“Restiamo umani” era l’auspicio con cui Vittorio Arrigoni concludeva ogni aggiornamento da Gaza, stretta nella morsa dell’operazione Piombo Fuso. Era il 2009. Oggi, 14 anni dopo, il dramma di quei giorni è stato tragicamente surclassato. Appare quindi quanto mai necessario ispirarci all’esempio del giornalista e attivista che proprio a Gaza venne ucciso. Proviamo a farlo attraverso le parole di sua madre, Egidia Beretta, che instancabilmente porta in giro per l’Italia il messaggio di pace e di speranza di Vittorio.

Ricordo ancora i funerali di Vittorio Arrigoni, nell’aprile del 2011. Attivista pacifista, militante acceso, schierato a favore del popolo palestinese, le sue esequie si sono svolte alla presenza di migliaia di persone, numerose autorità e movimenti attivi per la pace e per la resistenza nonviolenta. L’uccisione di Vittorio Arrigoni a Gaza seguì l’assassinio del pacifista pro palestinese Juliano Mer Khamis in Cisgiordania. Tutto il mondo condannò entrambi i delitti. Tutti rimanemmo toccati dal dolore della perdita di Vittorio, nel ricordo della sua voce profonda e piena di sorriso e di umorismo.

Dire la verità nell’epoca dell’inganno e della menzogna è un atto rivoluzionario. È certo difficile non avvertire qualcosa di minuziosamente atroce, di perversamente studiato e abissalmente malvagio nell’omicidio di questo giovane attivista. Tutti ci chiediamo chi sia stato il carnefice. Non abbiamo ancora la risposta che solo il corso della storia potrà rivelare al mondo.

L’appello di Vittorio Arrigoni – “Restiamo umani” – non deve scadere nella retorica vacua e ripetitiva dello slogan. È il motto di un impegno a riconoscere e soccorrere gli ultimi da tutti i mali e tutte le ingiustizie sociali. Arrigoni è protagonista di un concreto, collettivo, universale attivismo, un ideale per la pace che riscatterà l’umanità intera, nel rivendicare vita, dignità e diritti, nel significato ultimo del comandamento biblico “tu non uccidere”, perché solo la Nonviolenza può salvare il mondo.

«Questo figlio perduto, ma vivo come forse non lo è stato mai, che, come il seme che nella terra marcisce e muore, darà frutti rigogliosi. Eravamo lontani con Vittorio, ma più che mai vicini. Come ora, con la sua presenza viva che ingigantisce di ora in ora, come un vento che da Gaza, dal suo amato Mediterraneo, soffiando impetuoso ci consegni le sue speranze e il suo amore per i senza voce, per i deboli, per gli oppressi, passandoci il testimone», mi ha detto Egidia Beretta, mamma di Vittorio, quando l’ho intervistata.

Bellissime riflessioni: quando le hai scritte?

Scrissi di getto queste parole all’indomani del funerale di Vittorio e oggi, nove anni dopo, so che questo seme è fiorito e ha fruttificato. Quel testimone continua ad andare, passando di mano in mano, di cuore in cuore, come un fiume inarrestabile. Vittorio è la sorgente; io solo la portatrice d’acqua che la alimenta.

Oltre le mie parole, voglio si veda e si ascolti Vittorio, l’esuberanza, la passione che lo muove, gli affanni, la gioia, la sofferenza, le denunce, la testimonianza diretta di quel che ha vissuto in Palestina, in Gaza.

La perdita e la memoria del figlio amato hanno inciso profondamente nella tua esistenza.

Questo è diventata la mia vita. Per questo viaggio instancabilmente da anni e racconto a chi ha orecchie per ascoltare e cuore per accogliere la sua, di vita, i sogni e le utopie. Tutto questo deve essere un percorso doloroso, ma che comporta gesti d’amore. Non è mai facile. Prima di ogni incontro, ho bisogno di silenzio e di meditazione. E, alla fine, mi sento svuotata, aliena alla realtà che mi circonda. 

Il gesto d’amore che mi ha spinto a scrivere Il viaggio di Vittorio si ripete quando, partendo da quelle pagine, vado a dispiegare il filo della sua esistenza, dall’infanzia, alla giovinezza, all’età adulta, variegato e multiforme, ma sempre teso alla ricerca del senso del proprio vivere, fino alla raggiunta consapevolezza che solo la ricerca e la lotta per la giustizia, per la pace, sempre dalla parte degli oppressi, dei dimenticati, potevano dare significato al suo essere al mondo.

Quali argomenti tratti nel tuo libro Il viaggio di Vittorio?

Narro del bambino che scrive di San Francesco e Martin Luther King, del ragazzo che stima Falcone e Borsellino, della grande passione per la musica, la lettura e la scrittura, dei primi viaggi di volontariato a soccorrere e conoscere genti e luoghi al di fuori, finalmente, dai confini “recinti spinati”, consapevole che, attraversandoli, mettendosi alla prova, scorgerà la meta. Mostro i suoi video e li riguardo anche io con la trepidazione della prima volta e colgo, attraverso gli occhi di chi guarda e ascolta, la mia stessa empatia ed emozione.

Vittorio ha sempre denunciato in forma nonviolenta tutte le ingiustizie e atrocità che accadono a Gaza.

Oltre le mie parole, voglio si veda e si ascolti Vittorio, l’esuberanza, la passione che lo muove, gli affanni, la gioia, la sofferenza, le denunce, la testimonianza diretta di quel che ha vissuto in Palestina, in Gaza. È qui che il mio racconto si conclude, dove si è concluso il suo viaggio. Nella terra che lo ha accolto come figlio e fratello, là dove la tormentata ricerca del perché esistere ha infine trovato ragione. Leggo i suoi scritti, che ci immergono in realtà altrimenti sconosciute. E adempio così un preciso dovere che, sento, Vittorio mi ha affidato. Non dimenticare mai la Palestina, raccontare, attraverso i suoi anni in Cisgiordania e in Gaza. Questo popolo, oppresso, ma coraggioso, resistente, generoso.