Mi piace ricordare la profezia di Fidel Castro: “Gli Stati Uniti dialogheranno con noi quando avranno un presidente nero e quando ci sarà un Papa latinoamericano”.
Queste parole sarebbero state pronunciate da Fidel Castro nel 1973 in un incontro con la stampa internazionale al ritorno da un viaggio in Vietnam. Nel 1973, a cinque anni dall’omicidio di Martin Luther King, l’ipotesi di un afroamericano alla guida degli Stati Uniti era pura fantascienza, così come l’elezione di un non italiano (meno che mai un sudamericano) al soglio di Pietro. Le parole di Fidel Castro, dunque, erano un modo ironico per dire: Cuba e gli Stati Uniti non avranno mai relazioni normali. In seguito alla normalizzazione delle relazioni Usa-Cuba avvenuta a luglio 2015 proprio con un afroamericano alla Casa Bianca e un pontefice argentino in Vaticano, le notizie sulla profezia di Castro riemersero prepotentemente in quei giorni. Addirittura un articolo di Paris Match di dicembre 2014 mette in una luce differente le parole di Castro, rendendo plausibile l’autenticità della citazione.
Il sito francese non cita Castro, ma una barzelletta che circolava a Cuba negli anni della Guerra Fredda. Protagonisti della storiella erano proprio Castro e “Che” Guevara. Il “Che” domandava a Fidel: “Quand’è che gli Stati Uniti leveranno questo maledetto blocco?”. E Fidel rispondeva: “Quando il presidente americano sarà un nero democratico e il papa un argentino”. E il Che (argentino lui stesso) replicava: “Smettila di prendermi in giro”. Alla luce di questo elemento, appare plausibile che nel 1973, nel rispondere al giornalista britannico, Castro abbia voluto citare la barzelletta che circolava all’Avana, azzeccando in pieno la nazionalità del pontefice futuro.
Nel 2013 Papa Francesco ha conquistato il mondo con il suo “Buonasera”. E’ stato l’inizio dell’umanizzazione della figura papale, che per anni era stata concepita istituzionalmente come il vicario temporale e spirituale di Cristo sulla terra, come ci insegna la storia del soglio petrino. Un papa finalmente raggiungibile, vicino alla gente con le parole e con i concetti, con l’esempio e le sue prese di posizioni che hanno sempre di più guardato agli ultimi della terra. Il papato divenne un simbolo di vicinanza e supporto e non più un trono reale della sua infallibilità.
Fin da subito alcuni, anche negli ambienti progressisti, sono stati cauti nel definirlo un “progressista” a partire dai “modi di fare”. In molti hanno pensato che dopo il pontificato distante, teologico, dogmatico e monarchico di Papa Benedetto XVI, l’esigenza della Chiesa fosse trovare un “Papa mediatico”, glamour e capace di fare breccia alla conquista di nuovi fedeli – soprattutto tra i giovani – e che piacesse anche a chi non è credente. Stimabile anche da parte degli atei. Sappiamo benissimo che il Vaticano ha sempre ragionato in termini di marketing come un’azienda in cerca di clienti, possibilmente da fidelizzare, visto che i fedeli duri e puri sono ormai rari e comunque poco aperti alle trasformazioni generali che caratterizzano il mondo. Una parte della Chiesa ha sempre avuto l’esigenza di conformarsi – per mero opportunismo, mantenimento di privilegi o influenza ideologica sul mondo – all’epoca contemporanea.
Non è stato il caso di Francesco. Fin da subito ha rinunciato alla residenza di Palazzo Apostolico per vivere nella sobria residenza di Santa Marta; ha iniziato a viaggiare su un’utilitaria, portava la sua borsa senza alcun portaborse; rinunciò alle scarpe rosse per portare scarpe nere sobrie. Telefonate improvvise, l’apertura ai giornalisti, il dialogo con intellettuali laici e atei. Sì, è vero, piaceva a tutti: agli atei, agli agnostici, ai laici, a membri di altre religioni, mentre piaceva molto meno ad alcune gerarchie vaticane, alla cosiddetta “destra teologica” e al lato oscuro, tradizionalista e conservatore sia della Chiesa Cattolica sia dei movimenti evangelici negli ambienti protestanti.
Piaceva ai popoli perché – almeno sui temi sociali che riguardano tutti – non è mai stato centrista e si è contraddistinto per la sua schiettezza, il suo carattere forte e la sua parresia: un linguaggio ed una pratica coraggiosi che arrivavano diritto al punto dove dovevano arrivare senza troppi giri di parole e senza retorica.
Il suo è stato un papato che si è preoccupato della “salvezza delle persone” piuttosto che della “salvezza dei principi”, senza mai appiattire e ridurre il cristianesimo ad una mera struttura morale.
Tanto gesuita nell’efficienza quanto francescano nell’indole, negli ideali e nella pratica. Un papa sensibile ai temi sociali, al dramma delle migrazioni, alla condizione dei carcerati, alle condizioni di lavoro, alla pace concreta, alla difesa dei diritti umani e dell’umanesimo, all’ecologia sociale e integrale, alla difesa dell’ambiente, senza parlare della sua critica alla globalizzazione economica e alle disuguaglianze sociali.
Quanto fece scalpore nel 2016, anno della grande enciclica ecologista Laudato Sì, quando organizzò l’Incontro mondiale dei movimenti popolari (Emmp) a Roma, a cui furono presenti Pepe Mujica, prima guerrigliero Tupamaros e poi presidente dell’Uruguay; la grande fisica, economista ed ecofemminista indiana Vandana Shiva, i Sem Terra del Brasile e il suo leader popolare João Pedro Stedile e più di 99 movimenti popolari, sociali ed indigeni di 68 Paesi. Una lista coincidente con quella dei movimenti che parteciparono ai Forum Mondiali anti-globalizzazione dei tempi di Porto Alegre discutendo di ecologia, di beni comuni e di salario universale.
Forse, come abbiamo analizzato con la teologa Selene Zorzi, nonostante la visione ecologica e della cura, la pecca di Papa Francesco era concepire la genitorialità e la maternità – oltre al volontariato umanitario, al missionariesimo e alla cura di Madre Terra – come uniche forme di relazione di cura. La cura per gli animali, per Bergoglio, era equiparabile ad una deriva individualista e consumista tout court che toglieva l’attenzione dall’importanza di avere figli. Francesco generalizzava e non distingueva la liceità della famiglia unipersonale e le relazioni di cura per gli animali dalla degenerazione consumistica dell’umanizzazione degli animali, che comporta anche ad una violazione della loro etologia.
Detto ciò, Papa Francesco fece parlare molto di sé quando:
– durante l’appuntamento tenuto nel 2015 in Bolivia, l’allora presidente Evo Morales gli regalò un crocifisso composto da una falce e un martello;
– ebbe un incontro con il leader cubano Fidel Castro, il quale gli regalò il libro che scrisse insieme al teologo Frei Betto “Fidel e la religione”;
– le immagini, le figure e le statuette di Pachamama vennero utilizzate nella cerimonia nei giardini vaticani all’inizio del sinodo panamazzonico nel 2019 e nella processione dalla basilica di San Pietro all’Aula sinodale, alle quali ha partecipato Papa Francesco. Alcuni condannarono questi atti come se fossero un’idolatria, un’adorazione della ‘madre terrà e di altre ‘divinità’, quando non ci fu niente di tutto ciò.
– nel luglio 2022 a Maskwacis, nei pressi di Edmonton, nel secondo giorno del suo viaggio in Canada Papa Francesco ha chiesto perdono per tre volte ai popoli nativi canadesi per il male fatto negli istituti cattolici sovvenzionati dallo Stato, nei quali 150.000 bambini indigeni sono stati rinchiusi e 6.000 di essi sono morti dopo aver subito abusi fisici e verbali nell’arco di oltre un secolo a partire dal 1880. I bambini nativi erano stati strappati alle loro famiglie e alla loro cultura, nel quadro di una politica di assimilazione forzata. È stato “un errore devastante” di cui alcuni membri della Chiesa portano la responsabilità, ha detto Jorge Bergoglio, parlando nel luogo in cui sorgeva una di quelle strutture, quella di Ermineskin, chiusa soltanto nel 1975. Le sue parole, tradotte in inglese, sono state accolte da scroscianti applausi dai sopravvissuti e dai rappresentanti delle comunità autoctone presenti, apparsi visibilmente commossi. Il Governo canadese aveva già chiesto scusa 14 anni fa per quei fatti e versato miliardi di dollari di risarcimenti. Anche la Chiesa anglicana aveva domandato perdono, mentre quella cattolica prima di quel momento mai. Tuttavia Francesco non si espresse sulla “dottrina della scoperta”.
Il suo era il sogno di una Chiesa in dialogo fino ai margini del mondo. Non è un mistero che la “Chiesa universale” (forse meglio definirla “pluriversale”) di Bergoglio avesse una nutrita schiera di nemici interni (ed esterni), animati da una visione marcatamente ed esplicitamente reazionaria e oscurantista, legati fanaticamente all’idea pre-medievale di “Santa Romana Chiesa”, alla secolare tradizione italo-centrica della figura papale e al centrismo clericale di potere ben allineato e senza ambiguità alleato convintamente alle grandi potenze, come storicamente è testimoniato dall’appoggio del Vaticano all’Italia fascista e alla Germania nazista, così come la scelta di un Papa polacco in ottica di opposizione al comunismo e di combattere concretamente i Paesi del Campo socialista, portando avanti una prassi di odio anticomunista, antipopolare, antioperaia e antidemocratica, stringendosi in un abbraccio fraterno con il fascismo o con la mafia.
Non a caso, la parte più arretrata della Chiesa, quella che spinge per il “ritorno alla tradizione”, ha tentato a più riprese di mettere in un angolo Bergoglio, attraverso i continui paragoni con i predecessori Ratzinger e Wojtyla, loro “veri Papi, coerenti uomini di Chiesa”. Per non parlare dell’assurdità del complotto del “Codice Ratzinger” con cui è stato sostanzialmente accusato di essere un “antipapa”. Questa teoria, nata in ambienti ultracattolici e diffusa vergognosamente dal potentissimo arcivescovo Carlo Maria Viganò, ha avuto amplia divulgazione nei social network attraverso canali gatekeeper autodefiniti di “controinformazione indipendente” che di “indipendente” non hanno nulla. Le notizie al riguardo continuano ad essere rilanciate da canali d’estrema destra, legata ai movimenti tradizionalisti ultracattolici, ultra-evangelici, pentacostali e sedevacantisti vicina all’alt right di Trump. Purtroppo vennero e vengono tuttora riprese anche da canali indipendenti che non hanno una collocazione.
Più volte, la destra teologica ha accusato Francesco di avere una collocazione politica e di essere un “papa di sinistra”. Accusa mossa anche da alcuni porporati più conservatori che hanno sempre avuto ruoli nelle gerarchie vaticane e nello IOR, la banca del Vaticano.
Un’accusa che serviva per oscurare il fatto che Bergoglio è riuscito a far uscire il Vaticano dalla black list dei paradisi fiscali pretendendo più trasparenza nella gestione dei fondi della Santa Sede per contrastare il calo delle donazioni. Ha inoltre creato la Segreteria per l’Economia e il Revisore, riformato lo IOR, alzato gli affitti ai cardinali e non ha esitato a mettere sotto processo un potente porporato come Angelo Becciu, ex Sostituto della Segreteria di Stato condannato a dicembre 2023 a cinque anni e sei mesi per peculato nel clamoroso processo sulla gestione degli oltre 600 milioni di euro di fondi riservati della Segreteria di Stato, imperniato attorno all’investimento da oltre 240 milioni nel palazzo di Londra di Sloane Avenue affidato a finanzieri come Raffaele Mincione e Gianluigi Torzi, anch’essi condannati per vari reati. Becciu fortunatamente non risulta nemmeno nell’elenco del Conclave, in quanto sospeso da tutto gli istituti cardinalizi. Papa Francesco, nei dodici anni del suo pontificato, ha fatto quello che Ratzinger non ha trovato la forza di fare: fare pulizia finanziaria nella Chiesa.
Dopo gli scandali di Vatileaks 1, in seguito alle dimissioni di Papa Ratzinger, Francesco aveva varato una commissione, la Cosea, per valutare riforme che modernizzassero il Tesoro vaticano: un tentativo naufragato tra boicottaggi e un nuovo scandalo, il Vatileaks 2. Ma queste vicende non hanno fermato la determinazione di Francesco: ha inciso profondamente sullo IOR, affidata al direttore Gian Franco Mammì, uno dei laici più potenti in Vaticano e più vicini a Bergoglio, e al presidente Jean-Baptiste De Franssu, facendo entrare l’istituto a pieno titolo nei circuiti bancari internazionali. Francesco ha anche fatto nascere nel 2014 la Segreteria per l’Economia e il Consiglio per l’Economia e ha riformato l’Aif, poi diventato Asif, come organismo antiriciclaggio e di vigilanza prudenziale sullo Ior. Anche queste riforme hanno consentito al Vaticano di uscire dalla black list dei paradisi fiscali.
Infine Bergoglio ha privato la Segreteria di Stato del suo patrimonio trasferendolo all’Apsa, una sorta di Tesoro del Vaticano anch’esso interessato da riforme nel senso della trasparenza: da 4 anni pubblica i bilanci. I beni appartengono tutti alla Santa Sede: gli enti cui sono intestati ne sono solo «affidatari» e l’unico gestore strumentale cui rivolgersi è lo Ior, ha disposto nel 2023 Bergoglio. Ma le resistenze continuano ad essere forti e sono ancora molte le riforme da fare.
Se tutto questo vuol dire essere un “papa di sinistra”, allora aveva ragione Frei Betto quando, in una intervista a Piergiorgio Odifreddi nel 2019, dichiarò “Francesco ormai è di sinistra come noi teologi ribelli”.
Francesco verrà ricordato per il suo efficientismo e il suo instancabile lavoro in questi 12 anni di pontificato che non l’hanno mai visto prendersi un giorno di vacanza e nemmeno rifugiarsi a Castel Gandolfo (residenza prediletta da Papa Benedetto XVI), che per lui era troppo sfarzoso.
La riforma della Chiesa che ha portato avanti Papa Francesco è stato bussare alla porta dei cardinali ricordandogli che il clericalismo, l’opulenza e la sfarzosità di certi stili di vita non solo sono contraddittori con lo stile di vita cristiano, ma sono un ostacolo al coinvolgimento della gente e soprattutto allontanano sempre di più i fedeli che si trovano invece coinvolti in un’altra realtà quotidiana fatta di lavoro, difficoltà economiche e familiari, sofferenza, alienazione, spersonalizzazione dei rapporti e molto altro.
La grande riforma della Chiesa di Francesco è stata porre al centro della Chiesa l’esempio e le parole di Gesù: cosa che evidentemente non è stata fatta in questi 2.000 anni. Quando parlava di “Chiesa povera per i poveri” intendeva chiaramente che la Chiesa deve umanizzarsi e schierarsi con i deboli.
Importante è stato il suo schierarsi incondizionatamente dalla parte dei migranti in opposizione alla Fortezza Europa e alle politiche dei nazionalismi xenofobi, dei sovranismi e dei razzismi. Nel 2016 e nel 2021 Papa Francesco ha visitato l’isola greca di Lesbo in diverse occasioni per manifestare la sua solidarietà ai profughi e migranti che vi si trovano, in particolare nel campo profughi di Moria. Prima denunciò le condizioni di vita nei campi, paragonandoli a “lager” e chiedendo all’Europa di adottare misure concrete per affrontare la crisi migratoria, poi sottolineò la necessità di “fermare questo naufragio di civiltà”.
Papa Francesco ha espresso la sua preoccupazione riguardo alle politiche migratorie annunciate dal presidente degli Stati Uniti, Donald Trump al confine con il Messico. Queste misure, secondo il Pontefice, potrebbero rappresentare una vera e propria disgrazia se attuate. Il Papa ha sottolineato l’importanza di accogliere i migranti e non respingerli, in linea con il suo messaggio di inclusione e solidarietà. Questo tema è stato al centro di molte delle sue recenti omelie e dei suoi discorsi pubblici. Durante i suoi interventi ha sempre sostenuto la necessità di accogliere le persone in fuga da guerre e miseria. “L’accoglienza è un dovere per chi può offrirla”, ha detto il Pontefice, sottolineando come la dignità umana debba essere al centro delle politiche migratorie.
Il Pontefice ha parlato anche della “cultura dello scarto” che, secondo lui, pervade molte delle politiche attuali a livello globale. Questo approccio, ha affermato, tende ad escludere coloro che sono considerati meno importanti e a privilegiare solo chi è considerato più utile. “Non possiamo chiudere gli occhi di fronte alla sofferenza altrui”, ha insistito Papa Francesco. Secondo lui, chi aderisce a queste logiche non fa altro che alimentare un ciclo di violenza e disuguaglianze.
Papa Francesco ha anche indirizzato un appello ai Paesi più ricchi, chiedendo loro di assumersi la responsabilità di ospitare chi è costretto a lasciare la propria terra. Ha ricordato che molte delle cause dei flussi migratori, come conflitti armati e disastri ambientali, sono spesso legate alle azioni di questi stessi Paesi sullo scenario internazionale, quindi diventa cruciale che le nazioni più sviluppate si impegnino attivamente nel proteggere e garantire il rispetto dei diritti umani per tutti i migranti.
Negli anni del suo pontificato c’è stata una grande presa di posizione contro industria bellica e produttori di armi, oltre al rifiuto della guerra e del riarmo. Molte volte ha dichiarato: “Per favore preghiamo per la conversione del cuore dei fabbricanti delle armi, perché col loro prodotto aiutano a uccidere”. Un appello-denuncia che in questi anni ha sempre puntato il dito contro la fabbricazione delle armi: “La fame nel mondo finirebbe, se non si fabbricassero armi per un anno”, ha spesso ripetuto il Pontefice citando conversazioni avute con esperti sul tema.
“Non dimentichiamo la martoriata Ucraina, Myanmar, la Palestina, Israele e tanti Paesi che sono in guerra, preghiamo per la pace. La guerra sempre è una sconfitta” – ha dichiarato in più occasioni, senza dimenticare inoltre, nei primi anni del suo pontificato, l’impegno per la fine della guerra in Siria.
I suoi rapporti con Israele, dopo il 7 ottobre 2023, si sono progressivamente raffreddati. Peraltro, nel suo libro La speranza non delude mai, il Papa ha sostenuto che è giusto indagare per capire se quanto compiuto da Israele a Gaza possa essere classificato come genocidio. Ha denunciato l’antisemitismo e incontrato gli ostaggi liberati e le loro famiglie, ma ha detto al capo di Stato israeliano Herzog, dopo il 7 ottobre, che è «proibito rispondere al terrore con il terrore». Si può affermare che Bergoglio ha avuto una relazione positiva con l’Ebraismo, come con l’Islam, ma complessa con Israele o, meglio, con i governi guidati da Netanyahu.
In un’intervista al Corriere della Sera il pontefice, nel cercare di analizzare le possibili cause di questa invasione, parlò dell’ “abbaiare della NATO ai confini della Russia”: forse la dichiarazione più importante del suo pontificato, non a caso gettata nel dimenticatoio dal nostrano apparato mediatico, decisamente guerrafondaio.
La morte di Jorge Mario Bergoglio, rappresenta l’acuirsi dello scontro interno al Vaticano, tra diverse linee di pensiero e conseguentemente di azione.
In una fase storica e politica in cui l’Europa sta finendo nel folle abisso della guerra e si sta consumando il primo genocidio della storia in diretta streaming con la complicità e l’indifferenza delle società occidentali (entrambi sintomi della marcescenza etica e culturale di un’area di civiltà che sta perdendo le redini del potere globale, e sta rispondendo scompostamente e rabbiosamente a questa crisi) un Papa come Francesco – critico del capitalismo, ecologista, aperto al multipolarismo e ai BRICS, apertamente critico verso il genocidio compiuto da Israele e verso la politica della Nato nell’Est Europa – sarebbe stato una voce e una guida fondamentale per tanti anni ancora.
L’unica cosa che avrebbe dovuto fare Papa Francesco – come chiese Don Andrea Gallo a Papa Ratzinger nel 2011 alle Invasioni Barbariche – sarebbe stata indire un Concilio Vaticano III per aprire delle serie discussioni etiche, morale e bioetiche che oggi non possono essere più taciute e che si devono affrontare alla luce del sole. Nonostante ciò oggi possiamo dire che Papa Francesco ha avviato quel processo di coscientizzazione affinché se ne possa parlare.
Speriamo che la rete di cardinali (che rappresentano 73 Paesi del mondo e non più 48) che ha messo in piedi sappia lavorare per assicurare una continuità politica nella guida della Chiesa, e che il mondo cattolico non finisca anch’esso allineato ai venti di reazionarismo, guerra e morte che spirano ovunque in Occidente.










