Dopo lo shock del 1991 dovuto alla guerra contro l’Iraq di Saddam Hussein, che per la prima volta dopo il secondo conflitto mondiale ruppe il tabù della guerra guerreggiata con la partecipazione diretta dell’esercito italiano, la guerra è entrata a pieno titolo nelle discussioni a tutti i livelli della politica italiana ed europea. I media parlano apertamente di guerra, nelle scuole italiane l’esercito fa propaganda diretta fra gli adolescenti, contrabbandando l’arruolamento volontario nelle forze armate come una scelta occupazionale normale. La propaganda per “l’amor patrio” è presente nei maggiori organi d’informazione ed esso viene inculcato anche ai bambini delle scuole primarie con alzabandiera e fanfare militari.

Non viene nemmeno più nascosta l’ambizione dell’industria italiana a primeggiare a livello mondiale nel settore degli armamenti. La premier Meloni in Giappone, in visita per il cambio di direzione al G7, ha posto in evidenza le “meraviglie” prodotte dalla Leonardo spa per il settore armamenti.

La fine della sindrome del Vietnam, la caduta del muro di Berlino e il dissolvimento del Patto di Varsavia, l’implosione dell’Unione Sovietica hanno ridato linfa all’espansionismo militare dell’Occidente capitalista a guida statunitense. Già gli anni Novanta furono segnati da tantissimi fronti di guerra dove statunitensi e potenze capitaliste occidentali hanno giocato un ruolo fondamentale e nefasto. Dalla guerra in Iraq alla caduta di Kabul in mano ai Talebani, dalla dissoluzione della Somalia alla guerra civile in Jugoslavia, fino alle decine di focolai di guerra in Africa, il ruolo dell’Occidente capitalista è stato devastante e creatore di caos, morte e distruzione.

La macchina bellica occidentale si è andata sempre più perfezionando anche con l’allargamento della NATO e l’entrata di Paesi già parte integrante del Patto di Varsavia. La NATO, un tempo costituita come alleanza occidentale antisovietica, è diventata strumento di allargamento e penetrazione politico-militare del capitalismo occidentale. I conflitti in Georgia, le rivoluzioni “arancione”, la guerra del Kossovo hanno delineato il nuovo quadro strategico della NATO. Tutto questo si è accompagnato alla ristrutturazione delle Forze Armate occidentali, con il rafforzamento degli eserciti di professionisti e la ristrutturazione tecnologica degli armamenti. Dopo le primavere arabe, la guerra alla Libia, la guerra alla Siria, l’espandersi del Califfato dell’ISIS, i Paesi occidentali hanno fatto crescere la spesa militare fino a più del 30%. Spesa che è ulteriormente cresciuta dal 2022 dopo l’inizio della guerra Russo/Ucraina.

L’Europa, nata come soggetto di cooperazione economica, si sta man mano trasformando in soggetto di controllo e intervento militare. La Presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen è la prima fautrice del sostegno bellico europeo al regime di Kiev e della contrapposizione europea alla Federazione Russa, sostegno che si è ulteriormente concretizzato con la delibera di altri 50 miliardi di euro per l’esercito ucraino. La stessa Europa è quella che ha mandato una squadra navale, a guida italiana, nel mar Rosso contro il governo di Sanaa, affiancando le squadre navali statunitensi e britanniche che già da settimane sono in guerra contro lo Yemen, divenendo così obiettivo di eventuali ritorsioni yemenite.

L’ordine internazionale è continuamente sfidato, senza che ci sia chiarezza sulle conseguenze. Le sfide continue contro l’Iran degli Ayatollah, i continui raid in Siria, Libano e Iraq, il genocidio in Palestina, la guerra contro lo Yemen, il perdurare del conflitto in Ucraina rendono evidente come le guerre tendono ad allargarsi coinvolgendo Paesi vicini ed estremamente lontani. In tutto il Pianeta assistiamo al continuo fronteggiarsi delle potenze occidentali con nuovi astri nascenti dell’imperialismo capitalista. Dal Sahel a Taiwan, dalle due Coree al Caucaso, da tutto il quadrante medio-orientale al centro Europa è un susseguirsi di attriti, scontri e guerre guerreggiate che presagiscono un futuro di disastri, lutti e carestie.

In Europa sono apparsi inusitati protagonisti sul versante bellico che mettono a repentaglio gli equilibri faticosamente costruiti dal 1945. L’entrata nella NATO di due paesi storicamente neutrali come la Svezia e la Finlandia sta contribuendo alla fortificazione di tutto il settore nordorientale in senso antirusso, dai paesi baltici alla Polonia. L’entrata in campo della Polonia, che ha una forza militare di prim’ordine, non è da considerarsi come evento improbabile. Con o senza appoggio diretto statunitense il rischio di fughe in avanti è più che presente. Lo stesso presidente polacco Tusk ha recentemente dichiarato che la Polonia è in grado di sostenere lo sforzo bellico ucraino nel caso in cui, con la vittoria di Trump il prossimo autunno alle elezioni presidenziali americane, ci potesse essere un allentamento del sostegno statunitense a Kiev.  Ma, nonostante il fallimento della controffensiva di terra ucraina dello scorso autunno, l’escalation è in corso, come si vede con le navi russe colpite nel mar Nero e con il bombardamento di infrastrutture civili e militari nell’entroterra in Russia.

Il dato preoccupante è che in Europa sono le compagini storicamente pacifiste, come quelle socialdemocratiche (per non parlare dei verdi tedeschi) congiuntamente a quelle liberali e centriste, che spingono verso il riarmo e il sostegno al regime di Kiev. In modo cieco e ottuso si sta marciando verso il baratro della guerra, considerata da molti inevitabile. L’opzione di aprire seri negoziati per disinnescare le guerre in corso non viene presa in considerazione. Si pensi che all’ONU l’Italia e i maggiori paesi europei si sono astenuti sulla mozione che chiedeva il cessate il fuoco in Palestina.

In Italia, mentre i maggiori analisti militari attribuiscono alle “nostre” truppe il decimo posto nella classifica fra gli eserciti migliori del Pianeta, il ministro della difesa Crosetto parla chiaramente della creazione di un corpo di riservisti per sostenere un eventuale sforzo bellico generalizzato. Nella logica imperialista e di sopraffazione riemerge il vecchio motto imperiale romano “si vis pacem para bellum”.

Compito inderogabile è fare chiarezza su ciò che sta accadendo e sul serio pericolo che il nostro Paese e l’intero Pianeta stanno correndo. Il baratro non è ineluttabile, può essere evitato.

Unica linea possibile è la mobilitazione pacifista di massa per disinnescare la logica perversa della guerra.

Contro la guerra prepara la pace.