Dopo le risposte di Riccardo Noury, ascoltiamo Laura Quagliolo.

Ora che stiamo uscendo dall’emergenza Covid19 molti dicono: “Non vogliamo tornare alla normalità perché la normalità era il problema”. Questa dunque può essere una grande occasione di cambiamento. Qual è secondo te la necessità di cambiamento più urgente in questo momento e cosa sei disposta a fare in quella direzione?

Certamente questa potrebbe essere un’occasione di cambiamento, ma anche, purtroppo, un’occasione per farci perdere diritti e libertà. Per andare nella direzione giusta sarebbe necessario un LUNGHISSIMO lavoro di base del quale al momento ci sono poche tracce; i grossi cambiamenti non si fanno con bei discorsi e documenti che non legge nessuno, o la costruzione di un partito o di un’alleanza elettorale decise a tavolino, ma con un lavoro di base, umile, che permetta alle persone di capire qual è la parte giusta da cui stare. Ci vorrebbe un programma, un’idea condivisa su cui lavorare, senza pensare di ottenere dei risultati velocemente.

Inoltre, in questo mondo globalizzato il cambiamento non può essere pensato per un singolo paese… soprattutto se si parla dell’Italia, che ha poca influenza nelle decisioni a livello mondiale e che quando decide lo fa sempre per il peggio.

Cosa servirebbe per appoggiare quel cambiamento, a livello personale e a livello sociale?

Che fare? Sicuramente c’è bisogno di liberare le donne e l’intera società dal patriarcato, la “normalità” che regola le nostre vite da sempre e che ci ha portati nella situazione in cui ci troviamo.

Poi bisognerebbe occuparsi dell’ambiente non per lavarsi la coscienza (non si può pensare, per esempio, che tutto possa andare meglio usando un detersivo ecologico, o facendo la raccolta dei rifiuti in modo corretto), ma per cambiare radicalmente il rapporto degli esseri umani con la natura; il surriscaldamento globale ci porterà presto verso il disastro se gli esseri umani e soprattutto i decisori non capiscono che bisogna correre ai ripari, subito.

Si dovrebbe parlare di riconversione industriale, di salvaguardia di un territorio martoriato attraverso l’impiego di persone che non riescono a entrare nel mondo del lavoro, di maggiori investimenti nella scuola, nell’università, nella ricerca. E poi basta guerre, che vengono mandate avanti anche (o forse soprattutto) per alimentare la floridissima industria delle armi.

Sono disposta a continuare a fare, nei limiti delle mie forze, tutto ciò che faccio da sempre come attivista.

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CISDA (Coordinamento Italiano di Sostegno alle Donne Afghane)