Il tempo a nostra disposizione non è molto. Il Servizio Sanitario sta per crollare definitivamente ed in alcune zone d’Italia è già praticamente scomparso.

Difendere la Costituzione in questo momento vuol dire soprattutto rivendicare il diritto alla salute come valore universale, oltre che ovviamente il reddito e il lavoro; per questa ragione molte delle associazioni che si occupano di sanità hanno aderito alla manifestazione “La via maestra. Insieme per la Costituzione” il prossimo 7 ottobre a Roma.

La punta avanzata del business sulla sanità è la Lombardia dove dal 1996, con l’insediamento di Formigoni, si è sviluppata una selvaggia occupazione di spazi da parte della sanità privata che ha invaso completamente il SSN fino ad arrivare alla più recente legge, approvata durante la pandemia, che ha inserito l’ “equivalenza”, nel Servizio Sanitario Regionale tra strutture pubbliche e private accreditate.

La punta avanzata del business sulla sanità è la Lombardia dove dal 1996, con l’insediamento di Formigoni, si è sviluppata una selvaggia occupazione di spazi da parte della sanità privata che ha invaso completamente il SSN fino ad arrivare alla più recente legge, approvata durante la pandemia, che ha inserito l’ “equivalenza”, nel Servizio Sanitario Regionale tra strutture pubbliche e private accreditate.

Questa aberrazione costituzionale ha spinto moltissime realtà, Medicina Democratica, Arci, Acli, Cgil e tutti i partiti d’opposizione a costruire un comitato referendario per abrogare tre punti, tra i più rappresentativi della logica neoliberista presente nella legge.

Il primo, attraverso la cancellazione dell’equivalenza tra pubblico e privato, ha l’obiettivo di ribadire che spetta al pubblico: recensire i bisogni e stabilire le priorità elaborando un vero piano sanitario regionale (del quale non c’è traccia);  individuare quali sono le reali necessità di collaborazione con il privato, definirne le regole e verificarne l’attività, sanzionandolo quando gli accordi non sono rispettati.

Il secondo quesito vuole limitare la possibilità per le ATS (che insieme alle ASST sono le articolazioni lombarde delle ASL) di accreditare qualunque struttura privata ne faccia richiesta, in modo tale che tali decisioni siano assunte centralmente dalla regione alla luce di quanto emerso dal Piano Sanitario Regionale, superando l’attuale bazar.

Il terzo ha l’obiettivo di limitare da parte delle ASST l’esternalizzazione dei servizi, iniziando a stabilire che le Case di Comunità non possono essere in mano ai privati.

Secondo quanto previsto dallo Statuto regionale del 2008, una Commissione di Garanzia, indipendente, avrebbe dovuto pronunciarsi sull’ammissibilità giuridica dei quesiti, ma in quindici anni questa Commissione non è mai stata nominata e così, con un enorme conflitto d’interessi e un’incredibile arroganza, la maggioranza di centrodestra ha stabilito, in base ad una valutazione puramente politica, l’inammissibilità del referendum, mostrando di temere il giudizio dei cittadini sulla gestione della sanità lombarda. Ma il comitato referendario ha reagito sia sul terreno giuridico, preparando il ricorso al Tar, sia indicendo dieci giorni di mobilitazione che si svolgeranno dal 12 ottobre con iniziative in tutte le province e manifestazione conclusiva a Milano sabato 21 ottobre.

In Lombardia nel 2021 alle strutture private sono andati 6,4 mld (erano 5,7 nel 2012) pari ad un trasferimento dalla casse pubbliche a quelle private di circa 640 euro per persona all’anno, per una somma totale equivalente a quasi il 30% della spesa pubblica sanitaria regionale. Non è un caso isolato. In Lazio i miliardi trasferiti ai privati sono 3,8 (il 22% in più rispetto al 2012) anche in questo caso attorno al 30% del totale. Oltretutto, è ormai documentato da molti studi che la privatizzazione della sanità non produce di per sé efficienza e tantomeno un risparmio economico.

Al di là dei numeri lo possono testimoniare i tantissimi cittadini che, quando si rivolgono per fissare una visita a strutture private accreditate, quindi sostenute da fondi pubblici, si sentono rispondere che devono aspettare anche 1.300 giorni per una colecistectomia, per fare un solo esempio. Ovviamente, se invece vai privatamente quelle stesse strutture ti visitano in 48 ore.

Le iniziative di Roma e di Milano (7 e 21 ottobre) sono importanti, ma quello che oggi sarebbe necessario è che ogni cittadino si metta in gioco nel proprio quartiere: per difendere un ospedale che vogliono chiudere; per rivendicare servizi territoriali funzionanti; per controllare che l’apertura di una Casa di Comunità non sia la semplice apposizione di una nuova targa su un vecchio ambulatorio; per evitare che l’amianto e i Pfas producano altre morti e sofferenze.

La salute è di tutti e per tutti e nessuno può pensare di delegare ad altri la difesa del suo benessere psico-fisico.

Il Fatto Quotidiano, 30 settembre 2023

Ripubblicazione autorizzata dall’autore.

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