Avevo intervistato l’Ambasciatrice palestinese in Italia Abeer Odeh due anni fa. Riflettevamo in riferimento alla decisione della Corte Penale Internazionale di dichiararsi competente per indagare sui crimini di guerra di Israele nei confronti dei palestinesi. La situazione è degradata drammaticamente, come sappiamo, e siamo qui ancora a dare voce a chi non ha spazio nell’informazione di questo Paese.

Con l’Ambasciatrice oggi riflettiamo su come stanno anche cambiando i rapporti di forza a livello internazionale, ora che gli Accordi di Abramo hanno perso vigore e sono perlomeno rimandati a data da definirsi. Sì, perché queste ultime settimane stanno cambiando tutto e anche ridestando la platea mondiale e unendo il mondo arabo intorno al dilaniato popolo palestinese. In questa intervista inoltre, diamo all’Ambasciatrice la possibilità di rispondere all’ambasciatore israeliano in Italia, che ha pubblicamente confessato: “Noi in Israele, almeno la popolazione, non siamo interessati a discorsi razionali… Per noi c’è un solo scopo: distruggere Gaza, distruggere questo male assoluto”.

L’INTERVISTA

Cosa sta passando in questo momento la popolazione a Gaza? Penso in particolare ai bambini.

La popolazione di Gaza è vittima di una pulizia etnica e di un genocidio che Israele compie davanti agli occhi del mondo intero. Le vittime innocenti uccise dalle aggressioni israeliane mentre scriviamo sono già più di 8.805. Di queste, più di 3.600 erano bambini. Molti altri – e parliamo di migliaia – sono ancora sotto le macerie. I feriti sono più di 22.240, di cui alcune migliaia gravi. Non c’è modo di sfuggire alla morte a Gaza in questi giorni. Anche coloro che si sono diretti verso sud, costretti dall’illegale trasferimento forzato imposto da Israele, sono stati uccisi nel tentativo di cercare rifugio. A Gaza stiamo vivendo un incubo che la comunità internazionale non sembra interessata a interrompere salvandoci da una catastrofe totale.

Che senso ha togliere acqua, cibo e medicine, oltre che l’elettricità ai civili? Staccare la corrente addirittura ai degenti negli ospedali e ai neonati nelle incubatrici?

Lo scopo di Israele è sbarazzarsi della popolazione palestinese di Gaza. Quando dicono di voler distruggere Gaza lo pensano davvero e lo fanno, attraverso la pulizia etnica e il genocidio.

Come si arriva al 7 di ottobre? Cosa c’è stato prima?

Se qualcuno dovesse pensare che le cose prima di sabato 7 ottobre andassero bene si sbaglierebbe di grosso. Le cose andavano malissimo – e la “causa palestinese” è rimasta irrisolta – da almeno 75 anni: perché nel 1948 è nato lo Stato di Israele al prezzo della distruzione di 531 villaggi palestinesi, dell’uccisione di 15.000 loro abitanti nel corso di vari massacri e dell’esodo di 800.000 profughi, senza che al nostro popolo sia mai stato riconosciuto uno Stato palestinese e perché viviamo sotto occupazione dal 1967, nonostante centinaia di risoluzioni delle Nazioni Unite ne chiedano la fine.

Occupazione significa condizioni di vita miserabili dettate dallo strangolamento della nostra economia, come ha recentemente ricordato il Segretario Generale delle Nazioni Unite Guterres. Significa la demolizione da parte delle forze israeliane delle nostre case, scuole, cliniche, negozi, strade, stalle e capanni, reti idriche e igienico-sanitarie; significa detenzioni arbitrarie di bambini, condizioni insopportabili dei prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane, uccisioni ingiustificate dettate da una giustizia sommaria e da punizioni collettive che equivalgono a crimini di guerra e significa l’impossibilità di avere un nostro Stato.

Abbiamo costantemente avvertito dell’imminente scoppio di una guerra. Abbiamo espresso preoccupazione per la necessità di fare pressione su Israele affinché interrompa le sue violazioni e le aggressioni contro i palestinesi. Abbiamo detto che la nostra gente non poteva più sopportare tutto questo.

Quali sono gli obiettivi che Hamas si è dato in questa controffensiva?

Non posso parlare a nome di Hamas, ma posso dire che se non fossimo sotto occupazione non ci sarebbe bisogno di controffensive. La leadership palestinese ha sempre aderito allo stato di diritto, sperando in un sostegno pacifico a livello internazionale per realizzare il nostro legittimo diritto all’autodeterminazione. Questo sostegno non è mai arrivato e il nostro popolo lo ha visto molto chiaramente. Non possiamo sorprenderci che a questo punto altri possano optare per altri mezzi di resistenza.

Il governo israeliano dice di voler sradicare Hamas, ma un’operazione così sanguinosa e brutale contro civili e bambini non porterà, in prospettiva, a decuplicare la forza di Hamas in Palestina e nel mondo?

Il governo israeliano è ipocrita: se davvero avesse voluto la pace, avrebbe dovuto rispettare gli accordi presi con l’Autorità Palestinese e con l’OLP, rispettando il diritto internazionale e ponendo fine all’occupazione. La verità, emersa chiaramente in questi giorni, è che Israele persegue la pulizia etnica della Striscia di Gaza e la distruzione di tutte le sue infrastrutture, coerentemente con l’assoluta negazione di uno Stato palestinese.

La creazione di un unico Stato palestinese sembrava essere ancora lontana fino al 7 di ottobre. Ora è diventata priorità nelle agende dei governi occidentali. Quello che sta accadendo sta portando alla ribalta la questione palestinese. Come ne escono il governo Netanyahu e il sionismo?

Lo slogan “Due Stati per due Popoli” è sempre stato sulla bocca dei governi occidentali, non nelle loro agende. Neanche oggi sembra esserci, purtroppo, se guardiamo alle azioni concrete in questo senso. Il nostro popolo sta pagando un prezzo altissimo in termini di vite umane, sogni interrotti, speranze infrante. Al momento vediamo solo la tragedia e non vediamo nessuno pronto a fermarla.

Parliamo dei vostri rapporti con il resto del mondo arabo. Come stanno cambiando i rapporti di forza?

Il mondo arabo ha ribadito l’importanza della causa palestinese e la necessità di risolvere una questione che per troppo tempo è stata rimossa dall’agenda internazionale, con conseguenze inevitabili. Le strade dei Paesi nostri vicini sono piene di persone che dimostrano che la causa palestinese è la causa del mondo arabo, indipendentemente da qualsiasi altra questione.

Gli Accordi di Abramo?

Lo scopo degli israeliani era di bypassare i palestinesi. Si sbagliavano. Era ovvio che le loro relazioni con i Paesi arabi non potessero essere normalizzate senza tenere conto delle legittime aspirazioni del popolo palestinese, pienamente accolte dall’Iniziativa di Pace Araba, che chiede infatti la fine dell’occupazione e il riconoscimento dello Stato palestinese sui confini del 1967 con capitale Gerusalemme Est. Non potranno mai esserci pace e prosperità nella regione senza risolvere la questione palestinese.

E la Lega Araba?

Come ho detto, la Lega Araba aderisce pienamente alla linea palestinese. In questa occasione ha espresso totale sostegno alla popolazione palestinese sotto le bombe israeliane a Gaza e sotto attacco in Cisgiordania. Lo ha dimostrato la visita di solidarietà di tutti gli ambasciatori arabi alla nostra ambasciata il 19 ottobre.

Cosa farebbe Lei oggi se fosse la Presidente del Consiglio italiano, in riferimento a quanto sta accadendo in Palestina?

Se fossi il Primo Ministro Meloni, innanzitutto condannerei apertamente il genocidio che Israele sta compiendo a Gaza, chiederei con urgenza un cessate il fuoco immediato e spingerei fino in fondo affinché nella Striscia entrino gli aiuti umanitari e tutti i beni di prima necessità per la popolazione. Insieme agli altri Paesi europei, rimetterei la questione palestinese sul tavolo e lavorerei sodo per risolverla dentro una cornice temporale ben definita, come la stessa Premier Meloni ha detto. A questo scopo, mi atterrei finalmente alle risoluzioni ONU che l’Italia stessa ha votato, obbligando Israele a porre fine all’occupazione illegale e a pagare per le sue violazioni criminali e riconoscerei lo Stato di Palestina sui confini del 1967 con capitale Gerusalemme Est, in linea con il diritto internazionale e le risoluzioni delle Nazioni Unite.

Pensa che a conclusione di questo confronto militare, che sembra estendersi, in prospettiva il popolo palestinese debba andare a elezioni?  In che altro modo si può gestire a livello politico lo Stato di Palestina?

Il popolo palestinese è pronto e desideroso di andare alle elezioni già da molto tempo. L’unica ragione per cui ciò non è ancora avvenuto è il divieto da parte di Israele di tenere le nostre elezioni anche a Gerusalemme Est, la nostra capitale legittima che Israele occupa illegalmente.

La questione dei confini?

Gaza è una prigione a cielo aperto, sotto assedio da 17 anni. Lo era prima del 7 ottobre, senza che il mondo facesse nulla per liberarla e per far sì che dai suoi confini potessero entrare il cibo, le medicine, l’acqua e tutto ciò di cui la popolazione ha bisogno. Quello che vediamo in questi giorni è l’acuirsi all’ennesima potenza di una situazione drammatica – dettata dal blocco e dall’occupazione – che va avanti da molto tempo. Anche la Cisgiordania è circondata da Israele, che inoltre penetra all’interno dei suoi confini con 800.000 coloni, con il Muro dell’Apartheid e con estese zone militari, compresi i numerosi posti di blocco che rendono la vita dei palestinesi impossibile.

Come farà Israele a uscire incolume dal pantano di Gaza?

Israele dovrà pagare per i suoi crimini. La Corte Penale Internazionale e le altre organizzazioni internazionali preposte devono fare in modo che le indagini condotte sin qui abbiano delle conseguenze pratiche e che le violazioni del diritto a cui stiamo assistendo in questi giorni non restino impunite come tutti gli altri crimini commessi da Israele.

Vuole rispondere al suo corrispettivo, l’ambasciatore israeliano a Roma, quando a Mediaset ha dichiarato: “Vorrei dire che noi in Israele, almeno la popolazione, non siamo interessati a questi discorsi razionali, riferiti ai palestinesi, che ho sentito anche qua. Per noi c’è uno scopo: distruggere Gaza, distruggere questo male assoluto…”

Come donna, come essere umano e come ambasciatrice, posso dire che questo non è accettabile, ma è purtroppo il vero volto della leadership israeliana.

 

 

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