Ci scrive il ricercatore Andrea Pancaldi, esperto di problemi sociali.

“Ieri era la Giornata del ricordo. Una giornata che passa il più delle volte senza lasciare troppe tracce, un po’ perchè pochi giorni dopo quella della Memoria e un po’ perchè sempre soggetta a polemiche ideologiche, sospesa tra “fascisti e comunisti”.
Eppure di morti ammazzati nelle foibe ne furono buttati (col solito valzer dei numeri ..3mila? 5mila? 11mila? 15mila) e da quelle terre 250/300mila persone in maggioranza di lingua italiana, se ne andarono tragicamente, rientrando in Italia ed accolti con ostilità.
Ed è vero che tutto questo ha avuto un contesto che lo ha determinato, oltretutto iniziato ben prima di quei tragici anni.
Ho provato a scriverne, riassumendo i fatti e segnalando anche cose di taglio divulgativo da leggere, oltre a film, documentari e bibliografia. Forse a qualcuno interessa.

Di leggi, Presidenti e cantautori

“Il Giorno del ricordo è una solennità civile nazionale italiana, celebrata il 10 febbraio di ogni anno, che ricorda i massacri delle foibe e l’esodo giuliano dalmata. Istituita con la legge 30 marzo 2004 n. 92, vuole conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale” (art.1, legge 30 marzo 2004 n.92 istitutiva della Giornata del ricordo)

«Questa è l’occasione per ricordare la tragedia delle vittime del fascismo italiano che perseguitò le minoranze e si avventò con le armi contro i vicini croati, e sempre operò contro la libertà e la vita degli stessi italiani. Questa è l’occasione per ricordare le vittime italiane della folle vendetta delle autorità postbelliche dell’ex Jugoslavia. Gli atroci crimini commessi non hanno giustificazione alcuna. Essi non potranno ripetersi nell’Europa unita, mai più. Condanniamo ancora una volta le ideologie totalitarie che hanno soppresso crudelmente la libertà e conculcato il diritto dell’individuo di essere diverso, per nascita o per scelta.» (Dichiarazione congiunta del Presidente della Repubblica Italiana e dal Presidente della Repubblica di Croazia pronunciata il 3 settembre 2011 durante il loro incontro a Pola)

“E’ una cosa come un monumento/ e il ricordo assieme agli anni è spento/ non ce n’è mai stati/solo in quel momento/ l’uomo in fondo è buono/meno il nazi infame!” (Cos’è un Lager, F.Guccini, 1981)

Il paradosso del confine che divide e unisce al tempo stesso

Detto, anzi citato, quanto sopra, almeno qui cerchiamo di evitare le ricorrenti polemiche in materia, e lasciamo la parola alle vicende storiche che vedono in estremissima sintesi (di cui chiedo anticipatamente venia se ci fossero involontarie erronee semplificazioni):

– nel corso dei 30 anni che separano l’inizio della prima guerra mondiale dalla fine della seconda i territori del cosiddetto “confine orientale” e zone limitrofe passarono attraverso la giurisdizione di ben tre Stati diversi. Prima l’impero austro-ungarico, poi il Regno d’Italia e infine la Repubblica Jugoslava, anche se con elementi di diversità tra le varie zone (Trieste, Istria, città di Fiume, Dalmazia)

– durante la seconda guerra mondiale furono compiuti crimini sull’uno e sull’altro versante: eserciti invasori nazista tedesco e fascista italiano da una parte ed esercito e partigiani jugoslavi dall’altra.
L’introduzione al sito sotto citato dedicato alla invasione italiana della Jugoslavia nel 1941, curato da IRSREC Friuli e Istituto naz. Parri, con il Patrocinio della Camera dei Deputati, inquadra bene i contorni della vicenda. “Il 6 aprile del 1941 le truppe tedesche, seguite a ruota da quelle italiane e ungheresi, invasero la Jugoslavia. Il regno dei Karađórđević venne distrutto, il suo territorio spartito fra i vincitori. Seguirono anni terribili.
Diciamolo subito: la responsabilità prima dell’inferno in cui precipitò il Paese spetta a chi lo attaccò e scatenò una guerra di tutti contro tutti.
Poi fu il caos: guerra di liberazione contro gli occupatori; guerra civile fra ustašcia croati, četnizi serbi, domobranzi sloveni, partigiani comunisti; guerra rivoluzionaria per la creazione di uno stato socialista, feroci repressioni antipartigiane; sterminio degli ebrei, tentativi genocidari ai danni di popolazioni dell’etnia sbagliata.
Davvero, nel museo degli orrori non mancò proprio nulla. Di quel vortice di violenza, le truppe italiane di stanza nei territori annessi o occupati, non furono semplici spettatrici, ma protagoniste. Si tratta di una delle pagine più buie della nostra storia nazionale, con pochissimi lampi di luce. Per questo è poco conosciuta e si è preferito dimenticarla”

– alla fine della guerra, sullo sfondo del sorgere della divaricazione tra blocco occidentale (a cui furono “recuperate” Italia e Germania) e blocco orientale (di cui per un certo periodo fece parte la Jugoslavia, poi divenuto un cosiddetto “paese non allineato”), ci fu, salvo il caso della Germania nazista e la Shoah, uno strutturarsi di una sostanziale politica di insabbiamento dei crimini di guerra (quelli tedeschi in Italia, quelli italiani nei Balcani e in Africa, ma anche alcuni commessi dagli Alleati in Italia, come in Sicilia o nel Lazio) che investì anche quanto accaduto sul fronte orientale.

– in questo complessissimo panorama si collocano i crimini commessi nelle foibe dai partigiani jugoslavi, i crimini commessi in precedenza dell’esercito invasore fascista italiano nella repressione partigiana e contro le popolazioni civili e relative deportazioni in campi di concentramento dove molti perirono di stenti e malattie.
Ancora vanno ricordati sul finire della guerra gli scontri interni al movimento partigiano italiano tra l’ala comunista e l’ala cattolica, sul futuro di quelle terre e dell’Italia più complessivamente, che portarono alla strage di Porzus.
Infine gli scontri anche militari, interni alla Jugoslavia tra le fazioni serbe, croate e slovene nazionaliste e/o monarchiche e i partigiani titini fautori di una repubblica socialista.

– dentro e oltre questo, il drammatico esodo di circa 250mila persone, in maggioranza di lingua italiana, che scelsero di non restare nei territori passati sotto la giurisdizione jugoslava e che non vennero certo accolti molto bene al loro arrivo in Italia, accusati sostanzialmente “di essere tutti fascisti”.
L’esodo avvenne soprattutto negli anni immediatamente successivi la fine della guerra ma durò fino al 1956 (si pensi che il Trattato di Osimo, che sancì definitivamente i confini tra Italia e Jugoslavia, fissati con altri trattati post bellici, risale al 1975).

Per leggere l’intera ricerca ( anche con molti link a film) :
https://unacertaideadi.altervista.org/2024/02/la-giornata-del-ricordo-una-questione-di-confini-nella-giornata-dedicata-a-tragedie-sui-confini-ma-qui-non-ce-il-nazi-i