Inizierà domani 23 settembre l’iter giudiziario relativo alla causa per diffamazione che il colosso petrolifero ENI ha intentato, nell’autunno 2024, contro Greenpeace Italia, Greenpeace Paesi Bassi e ReCommon. Per le organizzazioni questo procedimento promosso da ENI è una SLAPP (Strategic Lawsuit Against Public Participation), una causa strategica mirata a intimidire, silenziare e ostacolare chiunque osi criticare pubblicamente le attività dell’azienda, in particolare le sue responsabilità nella crisi climatica. Malgrado l’azienda sostenga che non siamo di fronte a una causa temeraria, lo scorso aprile la coalizione anti SLAPP europea CASE ha certificato questa azione civile come una SLAPP a tutti gli effetti.
ENI ha citato in giudizio le tre organizzazioni perché, a suo dire, avrebbero messo in piedi “una campagna d’odio” nei confronti dell’azienda. Le organizzazioni stigmatizzano l’attacco giudiziario di ENI come un tentativo per spostare l’attenzione dalla Giusta Causa da loro intentata contro l’azienda nel maggio 2023, contenzioso che riprenderà a gennaio dopo il via libera delle Sezioni Unite della corte di Cassazione che, lo scorso luglio, ha accettato il ricorso dei Greenpeace Italia, ReCommon e 12 cittadine e cittadini italiani, riconoscendo che in Italia spetta al giudice ordinario decidere su queste cause, respingendo così tutte le eccezioni sollevate da ENI sul presunto difetto di giurisdizione.
L’azienda, recentemente insignita del “premio” SLAPP Addict of the Year 2025 , sta cercando ancora una volta di utilizzare il suo enorme potere economico e la sua influenza per zittire le voci critiche rispetto al suo operato. Non è infatti la prima volta che l’azienda porta in tribunale rappresentanti della società civile o del giornalismo, come racconta il report “ENI e le SLAPP” diffuso oggi dalle organizzazioni ambientaliste.
Questo genere di cause non è però di certo ascrivibile solo a ENI, ma è purtroppo molto diffuso tra le compagnie fossili globali. Di recente, infatti, la statunitense Energy Transfer (ET), con un’altra azione giudiziaria strumentale, è riuscita a far emettere un primo verdetto contro Greenpeace negli USA e Greenpeace International, che potrebbero essere costrette a pagare una multa di 660 milioni di dollari.
“L’obiettivo di queste cause” – dichiarano le organizzazioni – “non è vincere in tribunale, ma intimidire, logorare economicamente organizzazioni non profit, giornalisti o attivisti costringendoli a spendere risorse preziose per difendersi in lunghe battaglie legali. Ma non ci faremo intimidire, questo tentativo disperato di ENI di distogliere l’attenzione dalle sue responsabilità nella crisi climatica, e dalla Giusta Causa intentata da noi, ReCommon e da 12 cittadini, non sarà efficace. Continueremo a denunciare con determinazione l’operato di ENI, tutte le volte che lo riterremo illecito, in particolare in materia climatica, perché la libertà di espressione e il diritto a un ambiente salubre sono pilastri fondamentali della nostra democrazia.”
Inizia domani la causa temeraria di ENI contro le organizzazioni ecologiste
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