Sul tema dell’utilizzo del Gas naturale liquefatto (GNL) e degli interessi di grandi aziende come EPH e SNAM in questo business, si è parlato il 10 dicembre a Cagliari, in un incontro organizzato da ReCommon, associazione impegnata in attività di inchiesta e di campagne “contro gli abusi di potere e il saccheggio dei territori.” L’inchiesta di ReCommon riguarda proprio il progetto del GNL in Sardegna, con interessi che vanno dagli Stati Uniti, alla Repubblica Ceca, a Israele, passando naturalmente per Roma.
Gradite ospiti nella sede dell’Associazione di Amicizia Sardegna Palestina, Elena Gerebizza e Paola Matova hanno presentato le loro relazioni, che mettono a nudo un capitalismo sfrenato, che vuole trarre i massimi profitti, senza curarsi dell’impatto ambientale e sulla salute degli esseri viventi e, quindi, anche umana.
Le relatrici incominciano il loro racconto dall’inizio dell’offensiva militare russa contro l’Ucraina, nel febbraio del 2022. Di conseguenza, per non dipendere dai gasdotti russi, l’Europa iniziò a diversificare gli approvvigionamenti. Così il nuovo business su cui puntare è diventato quello del GNL. Il gas viene portato allo stato liquido, attraverso un processo di raffreddamento a -162°, riducendone così il volume di seicento volte e facilitandone il trasporto via mare. Arriva nei porti italiani, come a Ravenna e a Piombino, con dei terminal portuali in cui il GNL viene rigassificato. Viene da paesi come Egitto, Qatar, Nigeria, Israele, ma sempre di più dagli Stati Uniti d’America.
Anche agli occhi di un profano, sembra davvero un bel giro vizioso, far cambiare di stato il gas per farlo viaggiare per il mondo, consumando nel frattempo altri combustibili e continuando ad inquinare i mari e gli oceani. Ma il fatto è che sembra ci sia da guadagnarci molto. Cosi la SNAM, Società Nazionale Metanodotti, gestore e operatore della rete di trasporto del gas in Italia e azienda partecipata statale, può avere il via libera per il suo progetto in Sardegna. La SNAM si occupa delle infrastrutture, banchine, navi rigassificatrici, impianti a terra, stoccaggi, gasdotti. Il gas arriva soprattutto dagli USA (già nel 2022 l’Italia era il 6° importatore globale di GNL da Washington), ma anche da Israele, che si è illegalmente appropriato delle riserve al largo della striscia di Gaza. A questo proposito, SNAM è coinvolta direttamente nell’economia infrastrutturale in Israele dal 2021. Un rapporto che non risulta essere stato minimamente scalfito dal genocidio tutt’ora in atto a Gaza e in Cisgiordania.
ReCommon ha messo la lente d’ingrandimento anche sull’estrazione del gas nei paesi produttori, come in Texas e in Lousiania, che provocano gravi danni naturali e alimentano l’ingiustizia sociale. All’origine della filiera c’è il Permian Basin, tra Texas e New Messico, dove il gas viene estratto attraverso pratiche invasive, come il “fracking”, o fratturazione idraulica, che comporta possibili contaminazioni delle falde e persino induzione di scosse sismiche. Il gas viene poi trasportato per migliaia di chilometri, fino alla costa del Golfo del Messico, dove negli ultimi anni sono stati costruiti enormi impianti di trattamento e liquefazione del gas. Le popolazioni locali, nella maggioranza afro-americane, o ispaniche, in cambio di manciate di posti di lavoro, soffrono le conseguenze dei processi industriali, sia come diminuzione della pesca e dell’acqua ad uso civile, sia sotto forma di espulsioni dai quartieri in cui vivono, che come inquinamento e malattie conseguenti.
Ma per capire il piano per il GLN in Sardegna bisogna fare un passo indietro e tornare alla centrale elettrica di Fiumesanto, tra Sassari e Porto Torres, ancora alimentata a carbone. Nel 2015 ha acquisito la proprietà della centrale di Fiumesanto la EP Produzione, controllata dal colosso ceco EPH , di proprietà dell’oligarca Kretìnsky, che ha fatto la sua fortuna sull’intercettazione di sussidi pubblici, in patria e all’estero. Ci guadagnerebbe bene quindi con la riconversione a gas della centrale, a cui sarebbe vincolata l’installazione di una seconda nave rigassificatrice, a Porto Torres, naturalmente sempre a cura di SNAM. Ma questa fase non sembrerebbe così prossima.
La fase più immediata del progetto, approvato dal DPCM Energia 2025, dovrebbe portare il gas liquefatto in mare dal golfo del Messico al golfo di Oristano, dove una nave rigassificatrice lo restituirebbe allo stato aeriforme e lo convoglierebbe in un metanodotto e, in parte, in camion cisterna. Il tracciato del metanodotto previsto porterebbe da Oristano al Sulcis, terminando nell’area industriale di Macchiareddu e quindi a Cagliari.
In questo modo l’isola, che già ha pagato e paga le conseguenze malsane delle industrie petrolchimiche, dovrebbe continuare a dipendere dai combustibili fossili, come il metano. In un’economia di profitto globale che si scontra inevitabilmente con le esigenze primarie delle popolazioni dei territori, la Sardegna è sempre di più in primo piano. Perché non vanno dimenticate le altre minacce: Therna, le speculazioni sull’eolico, lo spettro delle scorie nucleari. Mettendo in altro capitolo il grave danno causato dai poligoni, dalle esercitazioni militari, dalla fabbrica di ordigni bellici RWM.
In questa corsa al gas, non manca il coinvolgimento della finanza italiana, guidata dal gruppo Intesa Sanpaolo che, tra il 2016 e il 2022 ha erogato finanziamenti per 3 miliardi di dollari alle prime 20 società coinvolte nell’espansione del GNL, nonché altri 890 milioni al 1° gennaio 2023. Inoltre contribuisce ad incrementare il business del gas liquefatto statunitense, visto che Banca Intesa, dal 2016 ad oggi ha concesso finanziamenti per 2,1 miliardi di dollari alle società coinvolte nell’estrazione di gas nel golfo del Messico, con buona pace del diritto alla salute delle popolazioni.
Così, mentre la centrale di Fiume Santo continua a bruciare carbone ed inquinare i territori del nord Sardegna, le prospettive di una transizione energetica sembrano arenarsi irrimediabilmente davanti alla scelta di un’altra fonte fossile, il metano, con la creazione di una nuova dipendenza economica dagli Stati Uniti ed una ignominiosa collaborazione con lo Stato genocidario di Israele.
L’inchiesta di ReCommon lancia un avvertimento alla società civile sarda, affinché agisca, prima che sia troppo tardi.










