Bombardamenti a Gaza la notte, presidio subito, la sera stessa. La Loggia dei Mercanti viene trasformata in un palco “naturale”, con una scritta fantastica alle spalle: “Milano per la resistenza”. Dove sarebbero oggi i partigiani e le partigiane?

L’appuntamento è alle 20, ma quando arrivo alle 20 e 10 stanno già intervenendo al microfono e le numerose bandiere sventolano; il vento non ha mollato tutto il giorno, il freddo è pungente.

Le ragazze di sempre leggono da un telefono per essere ficcanti nel loro discorso e non dimenticare nulla, la resistenza in Palestina, le follie del mondo, dei suoi governanti, miseria, ingiustizie e precarietà tra noi. La necessità di reagire, l’urgenza, il tempo che stringe. Il vecchio Khaled, parlando da un anno e mezzo davanti a tutti e tutte, fatica a trovare parole nuove, ma come scavando sotto le macerie, le trova.

I giovani palestinesi, ormai con accento italiano, parlano della loro terra come ci fossero nati. Cuori e teste esprimono il meglio anche se la rabbia, a tratti, rischia di prevalere, ma è comprensibile.

La notte e la giornata che è seguita è stata infernale. Uno schiaffo violentissimo a una tregua alla quale ci si era aggrappati come a una zattera.

Fine, le bombe hanno ripreso, i bambini di nuovo a morire. Avevamo avuto la speranza, forse l’illusione, che il Premio Oscar a “No other land” avesse spostato il baricentro, invece no. Cosa possiamo fare? Cosa, come? La domanda è la radice ennesima della stessa che si fanno a Gaza.  E ancora: fino a quando? Fino a dove? Quale il limite?

Sembra che i nostri governanti vogliano sfidare il clima dicendo: saremo noi a distruggere il mondo! Noi saremo più forti e veloci del clima. Pazzi.

E noi, come in un formicaio calpestato, ci agitiamo, cerchiamo. Ieri sera, come tante altre volte in questi ultimi anni, si è usciti di casa per non gestire da soli e da sole un dolore insopportabile. Anche stavolta, è solo il freddo che allontana qualcuno prima del tempo, i giovani, fossero anche in maglietta, resterebbero lì.

Dopo più di un’ora di interventi, poca musica, tantissimi slogan gridati con forza gigantesca, si chiede di intervenire a chiunque, presentandosi e dicendo liberamente perché si è lì. Ecco allora gli italiani e le italiane che escono dal buio. Il primo è il più esemplificativo: ci vergogniamo. Il Mediterraneo sta segnando un confine che pretende e invoca un diffuso razzismo per “difenderci”. Armi e presunto nemico vanno a braccetto. Crescono entrambi. Fermarli, fermarli.

La sensazione è una: se in questo momento Gaza, la Palestina, è la punta di un iceberg della capacità di distruzione umana, dobbiamo risvegliare l’iceberg sonnolento.

Come non capire che tutte le lotte sono collegate? Come non capire che, se i governi sono così capaci di unirsi, formare le squadre, come si faceva da ragazzini prima di iniziare una partita di calcio al campetto, per noi si tratta di rispondere dal basso, con una mobilitazione che, potenzialmente, ha 100 volte la loro forza. Dal basso: quante volte lo abbiamo detto.

Questa volta o riusciremo a essere coerenti con questa affermazione o tutto sarà perduto. Dal basso significa non avere la certezza assoluta di avere ragione, incapaci di includere, di far spazio, di coinvolgere, di accogliere, di ascoltare, di avere dubbi. Solo mescolandoci, senza leader presenzialisti, con l’umiltà necessaria e con uno spirito di sacrificio che ci trasformi in sinceri resistenti, una volta si sarebbe detto: di rivoluzionari. Non avremo un esercito, ma saremo cento volte di più, molto più forti, attenti, sensibili, capaci di riscattare un’umanità che in questo momento è sepolta dalle macerie.

Per la cronaca, il presidio si è trasformato in un breve corteo, fino a Piazza Castello. La sensazione è che sia stato un trailer delle future manifestazioni: gran quantità di polizia davanti e dietro che per qualche minuto sembra non voler far partire il corteo, la Digos che si intrufola, il corteo, attento, che li invita ad allontanarsi. Alla fine si arriva quasi alle 23. Ci si saluta, ma le bandiere palestinesi faticano ad arrotolarsi.

Foto di Andrea De Lotto e Silvia Pinelli