Dopo le risposte di Riccardo NouryLaura QuaglioloGiovanna Procacci, Giovanna Pagani,  Guido Viale, e Andreas Formiconi, Jorida Dervishi e Pia Figueroa, sentiamo Renato Sarti.

Ora che stiamo uscendo dall’emergenza Covid19 molti dicono: “Non vogliamo tornare alla normalità perché la normalità era il problema”. Questa dunque può essere una grande occasione di cambiamento.

Qual è secondo te la necessità di cambiamento più urgente in questo momento e cosa sei disposto a fare in quella direzione?

Prima di tutto c’è da dire che mi sento fortunato, sto bene e così è per le persone a me care, secondariamente c’è da dire che questo virus non ha colpito i bambini e questo è stato importantissimo, sarebbe stata ben altra tragedia.

La botta è stata forte; come potremo dimenticare quei giorni in cui sentivamo fischiare le ambulanze in continuazione? Mi sono rimaste nelle orecchie.

Per il mondo della cultura è stata una mazzata potente. Chiuso tutto da un giorno all’altro. Tutta la programmazione in fumo. Muoversi nei meandri di internet, in questa comunicazione dove per me già il cellulare era stato uno sforzo enorme.

E quindi a lavorare più di prima, per tenere in vita le relazioni, i progetti, per inventarci forme di comunicazione che facessero a meno di un palco e di un pubblico seduto.

Che lo sappiano i nostri politici: la sanità andrà rimessa in piedi. Si è visto fino in fondo come un sistema di welfare è assolutamente necessario, e che invece di “regionalizzarlo”, va coordinato a livello internazionale, se non mondiale. Ci siamo resi conto come organismi nazionali e internazionali possono avere una funzione vitale. Che siano democratici non è un dettaglio, ma la condizione perché funzionino al meglio.

Sul fatto che noi, i cittadini, si sia imparata la lezione ho forti dubbi. Tutti abbiamo notato la bellezza del silenzio, dell’aria pulita, ma qui a Milano il traffico sta tornando quello di prima e le automobili tornano a spadroneggiare nello spazio. Torneranno quelle orrende pubblicità con automobili che vanno ovunque, su per i palazzi, in cielo, nei corridoi….

In questo momento ristabilire con forza la sanità pubblica è centrale, così come rivedere il modello di sviluppo che sta facendo saltare il nostro pianeta. Il capitalismo ha fatto il suo tempo.

Cosa servirebbe per appoggiare quel cambiamento, a livello personale e a livello sociale?

Io nel mio piccolo produco qualche etto di plastica all’anno. Bisognerà insistere su queste strade, di riduzione dei rifiuti. Non basta riciclare, bisogna produrne meno. Bisognerà unirsi e coordinarsi e lottare per obiettivi comuni.

Quest’estate faremo solo spettacoli nei cortili e senza poterli aprire al pubblico esterno. Sarà dura, già prima economicamente faticavamo assai, vedremo. Tireremo fuori unghie e denti perché la cultura non muoia. L’abbiamo visto quanto ci sono mancati spazi di incontro, di ascolto, una mostra, uno spettacolo, un concerto. E non solo per “l’impegno” che può avere la cultura e l’arte, ma anche per il piacere e la leggerezza, il divertimento e la gioia che possono dare. Come diceva De Filippo: “ADDAPASSàANUTTATA…”

Coraggio.