Il movimento Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS) è la risposta pacifica contro la politica di apartheid e l’occupazione israeliana, nata nel 2005 su iniziativa di 170 gruppi della società civile palestinese che comprendeva sindacati palestinesi, reti di rifugiati, organizzazioni femminili, associazioni professionali e comitati di resistenza popolare. Prende ispirazione dal movimento anti-apartheid sudafricano e attraverso una lotta non-violenta che vuole colpire l’economia del colonizzatore si prefigge tre obiettivi principali:

  • Porre termine all’occupazione e alla colonizzazione di tutte le terre arabe e smantellare il Muro
  • Riconoscere i diritti fondamentali dei palestinesi cittadini di Israele per una piena uguaglianza
  • Rispettare, proteggere e promuovere i diritti dei profughi palestinesi al ritorno nelle loro case e nelle loro proprietà

Per Israele il BDS è una spina nel fianco non da poco, tanto che nel 2015 è stato dichiarato “minaccia strategica” e il co-fondatore del movimento, Omar Barghouty, è stato minacciato da funzionari israeliani subendo in aggiunta la revoca della residenza permanente in Israele e vedendo negato il proprio diritto a spostarsi liberamente. Nel 2017 è stato vietato dalle autorità israeliane l’ingresso in Israele e nei Territori palestinesi occupati a chiunque sostenga o lavori per il boicottaggio.

Anche in Europa non sono mancati tentativi di criminalizzare il movimento e nonostante il BDS rifiuti l’antisemitismo, il razzismo, l’islamofobia e ogni ideologia fondata su presunte supremazie etniche o razziali, sono state mosse accuse di antisemitismo. Due casi importanti riguardano la Germania e la Francia che hanno condannato gli attivisti che sostenevano pubblicamente le attività del BDS e che promuovevano il boicottaggio. Tuttavia, nel 2020 la Corte europea dei diritti dell’uomo ha stabilito con una sentenza che la condanna di 11 attivisti francesi che avevano organizzato iniziative per promuovere il boicottaggio di prodotti israeliani è una violazione del diritto alla libertà d’espressione e che le azioni degli attivisti rientrano nell’ambito dell’espressione politica e sono parte di un dibattito di interesse generale.

Dal 7 ottobre, a seguito dell’assedio totale su Gaza, trasformata in un “cimitero per migliaia di bambini”come riporta Unicef, le campagne di boicottaggio e disinvestimento sono sentite più urgenti che mai e il BDS ha stilato una lista di prodotti e aziende da boicottare che svolgono un ruolo attivo nel supportare Israele e le gravissime violazioni dei diritti dei palestinesi.
La strategia adottata dal BDS riguarda il boicottaggio mirato che ha il fine di rendere non più sostenibile economicamente il genocidio in corso e contribuire a fermarlo. Di seguito, alcuni tra i prodotti e i marchi a cui viene data una massima priorità nella campagna di boicottaggio (per la lista completa si rimanda al sito bdsmovement.net):

  • McDonald’s, Burger King, Papa John’s e Pizza Hut hanno pubblicamente sostenuto Israele e/o fornito generose donazioni all’esercito israeliano durante le attuali operazioni sulla Striscia di Gaza. In Israele McDonald ha provveduto a offrire oltre 100.000 pasti gratis ai soldati e alle forze di sicurezza israeliane.
  • Carrefour è accusata di aver realizzato e donato migliaia di pacchi personalizzati all’esercito israeliano. Nel 2022 ha stretto una partnership con le aziende Electra Consumer Products e Yenot Bitan, entrambe responsabili di gravi violazioni dei diritti del popolo palestinese.
  • Puma sponsorizza la Federcalcio israeliana (IFA), che gestisce e promuove le squadre delle colonie illegali israeliane nei Territori palestinesi occupati.
  • HP (Hewlett Packard Inc) fornisce servizi e tecnologie al governo israeliano, tra cui il sistema di controllo biometrico installato ai posti di controllo militari israeliani in Cisgiordania e a Gaza per controllare gli spostamenti dei palestinesi
  • Siemens sta contribuendo al progetto dell’Interconnettore EuroAsia che prevede di collegare la rete elettrica degli insediamenti illegali israeliani nei Territori palestinesi occupati con quella europea.
  • Ahava ha il sito di produzione dei suoi cosmetici e lo store principale in un insediamento israeliano illegale
  • SodaStream è attivamente complice della politica israeliana di sfollamento nei confronti dei cittadini beduini-palestinesi indigeni di Israele nel Naqab (Negev) e ha alle spalle una lunga storia di discriminazione contro i lavoratori palestinesi

Il web e i social sono importanti alleati per la campagna di boicottaggio, terreni dove gli utenti trasformano il proprio senso di impotenza di fronte a un massacro di civili palestinesi (il 40% sono bambini), che va avanti da più di un mese, in azioni concrete di supporto e sensibilizzazione che hanno un impatto tale da travalicare confini, differenze culturali e barriere linguistiche.

«Possiamo mettere da parte i nostri lussi giornalieri per non supportare un genocidio – dice la content creator Ariana Jasmine Afshar in un suo video diventato virale – Mentre il nostro drink da Starbucks – (altro marchio accusato di supportare Israele) – può essere sostituito, la gente di Gaza, in particolare i bambini di Gaza, non hanno scelta, sono costretti a subire tutto questo».

La Freccia di Robin per Fuori Binario

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