Sono le 18.30 di venerdì 22 marzo e piazza Accursio è trafficata come sempre. In un angolo ben visibile cominciano a moltiplicarsi le bandiere palestinesi e viene issato uno striscione con la scritta “Blocchiamo chi arma Israele”. C’é sciopero dei mezzi e molte persone non riescono a raggiungere il presidio. Nonostante questo, dopo qualche ora e qualche primo intervento per rompere il ghiaccio, ci guardiamo intorno e ci rendiamo conto che siamo in tanti. E allora si parte in corteo, ci prendiamo la strada e via verso via Gallarate, dove si trova la Cabi Cattaneo. Esplodono i cori e gli slogan nel silenzio della sera e ben presto dai balconi e dalle finestre gli abitanti rispondono. Alcuni scendono e si uniscono a noi, leggono il volantino “il genocidio inizia da casa nostra – blocchiamo Cabi Cattaneo che arma Israele” e ci dicono di non sapere nulla di questa fabbrica di armi.

“No missione Aspides, fuori l’Italia dalla guerra, blocchiamo la filiera della morte” recita un altro striscione e tra i cori contro il sionismo, il colonialismo e per la liberazione della Palestina in un attimo siamo quasi al numero 64 di via Gallarate.

Arriviamo vicinissimi all’azienda che progetta sottomarini e mini siluri e collabora con Fincantieri e Leonardo, ma una fila di agenti in tenuta antisommossa ci blocca. Senza perderci d’animo, invertiamo la rotta e arriviamo fino al centro commerciale Portello. Lì, come un’onda spontanea, entriamo tra i negozietti e la Banda degli Ottoni attacca con un ritmo trascinante; i lavoratori, i consumatori e i passanti non restano indifferenti. Partono applausi e qualcuno si unisce a noi.