1. Da un fermo amministrativo all’altro, contro le navi del soccorso civile, le decisioni di “sospensiva” adottate in via d’urgenza dai Tribunali civili italiani, a Brindisi, Crotone, ed adesso anche a Ragusa, anche se l’Avvocatura dello Stato ritarda ad esibire le motivazioni documentali alla base dei provvedimenti di fermo adottati dalle Capitanerie di Porto e dai Prefetti, in base al Decreto Piantedosi (legge n.15/2023), stanno svelando la catena di complicità che lega autorità italiane, e l’agenzia europea per il controllo delle frontiere esterne (FRONTEX) con la sedicente Guardia costiera “libica” e i suoi referenti politici e militari. Materie su cui ormai il governo oppone il segreto ai fini della sicurezza nazionale. Come è successo nei numerosi procedimenti penali avviati dal 2017 (a partire dal caso Iuventa) e tutti archiviati o in via di archiviazione, ad ogni passaggio procedurale, e si vedrà nelle prossime udienze di merito, emergono elementi che si vorrebbero matenere “riservati”, materia per i servizi segreti, da non chiarire, per nascondere le gravissime responsabilità di chi continua a gestire il contrasto dell’immigrazione “illegale” nel Mediterraneo centrale, in violazione degli obblighi di soocorso e di sbarco in un porto sicuro imposti dal diritto internazionale. Con modalità che favoriscono intercettazioni che non sono “soccorsi” ma deportazioni verso campi di detenzione ancora controllati da milizie colluse con i trafficanti, come confermano, ancora di recente, i rapporti delle Nazioni Unite (UNSMIL) e la preoccupazione della Commissaria europea Johansson, che avverte come non ci si possa fidare dei guardiacoste libici.

Anche se si riferisce a fatti risalenti al 2019, il processo Open Arms/Salvini a Palermo, interamente registrato da Radio Radicale, completa un quadro che con gli anni diventa sempre più fosco, e mentre il governo in carica vanta i suoi successi, le persone continuano a morire di abbandono in mare, se non vengono deportate in Libia verso centri nei quali, al di là delle milizie che li gestiscono, e delle dichiarazioni di qualche ministro, siano centri “governativi” o informali, domina un sistema violento di estorsioni quotidiane e di abusi “indicibili” che nessuna autorità libica è finora riuscita a contrastare.

Ancora il 15 febbraio scorso il Delegato dell’ONU per la Libia si rivolgeva al Consiglio di Sicurezza “allarmato per le continue espulsioni collettive di migranti e rifugiati attraverso i confini tra la Libia e i paesi vicini”. Lo stesso ribadiva il suo appello “alle autorità di tutti i paesi interessati affinché pongano fine alle espulsioni forzate, che costituiscono violazioni del diritto internazionale”. E ribadiva le sue richieste “per il pieno accesso e indagini indipendenti su tutte le presunte violazioni e abusi nelle strutture di detenzione libiche dove la situazione è particolarmente grave”. Una situazione ancora attuale che i governi europei non possono ignorare quando continuano a coordinarsi con le diverse autorità libiche per intercettare in mare e riportare indietro chi fugge da quell’inferno. Una situazione di gravissimi abusi , estesa in tutto il territorio libico, senza nessuna esclusione, che priva di qualsiasi legittimità gli accordi, come il Trattato di Bengasi del 2008, i memorandum ed i protocolli operativi stipulati in passato con i libici.

Quanto osserva la Corte di Cassazione con riferimento al 2018, che la Libia non garantisce porti di sbarco sicuri, è assolutamente attuale ancora oggi. Non si può dunque addurre come comportamento antigiuridico e presupposto per sanzioni pecuniarie e fermi amministrativi, la mancata obbedienza alle disposizioni impartite dalle autorità marittime libiche. Come si legge in tutti i più recenti provvedimenti di fermo amministrativo a carico delle navi umanitarie delle ONG. Navi bloccate in porto per settimane, mentre in alto mare le persone continuano a morire, o finiscono deportate in Libia. E dalla Libia scattano poi altre deportazioni di persone bloccate nel tentativo di raggiungere l’Italia, come quelle trasferite ieri al confine tra la Cirenaica con l’Egitto, in questo caso sotto il controllo delle milizie del generale Haftar, ma in accordo con le autorità di Tripoli, senza alcuna possibilità di fare valere una istanza di protezione internazionale, perchè la Libia non aderisce alla Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati. Forse sono gli effetti della intensa diplomazia italiana che ha costretto ministri ed agenti a fare la spola tra Tripoli, Bengasi ed Il Cairo, con l’intervallo di qualche vertice euroafricano a Roma. I soldi europei fanno gola a chi lucra sulla pelle dei migranti in fuga dall’inferno libico e dopo il Memorandum UE-Tunisia, un accordo simile sarebbe pronto con Al Sisi. Ma non si può parlare di deportazioni, è il Piano Mattei per l’Africa.

 

2. Il 27 marzo scorso il Tribunale di Ragusa ha disposto la sospensione del fermo amministrativo della nave Sea-Watch 5 riconoscendo come non vi sia stato, da parte della nave ONG, alcun illecito. Il Giudice ha potuto esaminare soltanto le prove presentate dalla ONG Sea-Watch accusata con motivazione ormai standard di avere disatteso le indicazioni della motovedetta Fezzan della sedicente guardia costiera libica. A sostegno di questa accusa, l’Avvocatura di Stato ha sostenuto di avere ricevuto prove documentali da parte di Frontex, prove che tuttavia, non sono state presentate o depositate e dunque non hanno assunto alcun rilievo.

Dalla pronuncia di sospensiva adottata dal Tribunale di Ragusa si ricava che “nel provvedimento, “non è emerso quali indicazioni il centro per il soccorso marittimo avrebbe dato alla SW5, che quest’ultima non avrebbe rispettato”. Per quanto risulta, già prima del soccorso, “senza fornire motivo alcuno” la motovedetta Fezzan, a suo tempo ceduta dagli italiani, avrebbe intimato alla Sea Watch di cambiare rotta, salvo poi ignorare “ripetute richieste da parte della SW5, che comunicava di non potere cambiare rotta perché vi era il rischio di collisione con una nave mercantile che si trovava nelle vicinanze, la “BOS Apollo”. A questo punto, come riferito dalla stessa ONG “Sea Watch 5 ha informato il pattugliatore Fezzan, e così le autorità libiche, oltre che le autorità italiane e tedesche, di avere avvistato il barcone in distress e che si stava preparando per l’intervento di assistenza, senza ricevere alcuna disposizione contraria”. 

Ancora una volta era proprio l’avvicinamento successivo della motovedetta libica che determinava una situazione di pericolo, quando i naufraghi, intuendo che potevano essere riportati in Libia, erano già pronti a buttarsi in mare, pur di evitare di essere rinchiusi nei campi di detenzione nei quali avevano già subito tanti abusi. Una brutta sequenza di prassi operative in contrasto con le regole del soccorso in mare che nel Mediterraneo centrale si ripetono periodicamente dal 2017, anno della firma del Memorandum d’intesa tra Italia e governo di Tripoli.

Si vedrà nel corso del procedimento di quali prove dispone i governo italiano, se mai verranno davvero esibite, e quali sono: da un lato, gli attuali livelli della cooperazione operativa tra i guardiacoste che fanno capo al governo provvisorio di Tripoli e che controlla meno di un terzo della Libia; dall’altro, gli assetti dell’agenzia europea Frontex e le autorità italiane e maltesi. Non si può peraltro dimenticare il ruolo di nuovi attori politici e militari che sono presenti in Libia, soprattutto Egitto e Russia, in buoni rapporti con l’uomo forte della Cirenaica, con quel generale Haftar che, malgrado le visite lampo dei politici italiani, continua a perseguire una politica di forza minacciando il processo di riconciliazione nazionale sostenuto dalle Nazioni Unite.

 

3. Di certo le violenze commesse dalla sedicente Guardia costiera libica si ripetono da anni, ma si sono intensificate in quest’ultimo periodo, soprattutto dopo la “sterilizzazione” della missione Nauras in Libia, che fino al 2020 garantiva il coordinamento e l’assistenza alle motovedette tripoline, come riconosciuto anche dai giudici italiani, e l’arrivo dei militari turchi, che da quell’anno, dopo avere salvato Tripoli dall’attacco del generale Haftar, hanno preso il controllo di buona parte delle coste della Tripolitania. Malgrado la missione a Tripoli di una nave militare italiana, alla fine del 2021, con l’invio di strutture e attrezzature per la creazione di una Centrale di coordinamento dei soccorsi a Tripoli (RCC), condizione essenziale per il riconoscimento effettivo di una zona di ricerca e salvataggio (SAR) “libica”, ad oggi, se manca il coordinamento garantito da Frontex e dalle centrali (MRCC) europee, i libici non arrivano in tempo per salvare naufraghi. Ed anzi il loro tardivo arrivo può interrompere atività SAR (di ricerca e salvataggio) già in atto e mettere a rischio vite, come si è verificato da ultimo nel caso dei soccorsi operati in acque internazionali dalla Sea Eye 4. sottoposta a fermo dopo il suo arrivo nel porto di Reggio Calabria.

Per il governo italiano sembra irrilevante l’esistenza di una pluralità di autorità marittime che in Libia si contendono la sorveglianza delle frontiere marittime, con un cospicuo supporto economico da parte dell’Unione europrea, come la GACS (General Administration of Coastal Security.assistita anche dai maltesi, e la LCG (Libyan Coast Guard) e le indagini su alcuni comandanti collusi da anni con le milizie che trafficano esseri umani. Comandanti malgrado tutto ancora ai loro posti ed anzi promossi dal governo Dbeibah, riconosciuto dalla comunità internazionale.

Già nel 2019, l’OIM, presente in alcuni punti di sbarco in Libia in quel periodo, smentiva le rasicurazioni fornite dalla Commissione europea e da Frontex, e denunciava la presenza di trafficanti nei centri di detenzione e la sparizione dei migranti dopo la loro deportazione in Libia a seguito di eventi di soccorso, Come le più recenti denunce continuano a confermare. Ormai le violenze della sedicente Guardia costiera libica ai danni dei naufraghi intercettati in acque internazionali sono diventate una prassi che non può essere ignorata dai paesi che dotano di motovedette il governo di Tripoli e forniscono strumenti avanzati di assistenza e coordinamento operativo.

Adesso sembra prevalere la dimensione “aerea” e informatica della collaborazione con i libici, soprattutto per il ruolo mediato da Frontex, con i tracciamenti comunicati in tempo reale a Tripoli, ma sono proprio gli ultimi fermi amministrativi a confermare una stretta coopareazione operativa tra Italia e guardia costiera” libica” sul piano delle comunicazioni, tanto da assegnare alle autorità di un paese terzo, che neppure aderisce alla Convenzione di Ginevra sui rifugiati, poteri di qualificazione e di criminalizzazione dei soccorsi operati in acque internazionali dalle navi del soccorso civile. Comunicazioni provenienti dai libici di cui i provvedimenti, adottati dagli organi periferici del ministero dell’interno e del ministero delle infrastrutture, tengono direttamente conto, come motivazione standardizzata per applicare le sanzioni pecuniarie ed i fermi amministrativi previsti dal decreto Piantedosi (legge n.15/2023), senza alcuna ulteriore istruttoria, senza altre motivazioni, che non siano quelle ricevute direttamente dai guardiacoste tripolini.

 

4. Le prossime udienze “di merito” nei tribunali italiani, nelle quali si discuterà della legittimità delle misure di fermo amministrativo adottate nei confronti delle ONG, saranno dunque di grande importanza, non solo per il loro esito. Comunque permetteranno di svelare la fitta rete di complicità che collega le autorità libiche delle diverse fazioni, ancora in lotta tra loro, con le autorità marittime, militari e politiche italiane ed europee. Gli effetti applicativi delle norme di legge sono un importante parametro per verificare la compatibilità con il dettato della Costituzione e la legittimità degli accordi internazionali e delle prassi che ne derivano.

Potrebbe intervenire comunque la Corte costituzionale italiana a valutare la legittimità del Decreto Piantedosi (legge 15/2023), mentre purtroppo le istituzioni europee e i Tribunali internazionali, soprattutto la Corte europea dei diritti dell’Uomo, segnano un grave passo indietro nella tutela delle persone che tentano la traversate del Mediterraneo per l’unico canale che rimane ancora aperto, lasciandosi alle spalle soprusi e violenze di ogni genere. I giudici della Corte europea dei diritti dell’Uomo richiedono ormai livelli irraggiungibili di prove per i richiedenti asilo che reclamano giustizia per gli abusi subiti nei respingimenti collettivi in mare, come afferma Iftach Cohen, avvocato di Frontlex, un’organizzazione della società civile con sede in Olanda, che ha citato in giudizio Frontex, l’agenzia di frontiera dell’UE. per i respingimenti collettivi illegali in Egeo, e “ciò dimostra quanto siano davvero antagonisti nei confronti dei rarissimi casi portati avanti dalle vittime di violazioni dei diritti umani alle frontiere esterne dell’UE”. Sembra che le persone che si trovano nelle acque internazionali del Mediterraneo centrale in situazioni di grave pericolo possano trovarsi al di fuori di una qualsiasi giurisdizione che ne garantisca almeno i diritti fondamentali, a partire dal diritto alla vita. Dunque nessuna sanzione, nessuno Stato responsabile, per le continue violazioni che subiscono?

In ogni caso, le autorità italiane si nascondono sistematicamente dietro la questione della giurisdizione esclusiva che spetterebbe ai libici nella loro zona di ricerca e salvataggio (SAR) anche se in Libia non esiste uno Stato unitario e tantomeno una Guardia costiera unificata che rispetti gli obblighi di soccorso previsti dalle Convenzioni internazionali, fino allo sbarco dei naufraghi in un porto sicuro. Le zone Sar sono zone di responsabilità condivisa tra Stati costieri che hanno precisi obblighi di ricerca, salvataggio e sbarco in un porto sicuro, in base alle Convenzioni internazionali, non sono aree di giurisdizione esclusiva o di sovranità nazionale. E nessuna impunità potrà essere garantita a lungo a chi si nasconde dietro la logica della esternalizzazione e la politica degli accordi bilaterali.

Alla vigilia di una stagione che registra già un nuovo aumento delle partenze dalla Libia (e dalla Tunisia), malgrado gli sforzi di contenimento operati dai governi europei, ed in particolare dal governo italiano che, con la copertura dell’Unione europea, hanno stretto accordi con regimi, milizie e governi che non rispettano i diritti umani, e non garantiscono gli obblighi di soccorso, lo svelamento delle responsabilità e delle complicità con i libici delle diverse fazioni potrebbe contribuire a salvare migliaia di vite, altrimenti vittime di abbandono in mare.

 

pubblicato anche su ADIF-Associazione Diritti e Frontiere