Nel 2013, la prima visita pastorale ufficiale di una comunità di fedeli fuori Roma da parte del nuovo papa fu a Cagliari. Jorge Mario Bergoglio era nato a Buenos Aires, proprio la città battezzata con questo nome in onore della Madonna di Bonaria di Cagliari. C’erano quasi quattrocentomila persone a salutarlo in piazza, un quarto della popolazione sarda. Non mi risulta che ci sia mai stata altra occasione con una simile partecipazione popolare in Sardegna. Mi pare significativo.

Nell’incontro con i lavoratori sardi mi colpirono queste sue parole, davvero “eretiche” in una fase di imperante religione dei “mercati” (il papa della BCE era Mario Draghi, a quel tempo):

“Vorrei condividere con voi tre punti semplici ma decisivi. Il primo: rimettere al centro la persona e il lavoro. La crisi economica ha una dimensione europea e globale; ma la crisi non è solo economica, è anche etica, spirituale e umana. Alla radice c’è un tradimento del bene comune, sia da parte di singoli che di gruppi di potere. È necessario quindi togliere centralità alla legge del profitto e della rendita e ricollocare al centro la persona e il bene comune.”

Bergoglio non era un lettore di suggeritori elettronici, non leggeva nel gobbo quel che gli scrivevano i “ghostwriter” nel 100% delle occasioni, come fanno molti politici. Il Papa a un certo punto piegò il foglio del testo scritto, pronunciò dapprima un’esortazione e poi improvvisò una preghiera, con cui, fra le altre cose, ribadiva ancora che «in questo momento, nel nostro sistema economico, nel nostro sistema proposto globalizzato di vita, al centro c’è un idolo» e aggiungeva, sempre in preghiera:

«Gli idoli vogliono rubarci la dignità. I sistemi ingiusti vogliono rubarci la speranza. Signore, non ci lasciare soli. Aiutaci ad aiutarci fra noi; che dimentichiamo un po’ l’egoismo e sentiamo nel cuore il “noi”, noi popolo che vuole andare avanti. Signore Gesù, a Te non mancò il lavoro, dacci lavoro e insegnaci a lottare per il lavoro e benedici tutti noi.» Curioso quell’«insegnaci a lottare per il lavoro».

Insomma, prometteva bene, con una vocazione sociale che si poneva in contrasto con i valori dominanti. Non andò esattamente così, tanto che poi si adagiò su alcuni luoghicomuni dell’agenda del World Economic Forum, senza un’autonoma elaborazione culturale e spirituale rispetto all’enorme “Fabbrica delle idee ricevute” dei pensatoi del moderno capitalismo, ad esempio nella fase della crisi Covid, dove Papa Francesco si adagiò all’ordine del giorno saldamente in mano all’industria farmaceutica. Non ci fu mai uno scatto nel suo pontificato in grado di contraddire l’onda immensa della secolarizzazione che inaridiva le pratiche di milioni di cattolici nel mondo. In questo è stato persino passivo, in mezzo a tante derive senza una meta chiara.

Ebbe invece intuizioni brillanti sul tema della pace: suo il concetto di “guerra mondiale a pezzi” con cui seppe leggere in una griglia unica il ricomporsi di una trama bellica su scala globale. Le sue ultime parole sono state contro il riarmo, che sta diventando lo strumento maledetto con cui si vogliono creare società autoritarie, impoverite e votate alla guerra. Non era circondato da una classe diplomatica all’altezza della storia della Chiesa e questo ha contribuito a spegnere l’eco delle sue importanti parole sul tema. Più timido, ma non del tutto, sulla questione del genocidio perpetrato dalla classe dirigente israeliana.

Ne parlo nel mio libro – «Contro il “Sionismo Reale» – dove ricordo che a un certo punto che «persino papa Francesco, che finora non si era distinto per coraggio su questo tema, si è trovato di fronte a una serie di eventi tragici e luttuosi con responsabilità ben definite, di fronte ai quali il silenzio papale sarebbe risultato definitivamente imbarazzante e inaccettabile, rischiando di lasciare alla storia un’omissione che avrebbe macchiato indelebilmente la Chiesa cattolica. Perciò Jorge Mario Bergoglio ha preso la parola, esprimendosi all’interno del libro scritto in vista del Giubileo del 2025, “La speranza non delude mai. Pellegrini verso un mondo migliore” (Edizioni Piemme, 2024).

Il Papa poteva certo dirlo in modo più diretto, cioè, letteralmente, “papale papale”, ma riesce lo stesso a rompere il silenzio su quel termine innominabile. Bergoglio dixit: «[…] a detta di alcuni esperti, ciò che sta accadendo a Gaza ha le caratteristiche di un genocidio. Bisognerebbe indagare con attenzione per determinare se si inquadra nella definizione tecnica formulata da giuristi e organismi internazionali».

Era una posizione irresoluta e felpata, ma che finalmente pronunciava la parola tabù: genocidio. Abbastanza per scandalizzare tutte le majorettes di Netanyahu.

Non essendo esperto di conclavi non formulo previsione alcuna sulla successione. Mi auguro che anche il successore si presenti per la prima volta ai fedeli come fece lui, ossia come “il Vescovo di Roma”, che era un’ottima base per un dialogo ecumenico con la chiesa ortodossa e quindi per una ricomposizione di una frattura culturale in grado di unire est e ovest in Europa (una delle cose di cui c’è più bisogno per smorzare il vento della guerra). Bergoglio su questo ha fatto pochino, ma ha lasciato una piccola traccia per un papa che faccia un passo più risoluto verso la linea del coraggio.

 

Pino Cabras – attivista politico e giornalista italiano, deputato della XVIII legislatura prima per il Movimento 5 Stelle e poi per Alternativa. Co-direttore del sito Megachip ed è stato redattore di Pandora TV, emittente televisiva via web fondata e diretta da Giulietto Chiesa. Collabora regolarmente con la web TV VisioneTV e la collegata rivista “Visione”.