Benvenuti alla sesta parte della rubrica “Contro il Pelecidio” che consiste nella pubblicazione, una volta a settimana, di una mini-intervista allo scrittore Luca Sciacchitano sui temi del suo ultimo interessantissimo saggio intitolato “Pelecidio, perchè è moralmente giusto criticare Israele” – edito da Multimage La casa editrice dei diritti umani – che senza filtri, con cognizione di causa ed una certa parresia, mette sotto accusa quello che è il colonialismo israeliano, il sionismo, l’occupazione belligerante di Israele in terre palestinese, i crimini di guerra, il terrificante sistema d’apartheid razzista e il “genocidio incrementale” messo in atto da ormai più di 70 anni, svelando apertamente le strategie colpevolizzanti della hasbara israeliana e della strumentalizzazione sionista della Shoah.

AIPAC, il Jewish National Fund, l’Australia-Israel Cultural Exchange e molte altre lobby sono attori fondamentali dell’occupazione israeliana in Palestina. Quale ruolo giocano queste lobby?

Quando iniziano a circolare i soldi il confine tra idealismo e convenienza economica diventa piuttosto fosco. Soprattutto quando borse piene di soldi piombano nelle campagne elettorali e si abbattono come arieti sulle priorità programmatiche dei vari partiti.

Un caso di scuola è quello americano, dove la più potente lobby sionista, l’AIPAC, American Israel Public Affairs Committee, si attiva ad ogni campagna elettorale in cerca di candidati da sponsorizzare. Un’inchiesta fatta da Intercept per le primarie presidenziali del 2024 ha rivelato le cifre e l’impatto degli investimenti AIPAC sui risultati delle elezioni. Il dato che salta immediatamente all’occhio è l’approccio bipartitico ai finanziamenti. Ci si aspetterebbe infatti un flusso di finanziamenti dirottati verso lo schieramento più in linea con le politiche sioniste: nulla di più sbagliato.

Per le presidenziali 2024 l’AIPAC ha sborsato la modica cifra di 100 milioni di dollari (solo per il finanziamento ai candidati) sia in direzione dei democratici che dei repubblicani.
Le cifre pubblicate da Intercept rivelano un totale di 386 seggi, ovvero più dell’80% del totale.
Sulla trasversalità dei finanziamenti, le informazioni sono reperibili online e facilmente raggiungibili: il sito della lobby J-Street mette nero su bianco la propria raccolta di 6 milioni di dollari per la campagna elettorale di Kamala Harris, in contrapposizione all’articolo del Jerusalem Post (novembre 2024) che quantifica in 100 milioni di dollari il sostegno dato a Donald Trump dall’AIPAC per la sua corsa alla Casa Bianca. Esemplificando, non importa chi avrebbe vinto le elezioni americane: la lobby sionista avrebbe vinto in ogni caso.

Alla luce di queste rivelazioni, diventa più facile spiegare la noncuranza flemmatica dei politici americani di fronte il massacro del popolo palestinese. Se la loro carriera politica è legata a doppio filo dai finanziamenti delle lobby sioniste, meglio non mordere la mano che li nutre.

La questione dei finanziamenti politici da parte delle lobby, qualsiasi lobby, a deterimento dei processi democratici è sicuramente una tematica che andrebbe affrontata con lucidità e raziocinio. Se infatti tutti noi ci immaginiamo l’icona della giustizia come una donna con in mano una bilancia, si rischia di traslare in oligarchia quando un piatto di quella bilancia si appesantisce con i soldi dei lobbisti laddove l’altro piatto, quello dei poveri, delle minoranze, degli esclusi, si solleva miseramente vuoto. Il rischio (la certezza) è quella di una politica dei ricchi per i ricchi e dove le masse devono sottomettersi alle necessità di pochi predatori.

Eppure, attraversando l’oceano e atterrando nella vecchia e democratica terra britannica le cose non vanno meglio. Secondo un rapporto del 2024 di Declassified UK, riportato da Middle East Eye, un terzo dei parlamentari conservatori inglesi hanno ricevuto finanziamenti dalle lobby pro-sionismo nella precedente campagna elettorale. Nel dettaglio “I politici conservatori hanno accettato oltre 430.000 sterline (mezzo milione di dollari n.d.r.) da gruppi di pressione israeliani e hanno effettuato 187 viaggi nel Paese (Israele n.d.r.)”.

Il caso sopra riportato si riferisce alla sola Inghilterra e al gruppo denominato Conservative Friends of Israel (CFI), un gruppo parlamentare che sostiene di annoverare tra i suoi membri circa l’80 percento dei parlamentari conservatori e che ha versato oltre 330.000 sterline per le visite dei parlamentari in Israele.
A questo bisogna aggiungere i 10 milioni di sterline i finanziamenti riversati verso il Partito Conservatore da diversi individui legati al CFI, così come documentato nel 2009 in un’inchiesta di Dispatches per Channel 4.

Spostandoci in Europa la situazione è forse ancora peggiore, se si considera che il pericolo che non si conosce è quello che fa più paura. Nel 2024, Follow the Money stilava quella che venne definita dal Guardian “l’analisi più completa finora sul finanziamento dei partiti nell’Unione”. Il giornale britannico spiega anche la metodologia utilizzata “Per il progetto sono stati raccolti e analizzati i rapporti annuali di oltre 200 partiti, […] Il gruppo ha inoltre effettuato un confronto, paese per paese, delle norme che disciplinano la trasparenza in merito alle donazioni politiche da parte di aziende, ricchi sostenitori, fondazioni, think tank e sostenitori di base”. Lo strabiliante risultato a cui arrivano gli analisti è… non si sa!

A parte 7 paesi europei (su 27), le donazioni partitiche non sono identificabili. Tanto per avere un quadro indicativo, anche se non esaustivo della situazione, in Francia “il divario di trasparenza è del 100%. Le donazioni avvengono interamente a porte chiuse e il pubblico non ha il diritto di sapere chi finanzia la politica francese. […] L’analisi mostra che i sostenitori privati, ovvero un mix di individui, aziende e altre istituzioni, hanno contribuito con quasi 46 milioni di euro a 15 partiti francesi tra il 2019 e il 2022”.

Stessa situazione in Germania dove “nel 2022, i sette partiti che siedono nel parlamento tedesco hanno raccolto circa 130 milioni di euro tra benefattori privati e contributi obbligatori dei politici ai loro partiti. Tuttavia, la fonte di oltre tre quarti di questi fondi era sconosciuta” e, ovviamente, in Italia dove “una modifica della legge italiana nel 2019 ha imposto alle fondazioni le stesse regole di trasparenza dei partiti politici, costringendole a identificare i donatori. Tuttavia, molte di queste fondazioni hanno risposto modificando il loro status in organizzazioni non profit per evitare le più severe regole di trasparenza”.
E questo è il motivo per cui, quando ascoltiamo tronfi politici parlare del diritto di Israele a difendere sé stessa, omettendo di citare il genocidio di decine di migliaia di civili, è imperativo chiedersi quanti soldi macchiati di sangue si trovino in quelle tasche.

Link alle prime 50 pagine in pdf del libro “Pelecidio, perchè è moralmente giusto criticare Israele”: https://www.first-web.it/pelecidio1-50.pdf