1. In una vasta zona di mare a sud di Lampedusa e di Malta, nella quale nel 2018 si era costruita a tavolino la finzione di una zona SAR ( di ricerca e salvataggio) affidata alla responsabilità del governo di Tripoli, sostenuto fino al 2020 dalla missione della Marina militare italiana NAURAS (nell’ambito dell’operazione Mare Sicuro), si sta rivelando il costo umano e la totale inefficacia del Memorandum d’intesa siglato tra Italia e “Libia”, in realtà soltanto con il governo provvisorio di Tripoli, nel mese di febbraio del 2017, prorogato nel 2020 e ancora nel 2023.
Si intensificano intanto le notizie degli abusi a cui sono sottoposti i migranti intrappolati in Libia e già nel 2020 si aveva notizia di tre persone, di nazionalità sudanese, uccise dalla sedicente “guardia costiera libica” al termine di una operazione di intercettazione in alto mare e riconduzione a terra. Persone uccise a colpi di arma da fuoco che, con il loro tentativo di fuga, si volevano sottrarre alle sevizie inflitte dai carcerieri libici anche nei centri di detenzione “governativi” ed al turpe mercato di esseri umani che continua a caratterizzare la condizione di chi viene riportato in Libia.
Come riferisce l’AGI, lunedì 13 ottobre “Unità libiche avrebbero sparato contro una imbarcazione di migranti nella Sar maltese: a riferirlo sono il centro di monitoraggio non governativo Alarm Phone e la ong Mediterranea. I 140 migranti sono poi sbarcati a Pozzallo. ‘Una persona, con una pallottola nel cranio – spiega l’ong – è in coma e sta lottando tra la vita e la morte e altre due risultano gravemente ferite, al volto e a una mano, vittime dei colpi sparati da una motovedetta libica’.
L’attacco sarebbe avvenuto ieri ‘a circa 110 miglia nautiche a sud est della Sicilia’. Non è ancora chiaro se nell’attacco una persona sia rimasta uccisa. “Insieme ad Alarm Phone – prosegue Mediterranea – avevamo avvisato le autorità italiane fin dal pomeriggio di ieri, ma solo oggi, con ventiquattr’ore di ritardo dalla tragica sparatoria, sono partiti i soccorsi. La persona ora in fin di vita poteva essere raggiunta subito da un elicottero maltese o italiano ieri. Ci auguriamo riesca a sopravvivere. Ma se dovesse finire diversamente, di fronte alla scelta di omettere un necessario soccorso urgente, sappiamo di chi sono le responsabilità’”.
Secondo quanto comunicato successivamente dalla stessa agenzia, “ Emorragia cerebrale, teca cranica danneggiata e frammenti ossei all’interno ma non ci sarebbe alcun proiettile: è in condizioni disperate un 15enne migrante egiziano ferito gravemente alla testa prima di un soccorso della Guardia costiera nella Sar maltese, e trasportato in elisoccorso al Cannizzaro di Catania, ora intubato e in stato comatoso. Un altro compagno di viaggio ha una parte del volto disintegrata, mascella e mandibola, ed è cosciente: a colpirlo è stato forse un razzo di segnalazione esploso ad altezza d’uomo. Il terzo è stato colpito ad una coscia, ha un foro d’entrata e un foro d’uscita, è il meno grave dei tre. Gli ultimi due sono al momento negli ospedali di Modica e Ragusa.
La Ong mediterranea parla di una aggressione ‘armata da parte dei miliziani libici’ che sarebbe avvenuta nel pomeriggio di ieri. I tre feriti facevano parte di un numeroso gruppo di 140 persone in tutto, che si era imbarcato – secondo quanto apprende l’AGI – su un natante in ferro quattro giorni fa. In molti hanno ferite da percosse, parecchi anche con bruciature, segno di torture patite prima della partenza. A bordo di una motovedetta della guardia costiera e di un pattugliatore della Guardia di finanza, i migranti sono sbarcati a Pozzallo. Lo sbarco si è concluso da poco“. Sembra che i migranti siano stati soccorsi soltanto quando, dopo essere rimasti per ore sotto il fuoco dei libici, erano giunti a circa 50 miglia da Pozzallo.
In un comunicato di Alarmphone si denuncia come ” Nonostante avessimo allertato le autorità europee, comprese quelle italiane e maltesi, della presenza dell’imbarcazione in difficoltà, queste non sono intervenute. Per oltre 12 ore, nessuna nave della guardia costiera o altro mezzo è intervenuto per salvare o assistere il gruppo attaccato. Data la mancanza di intervento, l’attacco al barcone di migranti ha potuto proseguire senza ostacoli. Per ore, le persone a bordo hanno riferito che il gruppo di miliziani è rimasto nelle loro vicinanze, attaccandoli e sparando continuamente. Nel pomeriggio, le persone hanno anche riferito che le forze della milizia stavano speronando la loro imbarcazione, rischiando che si capovolgesse”.
Soltanto molte ore dopo il primo allarme, lanciato nella giornata di domenica 12 ottobre, e dopo che i contatti con il barcone sotto attacco dei libici in acque internazionali erano stati interrotti, si è appreso che i naufraghi erano stati soccorsi dalla Guardia costiera italiana il giorno successivo, mentre nulla, per quanto risulta, veniva operato dalle autorità maltesi, che pure erano state allertate. Anche questa circostanza non costituisce certo una novità, basti pensare al caso della nave militare italiana Libra, nel 2013, ed al processo che ne è seguito.
2. Gli accordi bilaterali conclusi tra Italia ed autorità libiche di Tripoli, al di là della dubbia legittimità formale, non possono modificare la portata cogente delle Convenzioni internazionali che regolano le attività di ricerca e soccorso in mare. Quegli accordi che violino quanto prescritto dalle Convenzioni sarebbero illegittimi e determinerebbero la responsabilità di chi li ha sottoscritti e vi ha dato esecuzione. Una argomentazione, quella della derogabilità delle Convenzioni per effetto di accordi bilaterali, già utilizzata dal governo italiano nel 2012, davanti alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo sul caso Hirsi, concluso poi con un totale rigetto delle tesi difensive italiane e dunque con la condanna. Una condanna che oggi si cerca di aggirare.
Non si tratta semplicemente di riaffermare diritti che sono stati violati, spesso a costo della vita di centinaia di persone, occorre arrivare a sanzioni esemplari che impediscano che questi comportamenti violenti dei libici siano ancora tollerati, se non incentivati, e proseguano in futuro con un costo sempre più elevato in termini di vite umane. A fronte di una opinione pubblica che ormai appare indifferente, se non apertamente complice, rispetto alla morte in mare, alle torture ed agli abusi di ogni genere inflitti ai migranti “soccorsi” in acque internazionali e ripresi dalle diverse milizie libiche, dopo l’intervento della sedicente Guardia costiera “libica”.
L’indagine che sarà aperta dalla magistratura dovrà accertare i tempi del soccorso portato dalle autorità italiane ai migranti vittime di questa ennesima aggressione da parte della sedicente Guardia costiera libica, o meglio di una delle diverse Guardie costiere che foraggiate dagli accordi con l’Italia e l’Unione europea hanno trasformato il Mediterraneo centrale in uno spazio al di fuori di qualsiasi giurisdizione. Purtroppo, troppo spesso, sotto gli occhi vigili di Frontex e delle tante autorità militari che sorvegliano questa zona di acque internazionali per prevalenti finalità economiche, per garantire il traffico commerciale e la circolazione delle risorse energetiche che arrivano dalla Libia e dalla Tunisia.
Non certo per salvare vite umane, compito che viene svolto dalle ONG con difficoltà crescenti, dopo decine di fermi amministrativi, che hanno riguardato persino i piccoli aerei in uso al soccorso civile per avvistare le imbarcazioni in difficoltà. Ma troppo spesso scomodi testimoni della collusione nelle attività di intercettazione violenta e nei respingimenti collettivi in mare “su delega” dell’Italia, di Malta e dell’Unione europea, che forniscono ai miliziani libici, in divisa di Guardia costiera, mezzi, supporto finanziario e addestramento.

3. La Corte di Cassazione dell’1 febbraio 2024 n. 4557, con riferimento all’epoca dei fatti del caso ASSO 28, dunque al luglio del 2018, poche settimane dopo la istituzione di una zona SAR “libica”, rilevava come “Nonostante la notifica (unilaterale) della istituzione della zona SAR libica all’IMO, la stessa non era operativa, non esisteva uno stato libico unitario e le autorità di Tripoli — riconosciute dalle Nazioni Unite — avevano perso il controllo di parti molto vaste del territorio che prima controllavano”. Una considerazione che può ripetersi ancora oggi, nonostante siano mutati i rapporti di forza e le modalità sul campo dello scontro politico e militare ancora in corso tra le diverse fazioni libiche.
Cade la finzione di una zona SAR “libica” e le autorità maltesi, malgrado qualche sporadico intervento, dimostrano per l’ennesima volta di non potere garantire interventi di Search and Rescue in tutta la vasta zona SAR loro assegnata. Dopo la vicenda Almasri, sulla quale il voto del Parlamento non chiude le attività di indagine che proseguono a livello internazionale, i libici hanno alzato il livello della violenza con cui intervengono attaccando i barconi carichi di migranti e sparando persino sulle navi del soccorso civile per allontanarle dalle acque internazionali nelle quali spadroneggiano per conto dei governi italiano e maltese, con i finanziamenti provenienti dall’Unione europea e con il costante tracciamento garantito dagli assetti aerei di Frontex.
L’intero sistema di ripartizione delle zone SAR nel Mediterraneo centrale deve essere rivisto, perchè sta costando troppe vite umane, vittime di ritardi se non vere e proprie omissioni di soccorso. Se non interverrà l’Imo (Organizzazione internazionale del mare) di Londra, che è una organizzazione legata alle Nazioni Unite, dovrà promuoversi una vasta mobilitazione internazionale che dovrà coinvolgere quelle altre agenzie delle Nazioni Unite, come l’OIM e l’UNHCR, che denunciano gli abusi commessi dalla sedicente guardia costiera libica, ma non riescono a mettere in discussione i poteri, ma soprattutto i doveri di soccorso, che il riconoscimento di una zona SAR in acque internazionali comporta a carico degli Stati costieri.
Quanto successo negli ultimi giorni, ma queste aggressioni si ripetono da anni, impone la sospensione immediata del riconoscimento internazionale di una zona SAR ( di ricerca e salvataggio) affidata esclusivamente alle autorità libiche, ed un ridimensionamento della zona SAR ancora riconosciuta a Malta, per ragioni economiche, ma per una estensione che le autorità maltesi, ammesso che ne abbiano l’intenzione, non sono certo in grado di controllare.
Dopo le incursioni armate dei libici nella zona di ricerca e salvataggio maltese, dopo altre vittime innocenti degli accordi bilaterali per contrastare quella che si definisce soltanto come “immigrazione illegale”, occorre che l’Unione europea imponga la sospensione degli accordi tra Malta ed il governo di Tripoli, su una zona SAR riconosciuta a La Valletta solo per ragioni economiche, ma che non assolve ad alcuna effettiva funzione di salvataggio, risultando ormai uno spazio sottratto a qualsiasi giurisdizione, dove si spara e si uccide impunemente.
Ma è altrettanto urgente bloccare l’ennesima proroga automatica del Memorandum d’intesa Gentiloni del 2017 con il governo di Tripoli, e fare chiarezza, al di là del procedimento penale bloccato con un voto politico dal Parlamento, sul caso Almasri sul quale si rischia un conflitto di attribuzione, e sulla attuale organizzazione delle diverse autorità militari che si contendono il controllo della cosiddetta zona SAR “libica”, come se fosse uno spazio di sovranità, di traffici e di abusi, e non invece uno spazio riconosciuto a livello internazionale per la salvaguardia della vita in mare.










