelli che in altre epoche invece hanno segnato e creato civiltà e progresso umano. Il vivere perennemente con degli ostacoli imposti ad arte da chi pretende di governare genera appiattimento e asfissia nella popolazione mentre gonfia le pance di classi dirigenti pilotate dall’ottusità, dalla falsa cecità e condotte da uno spiazzante affarismo individualista che negli ultimi decenni le ha erte su troni antidemocratici mascherati di democrazia.

In Italia, per un verso quelle classi dirigenti inerti oggi si giustificano additando tutte le responsabilità alla crisi economica mondiale così come alla leadership tedesca, per un altro verso lanciano slogan trionfalistici e acchiappa popolo sulle politiche del fare che alla fine sinora sono state prive di risultati concreti e di tangibili ed oggettivi miglioramenti sociali.

Le astuzie verbali del politicante di turno sembrano volere nascondere le proprie incapacità (o non volontà) nel trasformare il nostro paese in un paradiso sociale, sembrano volere offuscare le vergogne compiute da politiche sociali ed economiche scellerate perseguite per lustri dai governi nazionali, sembrano volere celare le responsabilità e accecare il popolo davanti alle attività illegali, alla corruzione e agli accordi malavitosi condotti tra politica e mafie che hanno dilapidato e dilapidano il paese di ricchezze economico-finanziarie privandolo allo stesso tempo, anche di quelle umane, sociali, artistiche e culturali.

Le nostre intelligenze migrate continueranno ad arricchire altri paesi, già ricchi peraltro, e a medio-lungo periodo contribuiranno forse a dare respiro alle casse dello Stato italiano, sbarazzatesi parzialmente e involontariamente delle indennità e delle forme di assistenzialismo del precariato che fugge via. Le statistiche sui disoccupati mostreranno numeri al ribasso, ma non per i risultati meritori dell’azione politica bensì per la conseguenza della fuga di cervelli che essa stessa ha contribuito a determinare.

Cosa ha il nostro paese in meno degli altri in termini di ricchezze, bellezze, risorse, intelligenze, creatività? Inconfutabilmente nulla. Ma nelle alte sfere governative ed ancor più in quelle dei poteri forti che le dirigono come pupi siciliani è profondamente carente il concetto di bene collettivo, di socialità, di equità e di meritocrazia.

Allora, se continuerà a essere questo lo scenario che aspetta noi e i nostri figli, se sarà questo il paradigma nel quale s’intende irresponsabilmente instradare il paese, se non si agirà con veemenza e con convinzione dal basso, ognuno attraverso il proprio ruolo sociale e facendo il proprio dovere, per la protezione dei diritti e per la pretesa dell’affermazione della dignità umana, allora, per i prossimi decenni, correremo tutti a prendere lezioni di tedesco.