Nonostante i mezzi di informazione mainstream e il potere cerchino in ogni modo di raccontarci una città conciliata e felice, piena di turisti e abitanti stressati per la caccia agli ultimi regali natalizi, a Milano si rincorrono proteste, scioperi, conflitti.

Domenica 17 dicembre è sceso per le strade anche il neonato movimento cittadino “Chiediamo casa”, una campagna promossa da realtà diverse – comitati, gruppi, sindacati inquilini – riunite da un semplice comune denominare: dire basta alle politiche pubbliche che sostengono rendita e speculazione immobiliare e chiedere al contrario concrete politiche di welfare abitativo. Le iniziative si sono svolte in vari luoghi della città: in piazzale Loreto, dove a breve verrà calato dall’alto il progetto LOC2026, all’Isola, per denunciare la diffusione selvaggia degli affitti brevi, allo Scalo di Porta Romana e presso lo stabile ALER di via Porpora.

Foto di Maria Finzi

Foto di Giacomo Manfredi

Alle 11 chi scrive era davanti agli stabili comunali di via Jacopino di Tradate, angolo via Bramante, due grandi edifici lasciati nella completa incuria manutentiva, con decine e decine di alloggi vuoti. Palazzi senza pulizie, con le porte di ingresso delle scale rotte, luoghi abbandonati. Il Comune vorrebbe svuotarli dalle poche famiglie ancora presenti per poi venderli o farci altro. All’iniziativa sono intervenuti abitanti degli stabili e del quartiere, militanti di associazioni e gruppi di zona, che hanno preso la parola. Mattia Gatti, segretario del Sicet, introducendo, ha spiegato le finalità dell’iniziativa e la necessità che si costruisca un movimento forte per il diritto alla casa e a una città davvero inclusiva, a partire dalle componenti più povere. Ha poi preso la parola Cristina Arcidiacono, pastora della Chiesa Battista, che da vent’anni ha sede nello stabile, invitando tutti a farci comunità e a non lasciare che le famiglie vengano spostate e le case lasciate vuote per un progetto di recupero futuro di cui “in basso” nessuno è stato informato o coinvolto. È intervenuta poi Luisa, giovane mamma di tre ragazzi, sfrattata venerdì mattina dalla casa in cui viveva in zona Gambara, le cui parole, spezzate dal magone e dalla rabbia, hanno toccato il cuore dei partecipanti. A causa del covid il marito, pizzaiolo, è rimasto senza lavoro e non sono più riusciti a pagare l’affitto. Il Comune ha riconosciuto l’incolpevolezza della morosità, e, dopo 8 mesi di lunghissima attesa, ha accolto la domanda di casa temporanea in emergenza. Ma la casa non c’è, il Comune dice di non averne disponibili, nonostante siano più di 10.000 le case sfitte in città. Solo il 3% delle 20.000 richieste di assegnazione di una casa popolare, che ogni anno vengono presentate, trovano risposta e quella di Luisa non è tra queste.

Le case vengono lasciate vuote, inserite nei piani di valorizzazioni, vendute, utilizzate per gestire gli imponenti piani di cosiddetta riqualificazione, che richiedono lo spostamento di centinaia di famiglie, come sta accadendo per esempio in Giambellino. Luisa, presente al presidio, attiva nel Sicet, ci ha ricordato che non bisogna arrendersi, che nessuno deve essere costretto a vivere il dramma dello sfratto, che ha gravissime conseguenze anche e soprattutto sui minori, perché ogni persona ha diritto a una casa ed è compito delle istituzioni pubbliche garantire a tutti questo diritto primario. Luisa e suo marito lavorano, hanno provato ad affittare un’altra casa sul mercato, ma i costi sono sproporzionati. La ricchezza della città è concentrata nelle mani di pochi (il 40%della ricchezza prodotta è in mano all’8% della popolazione). Da che parte intendono stare il Comune e le istituzioni pubbliche ?