Con 5.000 € sul conto corrente in banca si guadagnano 18,2 € l’anno a Trento e Bolzano, 15 €  a Firenze, 13 € a Roma, 11 € a Milano e Perugia. La stessa somma, invece, frutta appena 6,5 € a Napoli, 7 € a Trieste, 8 € a Catanzaro, Potenza, Genova e Aosta. Poco più fortunati i correntisti di Torino con “incasso” annuo da 8,5 €. I rendimenti più bassi in Campania, Calabria e Basilicata (e in Friuli Venezia Giulia). Sono alcuni dei dati resi pubblici recentemente da Analisi&Ricerche di Fabi (Federazione Autonoma Bancari Italiani).

Si registrano, insomma, ampie divergenze territoriali e regionali nei rendimenti che le banche riconoscono sui “salvadanai” della loro clientela. La classifica delle remunerazioni, dunque, dimostra che da Nord a Sud non ci sono le stesse opportunità di guadagno per i risparmi delle famiglie italiane: la media nazionale del tasso d’interesse praticato dalle banche alla clientela per un conto corrente fino a 50.000 euro – a fine 2023 – è dello 0,21%, ma nelle 20 regioni del Paese vi sono livelli assai diversi. E poco conta che le regioni a sud della capitale vantino il 25% del portafoglio di liquidità dell’intero Paese, perché non c’è parità di trattamento per tutti i clienti, anche quando si parla di risparmio. Sarà per effetto del rischio o della “bontà” di chi deposita, sta di fatto che la liquidità premiata e apprezzata dalle banche è quella depositata al Nord e nel Centro Italia. I rendimenti migliori si trovano in Trentino Alto Adige, ma è il Centro l’area dove la media dei tassi bancari sui conti correnti è la più alta della Penisola, con un livello pari allo 0,27%. Chi vive in Campania guadagna, con un saldo medio annuale di 5mila €, quasi 12 € in meno rispetto a chi vive in Trentino Alto Adige.

Ma quanti soldi ci sono sui conti correnti e quali sono le regioni più ricche per liquidità? Alla fine del 2023, il saldo totale dei conti correnti delle famiglie italiane si è attestato a quota 1.151,1 miliardi di €, in calo però di 43,5 miliardi rispetto alla fine del 2022: in un anno si è registrata, dunque, una discesa del 3,6%, che si può ricondurre da un lato all’inflazione e all’aumento dei prezzi, che hanno indotto le famiglie a utilizzare le loro riserve per far fronte al caro-vita e dall’altro alla ricerca di rendimenti più alti, con una parte del denaro spostata su depositi a scadenza o sui titoli di Stato. Un quinto della liquidità degli italiani è in Lombardia (234,4 miliardi pari al 20,4% del totale e al doppio rispetto alle altre due regioni che si posizionano sul podio), che sono il Lazio (120,9 miliardi, il 10,5%) e il Veneto (105,4 miliardi, il 9,2% delle riserve italiane). La classifica prosegue poi con: 97,7 miliardi in Emilia-Romagna (8,5%), 90,1 miliardi in Piemonte (7,8%), 87,7 miliardi in Campania (7,6%), 72,9 miliardi in Toscana (6,3%), 60,4 miliardi in Puglia (5,3%), 58,1 miliardi in Siclia (5,1%), 32,1 miliardi in Liguria (2,8%), 30,3 miliardi nelle Marche (2,6%), 28,7 miliardi in Trentino Alto Adige (2,5%), 26,1 miliardi in Friuli Venezia Giulia (2,3%), 25,6 miliardi in Calabria (2,2%), 23,1 miliardi in Abruzzo (2,0%), 22,7 miliardi in Sardegna (2,0%), 14,3 miliardi in Umbria (1,3%). Sotto quota 1%, nel terzetto di coda, si trovano la Basilicata con 10,8 miliardi (0,9%), il Molise con 6,1 miliardi (0,5%) e la Valle d’Aosta con 2,7 miliardi (0,2%).

Nella maggior parte delle regioni, si osserva uno squilibrio, talora più marcato, tra la quota di liquidità dei correntisti e la percentuale della popolazione residente. Tale fenomeno si rileva in senso negativo in particolare nel Mezzogiorno, dove le riserve bancarie non sono in linea con il dato demografico: in Campania (7,6% di riserve contro il 9,5% della popolazione residente), in Puglia (5,3% contro 6,6%), in Sicilia (5,1% contro 8,2%), in Calabria (2,2% contro 3,1%), in Abruzzo (2,0% contro 2,2%), Sardegna (2,0% contro 2,7%).

Il Rapporto di Analisi&Ricerche Fabi oltre considera anche altre disuguaglianze territoriali: “Il Sud risulta penalizzato anche per il mercato del lavoro: se il tasso di occupazione media in Italia è salito del 62,1% nell’ultimo trimestre 2023, in crescita rispetto al 60,7% del 2022, permangono forti differenze territoriali, si legge nel Report. Al Nord, secondo gli ultimi dati Istat, il tasso di occupazione si attesta, a fine 2023, al 69,9% (dal 69% del 2022), con picchi del 70,7% nel Nord Est, dove la provincia autonoma di Bolzano che raggiunge il 74%, la Valle d’Aosta al 71,8% e l’Emilia Romagna al 71,4%. Nel Centro Italia il tasso di occupazione registrato è stato del 66,1%, con la Toscana al 69,3% (in crescita dal 68,6% del 2022) e il Lazio al 63,5% (62,1% nel 2022). Al Sud il livello di occupazione si ferma al 49,1% con l’eccezione dell’Abruzzo che spicca col 62,2%, mentre la Campania risulta fanalino di coda a livello nazionale col 45,3% (seppur in crescita rispetto al 43,4% del 2022), seguito dalla Sicilia al 45,9% (43,2% nel 2022) e dalla Calabria al 47,6% (43,7% nel 2022).

E anche se si considera il tasso di disoccupazione nella fascia più giovane e si distingue per genere, emerge una marcata differenza:  una ragazza tra i 15 e i 24 anni in cerca di lavoro in Trentino Alto Adige, per esempio, ha una possibilità su dieci (9,8%) di rimanere disoccupata, mentre una sua coetanea in Calabria ha più di una possibilità su due (51,6%). Nelle regioni meridionali, infine, diventa ancora più accentuato anche il gender gap occupazionale: se a livello nazionale il tasso di disoccupazione medio maschile, nel 2023, scende al 7% rispetto a quello complessivo, quello femminile raggiunge l’8,9%. Nel Nord il tasso di disoccupazione femminile è stato del 5,6% medio, con punti minimi del 3,5% in Trentino Alto Adige e massimi del 7,7% in Liguria e in Piemonte, al Centro Italia del 7,6% (minimo nelle Marche al 6,2% e massimo nel Lazio all’8,8%), mentre nel Sud ha raggiunto il 16,7% con la “virtuosa” Basilicata al 9,9% e la Campania che, invece, raggiunge il 21,2%, valore più alto a livello nazionale.

Qui per approfondire: https://www.fabi.it/2024/04/13/le-differenze-territoriali-dei-rendimenti-sui-conticorrenti/.