>  MERIDIOGLOCALNEWS  – RASSEGNA SETTIMANALE SULLE SOGGETTIV₳ZIONI METICCE  <

 

A Gaza i bambini iniziano a morire di fame. l’ONU ha dato conferma della situazione di assoluta carestia in cui si trovano i bambini palestinesi, attraverso un report  in cui sostiene senza mezzi termini che nel nord di Gaza “i bambini stanno morendo di malattie legate alla fame e soffrendo gravi livelli di malnutrizione”

Oltre 13.000 bambini palestinesi morti dall’inizio dell’invasione per effetto dei bombardamenti aerei, dei colpi di carro armato o di artiglieria e dei fucili dei soldati israeliani. Adesso muoiono di stenti per la fame e la disidratazione. Secondo quanto ha comunicato l’Organizzazione delle Nazioni Unite nella scorsa settimana, “gli sforzi del Programma Alimentare Mondiale (PAM) dell’ONU per consegnare le scorte di cibo di cui c’è disperatamente bisogno nel Nord di Gaza si sono rivelati ampiamente fallimentari”.  Il ministero della Salute di Gaza ha dichiarato che 15 bambini sono morti per queste cause soltanto nell’ospedale Kamal Adwan di Beit Lahiya, nel nord di Gaza

Nel suo articolo l’ONU definisce i livelli di fame che la popolazione di Gaza ha raggiunto negli ultimi mesi come “catastrofici”, tanto che secondo quanto comunica Associated Press molte persone, in assenza di farina, avrebbero fatto ricorso al mangime degli animali per produrre il proprio pane. I problemi alimentari si allargano anche alla questione idrica, visto che “più dell’80% delle case a Gaza non hanno accesso ad acqua sicura e pulita”, ma l’acqua scarseggia in generale, tanto che, sempre secondo l’ONU, in media circa “40 persone condividono un singolo bagno, e c’è una doccia ogni appena 1.300 persone”. L’unico modo per risolvere l’emergente crisi umanitaria in cui versa la striscia, sarebbe in tale ottica quella di imporre un cessate il fuoco per permettere l’invio sicuro e rapido di sostegno umanitario a una popolazione che sta ogni giorno sempre più morendo di stenti. Questo, poi, non potrebbe che essere inviato via terra, perché gli aiuti lanciati con gli aerei si stanno rivelando piuttosto limitati: i pacchi sono infatti pochi, poco riforniti e spesso lanciati alla rinfusa, tanto da finire in mare. “La strada è l’unica opzione” e, a parere di Carl Skau, Vicedirettore Esecutivo e Direttore Operativo del PAM, “gli aiuti via aria sono un’ultima risorsa e non scongiureranno la carestia”. Israele però non pare volere davvero arrestare la propria campagna nella Striscia, e l’emergenza della carestia non sembra limitarsi ad essere un effetto della guerra, ma si configura come un vero e proprio mezzo attraverso cui essa viene portata avanti, come sostenuto dall’Osservatorio dei Diritti Umani. L’impiego della fame come strumento di guerra servirebbe in tal senso a porre sotto pressione Hamas, mettendo il gruppo armato alle strette e costringendolo a cedere, e sarebbe comprovato, oltre che da episodi di concreta freddezza nella gestione degli aiuti umanitari come la “strage della farina”, anche dalla incessante pressione per bloccare i finanziamenti all’Agenzia delle Nazione Unite per i rifugiati palestinesi, nonché da aperte dichiarazioni di politici israeliani come il Ministro Israel Katz, che si è vistosamente opposto “all’apertura del blocco e all’introduzione di merci a Gaza per motivi umanitari”.

da l’Indipendente.online

 

Ancora spari israeliani sulla folla affamata a Gaza. Il ministero della Sanità di Gaza riporta che nove palestinesi sono stati uccisi e decine feriti dagli spari israeliani mentre la folla aspettava i camion degli aiuti in piazza Kuwait a Gaza City

“Bombardare assembramenti di persone affamate – ha detto Ashraf Al-Qidra, portavoce del ministero –  è diventata una routine quotidiana praticata dall’occupazione e vista dalla comunità internazionale sugli schermi”

Dal 7 ottobre i palestinesi uccisi da Israele sono 31.184, di cui almeno 72 nelle ultime 24 ore nei bombardamenti tra la notte e la mattinata. Colpite Al-Zaytoun e Gaza City, oltre a Jabalia, nel nord, Nuseirat, al-Bureij, al-Maghazi, Deir al-Balah. Jet israeliani in azione su Khan Yunis, compreso il centro, mentre a Rafah sono state prese di mira abitazioni nel quartiere di El Geneina, mentre altre aree sono state bombardate vicino a centri di accoglienza e tende per sfollati, un milione e mezzo nella città al confine con l’Egitto. Su Rafah, per ora, non parte l’annunciata invasione via terra israeliana. “L’opinione pubblica israeliana sta perdendo fiducia nelle capacità di leadership del premier in guerra” dice il rapporto annuale dell’intelligence Usa sulla sicurezza. Le agenzie Usa si aspettano nelle prossime settimane “grandi proteste che chiedono le sue dimissioni e nuove elezioni”. Il tutto mentre Usa, Qatar ed Egitto fanno sapere che tra Doha e Il Cairo proseguono le trattative per un cessate il fuoco, ma un accordo non è vicino. Il commento a Radio Onda d’Urto di Cecilia Dalla Negra, giornalista di Orient XXI(ascolta o scarica) . Intanto è salpata da Cipro, nel corridoio umanitario aperto dall’Ue, la prima nave con 200 tonnellate di aiuti umanitari dell’ong Open Arms, insieme a World Central Kitchen. Dovrebbe andare a nord della Striscia, dove ieri 2 bambini e un anziano a Beit Lahia, sono morti per denutrizione, portando il numero ufficiale a 27. Decine di migliaia le persone costrette a sfamarsi con mangime per uccelli e asini, senza acqua, elettricità e medicine a causa del blocco israeliano, che – denuncia Human Rights Watch – “non rispetta l’ordine della Corte internazionale di Giustizia per misure immediate ed efficaci, con la fornitura di servizi di base e di aiuti alla popolazione di Gaza”. La Cisgiordania occupata è invasa, in questi primi giorni di Ramadan, da poliziotti e militari israeliani. Raid nel campo profughi di Jenin, mentre 2 palestinesi sono stati uccisi da forze speciali di Tel Aviv in borghese ad Attil, a nord di Tulkarem. Le forze speciali, nascoste in un veicolo civile, hanno sparato contro due giovani in un negozio, ferendoli gravemente e impedendo poi alle ambulanze di raggiungerli, fino alla morte.  Sul fronte nord scambi di razzi continui nel sud del Libano, tra Tel Aviv ed Hezbollah, lungo la linea di demarcazione, dove ieri e oggi Israele ha condotto raid lontano dal confine, uccidendo un civile libanese nei pressi di Baalbek, capoluogo della valle orientale della Bekaa. Nel Mar Rosso la nave Duilio dell’esercito italiano ha abbattuto due droni degli Houti. Il Comando statunitense per il Medio Oriente ha invece annunciato di aver distrutto un sottomarino e 18 missili anti-nave al largo della costa yemenita.

comunicato su Osservatorio Repressione

 

Inchiesta Altreconomia: “L’Italia continua a esportare armi a Israele. Il caso delle forniture per i caccia”

Nel solo mese di dicembre del 2023, nel pieno dei bombardamenti da parte di Tel Aviv sulla Striscia di Gaza, l’export italiano di “Armi e munizioni” ha toccato quota 1,3 milioni di euro. I nuovi dati Istat smentiscono ancora una volta il governo e gettano una luce sinistra anche su altre tipologie di esportazioni legate a velivoli militari

Nell’ultimo trimestre del 2023 l’Italia ha esportato “Armi e munizioni” verso Israele per un valore pari a 2,1 milioni di euro. Solo a dicembre, ormai nel pieno dei bombardamenti da parte dell’esercito e dell’aeronautica militare israeliani sulla Striscia di Gaza, con catastrofiche conseguenze per la popolazione civile, l’export italiano ha toccato quota 1,3 milioni di euro, facendo segnare così il picco del periodo (contro i 233.025 euro di ottobre e i 584.511 di novembre). Le nuove Statistiche del commercio estero aggiornate a metà marzo 2024 dall’Istat smentiscono ancora una volta il Governo Meloni e le sue rassicurazioni pubbliche circa un blocco totale operato nei confronti delle esportazioni di armi e munizioni verso Tel Aviv. E rendono ancora più assordante il silenzio opposto alle nostre istanze di accesso civico da parte dell’Autorità nazionale Uama (l’Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento) in seno al ministero degli Esteri -lo stesso che in queste ore assicura iniziative umanitarie a favore della popolazione di Gaza- in merito ai dati reali dell’export militare e al presunto decreto di sospensione della vendita di armamenti a un esercito in guerra. Ma i dati dell’Istituto nazionale di statistica fanno di più: gettano una luce sinistra anche su altre tipologie di esportazioni, in particolare su componenti per velivoli ad uso militare partiti dalla provincia di Varese, dove ha sede la Alenia Aermacchi (gruppo Leonardo).

continua a leggere l’inchiesta di Duccio Facchini su: ALTRECONOMIA

 

Un decreto-legge varato il taglio delle principali voci di investimento pubblico presenti all’interno del bilancio dello Stato per rimodellare il PNRR: oltre 5 miliardi vengono sottratti alle politiche di coesione, destinate alla riduzione dei divari territoriali, aprendo una voragine nella capacità dello Stato di affrontare la «questione meridionale»

Si riducono risorse per i vigili del fuoco e la prevenzione degli incendi, per il contrasto al dissesto idrogeologico, per la rete idrica e fognaria, per l’edilizia pubblica, universitaria e scolastica, inclusa la messa in sicurezza delle scuole, per la prevenzione del rischio sismico, per la tutela del patrimonio culturale, per la manutenzione e la sicurezza di strade e autostrade, per l’abbattimento delle barriere architettoniche, per il rinnovo o l’acquisto di navi, bus e treni non inquinanti, per le reti ferroviarie, per la ricerca, per la mitigazione del rischio idrogeologico e per l’efficientamento energetico. In buona sostanza, vengono tagliate le spese di investimento necessarie al Paese, quei servizi di cui beneficiano indistintamente tutti i cittadini, dalla sanità alle infrastrutture, dalla scuola alla ricerca. Per fare spazio a cosa?

La revisione del PNRR ha consentito di finanziare 25 miliardi di nuovi investimenti grazie ad una serie di tagli. Il primo è quello di oltre 7 miliardi di euro di misure che vengono cancellate dal Piano o comunque ridimensionate: tra esse spiccano i tagli alla produzione di impianti di energie rinnovabili (eolico, fotovoltaico e impianti innovativi), alla digitalizzazione del sistema sanitario nazionale e delle aree periferiche del Paese, alle infrastrutture e alla sicurezza ferroviarie, all’istruzione e alla ricerca (fondo giovani ricercatori e dottorati innovativi) e al trasporto pubblico locale non inquinante. La seconda fonte di finanziamento dei nuovi investimenti PNRR scaturisce dall’inserimento nel nuovo Piano di ulteriori “progetti in essere” per 2 miliardi di euro, che avevano già la loro copertura sul bilancio dello Stato. Si tratta di un’operazione cosmetica davvero squallida in questo caso, perché parliamo di risorse già destinate ai territori dell’Emilia-Romagna colpiti dall’alluvione dello scorso anno e alla messa in sicurezza degli edifici scolastici, che vengono spacciate per nuovi interventi. In pratica, fondi già stanziati sono stati “vestiti” da PNRR, con tanto di passerella per la Presidente della Commissione europea, Von der Leyen che, al simpatico grido di “Tin bota, l’Europa resta con voi”, è andata in Emilia Romagna ad offrire agli alluvionati risorse che in realtà erano già state stanziate dallo Stato a ridosso dell’emergenza. La terza fonte di finanziamento della revisione del PNRR viene da circa 3 miliardi di ulteriori risorse a fondo perduto concesse dall’Unione europea. Queste sembrerebbero, finalmente, risorse fresche messe a disposizione del rilancio dell’economia. E invece no, pure queste sono finanziate attraverso i proventi ETS (Emissions Trading System’s) che l’Unione europea riceve dalle aste per la concessione delle cosiddette “quote CO2”. Tali proventi sono già destinati ai Paesi membri per finanziare spese “green” e l’Unione europea non ha fatto altro che trasferirci la nostra quota sotto forma di contributo a fondo perduto per il finanziamento del nuovo capitolo REPowerEU, inserito nella revisione del PNRR e dedicato alla diversificazione delle fonti di approvvigionamento energetico a seguito degli effetti del conflitto in Ucraina. Sono risorse che l’Italia avrebbe ricevuto e speso comunque, con la differenza che l’iniziativa REPowerEU è orientata molto meno alla transizione ecologica e molto più a stringere il legame tra l’Europa e gli Stati Uniti sul fronte degli approvvigionamenti energetici, anche fossili. Siamo a circa 12 miliardi di euro di tagli, dunque a meno della metà di quelli necessari a finanziare i nuovi investimenti PNRR. Qui entra in gioco il nuovo decreto-legge PNRR, che individua nel bilancio dello Stato ulteriori 13 miliardi di euro di tagli necessari a coprire la revisione del Piano.

leggi l’analisi articolata su Coniare Rivolta

 

Come rendere inapplicabile la 194. Da una recente indagine emergono numeri impietosi dalla cartina dell’aborto: “In 31 strutture in Italia l’obiezione di coscienza è totale, in 50 supera il 90%. Nelle regioni le limitazioni alla legge del 1978 vanno avanti da anni”

Quello che pesa di più sono i disagi provocati dall’alto numero di obiettori di coscienza. Oltre al dato insostenibile si aggiunga il boicottaggio delle giunte regionali di destra: “Prima furono le «mozioni per la vita», quelle che sancivano i comuni che le sottoscrivevano, città in prima linea per «la prevenzione dell’aborto e il sostegno della maternità»; poi gli scandali legati ai cimiteri dei feti, con i nomi delle donne che avevano abortito esposti sulle lapidi dei feti, com’è successo a Roma” (anche senza il consenso della donna – come nel caso ipotizzato dall’Abruzzo – con il tentativo di introdurre l’obbligo di sepoltura dei feti)

Secondo i dati del ministero della Salute relativi al 2021 il 63,4% dei ginecologi, il 40,5% degli anestesisti e il 32,8% del personale non medico è obiettore. Grazie a una indagine condotta da Chiara Lalli e Sonia Montegiove dal titolo «Mai dati» sappiamo che esistono 31 strutture in cui l’obiezione è totale, in contraddizione con la legge 194. A queste se ne aggiungono 50 in cui l’obiezione supera il 90% e 80 con un tasso superiore all’80%. Ci sono poi le donne che migrano in altre regioni, soprattutto al sud, e tante abortiscono clandestinamente, soprattutto le straniere (sono ancora 15mila gli aborti clandestini ogni anno). Tutto questo è possibile anche grazie alla 194, una legge rivoluzionaria per l’epoca, ma anche un compromesso politico al ribasso, per questo c’è chi pensa di riformarla. Una proposta di legge dei Radicali vuole togliere l’obiezione di coscienza e la cosiddetta «settimana del ripensamento», applicata solo in caso di aborto, che infantilizza le donne che vogliono scegliere sul proprio corpo.

articolo integrale di Rita Rapisardi su ilmanifesto

 

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