1. Dopo il prolungamento a diciotto mesi del trattenimento nei centri per i rimpatri (CPR), previsto dal Decreto legge 124 del 2023, con i termini di convalida prolungati a tre mesi, ed anche a seguito della valanga di dinieghi conseguenza della nuova disciplina delle procedure accelerate in frontiera per richiedenti asilo provenienti da “paesi terzi sicuri”, introdotta dal Decreto “Cutro”, 10 marzo 2023, n. 20, convertito, con modificazioni, nella legge 5 maggio 2023, n. 50, sono aumentati i casi di violenze ed abusi all’interno dei centri, sui quali, ancora una volta, sono in corso indagini da parte della magistratura.

Non sappiamo quale esito avranno queste attività di indagine da parte di diverse procure italiane, ma già in passato l’intervento del giudice penale, come l’attività delle Commissioni parlamentari di inchiesta, e del Garante per le persone private della libertà personale, dal 2017 al dicembre del 2023, non avevano impedito che, nei centri di detenzione amministrativa, e nelle strutture Hotspot utilizzate come centri “chiusi”, con la totale privazione della libertà personale degli “ospiti”, le prassi violente, al limite della tortura, e le procedure illegittime, proseguissero da un anno all’altro, anche quando veniva a cambiare l’ente gestore convenzionato con la prefettura. Nel frattempo non è stata aperta nessuna delle nuove strutture detentive , addirittura dodici, che prometteva il governo Meloni fin dal suo insediamento, e malgrado l’intesa attività diplomatica rivolta ai paesi di origine, per semplificare le procedure di rimpatrio, il numero delle persone che sono state effettivamente rimpatriate è ulteriormente diminuito rispetto agli anni precedenti, senza tenere conto del biennio 2020-2021 fortemente influenzato dal blocco dei rimpatri conseguenza della pandemia da Covid 19.

Nel 2022 su 500.000 migranti in condizione di soggiorno irregolare in Italia, e 36.770 provvedimenti di espulsione, solamente l’11,7% di queste persone (4.304) è stato effettivamente rimpatriato (Fonte dossier statistico IDOS 2023). Nel corso del 2022 il sistema dei C.P.R. (centri per il rimpatrio) ha garantito l’espulsione coattiva di 3.154 stranieri su un numero di 6.383 persone che erano state ristrette in queste strutture (dati forniti da Mauro Palma, già Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale nella sua settima relazione al Parlamento, giugno 23). Nei primi otto mesi del 2023 l’Italia ha rimpatriato con accompagnamento forzato 2.770 persone. a fronte delle 3.200 persone circa rimpatriate con la stessa modalità in tutto il 2022. Praticamente come nel biennio 2018-2019, quando al Viminale c’era Salvini e il dato aveva superato leggermente i 3.400.  Secondo altri dati forniti dal Ministero dell’interno, al 31 agosto 2023,, in Tunisia venivano rimpatriate 1441 persone, mentre nel 2022 erano state 2308; in Albania 362 persone contro le 518 del 2022 e in’Egitto, 212 persone contro le 329 di tutto il 2022. Dati sostanzialmente stabili, tenendo conto che nei primi mesi del 2022 si scontavano ancora gli effetti della maggiore chiusura delle frontiere, e delle misure emergenziali conseguenza della pandemia da Covid 19. Dati quindi che non si discostano da quelli registrati nel decennio 2011-2021, nel quale la percentuale dei provvedimenti di espulsione o di respingimento delle persone trattenute nei centri di detenzione effettivamente eseguiti non supera mai il 50%, con punte più alte soltanto per i cittadini tunisini ed egiziani. Secondo dati raccolti dal Naga di Milano e dalla Rete NO CPR, negli ultimi cinque anni, quattordici persone hanno perso la vita dentro un Centro di detenzione amministrativa. Tra le persone trattenute nei CPR negli ultimi anni diventa sempre più alta la quota di richiedenti asilo, in attesa di una decisione o dopo un diniego che hanno impugnato,

 

2.  L’elenco delle proteste e degli abusi commessi nei centri di detenzione italiani si allunga di giorno in giorno, per non parlare dei centri di detenzione informali, come il centro Hotspot di Contrada Imbriacola a Lampedusa, sul quale continuano a piovere condanne da parte della Corte europea dei diritti dell’Uomo per le condizioni indegne nelle quali vengono tenute, in assenza di provvedimenti di convalida, persone appena sbarcate e solo per questa ragione private della libertà personale.

Nel CPR di via Corelli a Milano gli abusi e l’ostruzionismo per bloccare le attività ispettive delle associazioni proseguono anche dopo il sequestro ed il commissariamento del centro, avvenuti lo scorso dicembre. Nella notte di sabato 10 febbraio, alcuni migranti ospiti del Cpr di via Corelli a Milano si sono sdraiati per terra, sotto la pioggia e con solo gli slip indosso, per protestare contro le condizioni del Centro di permanenza per i rimpatri, commissariato lo scorso dicembre. A tali proteste, la Guardia di Finanza ha risposto – come si vede dai video pubblicati in rete dalla rete Mai più Lager – No ai CPR – a colpi di manganello.

Il CPR di via Brunelleschi a Torino è stato chiuso nel mese di marzo dello scorso anno, dopo una serie di proteste degli “ospiti” che avevano danneggiato la struttura, e ancora oggi non sembra ritornato pienamente operativo. Il CPR di Gradisca (Gorizia) continua a essere segnalato per una serie interminabile di proteste, e di duri interventi repressivi, in un clima di crescente tensione perché vi vengono trasferiti migranti provenienti da altre strutture chiuse a seguito di proteste, come è successo all’inizio di febbraio, nel caso di un tunisino trasferito dal CIE di Trapani Milo dopo la rivolta del 22 gennaio scorso, che dopo essere stato rinchiuso nel centro di Gradisca è salito sul tetto per protesta, cadendo successivamente e ferendosi gravemente. Ma nel centro le proteste sono continue anche per la mancanza di riscaldamento e per le condizioni della struttura.

Una situazione insostenibile è segnalata anche dal sindacato di polizia SILP-CGIL nel centro di detenzione di Bari, mentre rimane ancora operativo il CPR di Palazzo San Gervasio in Basilicata, il CPR di cui nessuno parla, creato come centro di accoglienza nel 2011, dopo l’emergenza Nord-africa, e poi trasformato in centro di detenzione. Sul CPR di Palazzo San Gervasio (Potenza) è in corso una indagine della Procura che ha disposto l’arresto di un ispettore di polizia, messo ai domiciliari, indagato per maltrattamenti, mentre sono emersi casi di possibile concussione per la nomina “pilotata” degli avvocati di fiducia davanti al giudice della convalida. Anche in questo centro si sono sperimentate le procedure accelerate in frontiera per richiedenti asilo provenienti da paesi terzi sicuri, ed anche in questi casi alcuni richiedenti sono stati rimessi in libertà per la mancata convalida dei provvedimenti di trattenimento, come si è verificato a Catania, con riguardo ai casi decisi dai giudici Apostolico e Cupri.

Le tendenze della detenzione amministrativa in Italia confermano una sovrapposizione dei centri per richiedenti asilo (CPA o Hotspot) con i centri di permanenza per il rimpatrio (CPR), anche perchè nei confronti di coloro che provengono da paesi terzi ritenuti sicuri, le prospettive di accoglimento delle domande di protezione sono minime. Mentre è altamente probabile il provvedimento di espulsione successivo al diniego e il conseguente decreto di trattenimento adottato dal questore, spesso in vista di un rimpatrio che- tutti sanno- non potrà mai verificarsi. Una situazione che alimenta uno stato di crescente disperazione nelle persone che ne sono vittima. Perchè ormai nei CPR sono di più le persone che si vedono negata una istanza di protezione, che le persone provenienti dal circuito carcerario.

Il Garante dei detenuti per la regione Sardegna, negli scorsi giorni, ha elencato una lunga serie di criticità relative al CPR di Macomer, in una lettera che ha rivolto al Presidente del Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa. Le condizioni di trattenimento disumano all’interno dei CPR si verificano ormai in tutta Italia e in tutti i centri di detenzione amministrativa è diffusa la somministrazione di psicofarmaci.

In Sicilia, malgrado sia stato parzialmente distrutto dopo la protesta del 22 gennaio scorso, nel centro di detenzione “polifuzionale” (CPR ed Hotspot) di Milo, alla periferia di Trapani, da anni luogo di trattamenti disumani, rimangono ancora migranti e richiedenti asilo in stato di trattenimento. Il 7 febbraio scorso la Corte europea dei diritti dell’Uomo ha ordinato il trasferimento, verso un’altra struttura, di una persona che era riuscita a rivolgersi ai giudici di Strasburgo, che hanno espressamente intimato al governo italiano “la modifica delle condizioni di accoglienza”. Una indicazione che dovrebbe valere per tutti i centri di detenzione amministrativa in Italia.

Nel CPR di Pian del Lago a Caltanissetta, dove dal 1998 al 2020 si sono verificati diversi decessi, numerosi migranti sono stati costretti a dormire all’addiaccio, in condizioni di grave fatiscenza di una struttura che da anni è segnalata come un luogo caratterizzato da un persistente degrado ambientale e da una mancanza cronica di assistenza sanitaria, che cancellano la dignità degli ospiti trattenuti nella struttura.

Abbiamo lasciato per ultimo in questo elenco di indegnità il CPR di Ponte Galeria a Roma, dove il 4 febbraio scorso Ousmane Sylla si è suicidato, dopo essere stato trasferito dal CPR di Trapani Milo, dove era stata accertata la sua inidoneità a permanere in una struttura detentiva. Ousmane avrebbe voluto tornare a casa, alla sua famiglia, come ha scritto in un messaggio tracciato sul muro della sua ultima cella, ma il governo italiano non è stato neppure capace di garantirgli un rimpatrio volonario, mentre con la Guinea non sono operativi accordi di riammissione. Ragione ulteriore che avrebbe dovuto impedire il suo trattenimento in un centro di detenzione. L’Italia non è stata capace di impedire che si togliesse la vita per la disperazione.

3. Infine, vogliamo ricordare la sentenza dell’11 giugno 2008 n. 2976 del Tribunale civile di Palermo che ha riconosciuto la responsabilità dello stato per i danni morali e patrimoniali subiti da due immigrati sopravvissuti al rogo verificatosi al Vulpitta quasi nove anni prima, il 29 dicembre 1999. Secondo il Tribunale di Palermo, l’Amministrazione dell’interno “con l’internamento degli extracomunitari nei centri di permanenza temporanea assume l’obbligo giuridico di tutelare l’incolumità degli internati”. Quindi il Tribunale individuava “la sussistenza del delitto di lesioni colpose”, sia per la mancanza del sistema antincendio che per i ritardi nell’intervento degli agenti, giungendo ad ipotizzare “l’omessa vigilanza da parte degli agenti in servizio” e conseguentemente stabiliva il diritto al risarcimento da parte del ministero dell’interno ” di cui la prefettura è organo periferico”, in favore dei due superstiti del rogo, sia per il danno biologico e morale che per i danni derivanti dalle conseguenti invalidità. Per ciascuno dei superstiti veniva stabilito a titolo di provvisionale un risarcimento danni complessivo per oltre 110.000 euro. Sarebbe tempo, ancora oggi, che queste azioni risarcitorie si estendessero a tutti i casi di abusi psico-fisici subiti dai migranti trattenuti nei centri di detenzione amministrativa, anche perchè le conseguenti responsabilità contabili, più che il timore di una possibile sanzione penale, potrebbero funzionare come deterrente per contrastare violenze che ormai possono definirsi “di sistema”.

Queste azioni civili potrebbero essere esperite anche dai parenti delle vittime, e dai paesi di origine, tramite un mandato ad un avvocato abilitato davanti ai Tribunali italiani. L’onere della prova in capo ai ricorrenti potrebbe essere supportato dalla documentazione raccolta, oltre che dagli avvocati, da parlamentari e dalle associazioni indipendenti durante le visite e gli accessi ispettivi che devono riprendere con cadenza continuativa.

Può essere fonte di risarcimento dei danni anche il trattenimento in un centro di detenzione amministrativa senza titolo, o per un periodo eccedente i termini di convalida dell’autorità giudiziaria.

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