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Preparare l’Europa ai cambiamenti climatici. Una nuova realtà: più calda, più secca, più la umida che richiede una preparazione sociale. La piattaforma europea Climate-ADAPT per l’adattamento ai cambiamenti climatici offre oltre 100 casi di studio per pianificare gli interventi

Dagli incendi alle inondazioni disastrose in tutta l’Europa meridionale, l’estate del 2023 sarà ricordata da condizioni meteorologiche estreme. Quanto siamo preparati a tali eventi e al loro impatto? Le incessanti ondate di caldo che colpiscono milioni di europei in tutto il continente, gli incendi e le inondazioni improvvise che colpiscono molte comunità richiedono azioni ancora più ambiziose per preparare una nuova realtà accelerando al tempo stesso la transizione verso la sostenibilità. Quest’estate è stata l’ estate più calda mai registrata a livello globale e la quinta più calda per l’Europa. Quest’anno gli incendi nell’Ue hanno bruciato oltre 468.000 ettari , molti dei quali hanno colpito destinazioni turistiche nel sud e colpito l’economia locale. Dopo lunghi periodi di caldo intenso e siccità. intere comunità e i loro mezzi di sussistenza sono stati duramente colpiti nel giro di poche ore a Rodi e Corfù. Anche la natura è stata colpita. Oltre il 40% dell’area bruciata quest’anno era costituita da aree Natura 2000, con un impatto sugli habitat e sulle specie dipendenti da questi ecosistemi. Le ondate di caldo hanno coinciso con piogge torrenziali e inondazioni improvvise in Bulgaria, Grecia, Slovenia e Turchia, provocando perdite di vite umane e ingenti perdite economiche. Negli ultimi 42 anni, le perdite economiche e i danni causati da condizioni meteorologiche e climatiche estreme sono ammontati complessivamente ad almeno 560 miliardi di euro, con perdite annuali superiori a 50 miliardi di euro nel 2021 e nel 2022. Nel 2023 possiamo aspettarci stime di perdite simili. Anno dopo anno, siamo sorpresi dalla crescente gravità di questi eventi e rattristati dall’entità delle perdite che causano. Ma questi eventi meteorologici estremi non dovrebbero più coglierci di sorpresa. Sfortunatamente, stiamo vivendo uno scenario climatico dal quale gli scienziati ci mettono in guardia da decenni.

comunicato integrale su greenreport 

 

“Decreto Sud”, ennesima raffica repressiva: i CPR non si chiudono, anzi si moltiplicano

Il Consiglio dei ministri ha inasprito le già disumane leggi italiane in materia di immigrazione: si parla infatti di nuovi CPR (Centri di permanenza per il rimpatrio) uno per Regione e di prolungamenti dei tempi di trattenimento (detenzione) che si svilupperanno in “limite massimo di trattenimento dei richiedenti asilo entrati illegalmente che resterà di 12 mesi effettivi mentre quello delle persone presenti irregolarmente in Italia passerà dagli attuali 3 mesi ai 6 estendibili fino a 18”. Quei luoghi, che sono la negazione di ogni tipo di diritto ed all’interno dei quali non si contano più i tentativi di suicidio e gli atti di autolesionismo vanno chiusi, non ampliati. Ancora una volta quindi si criminalizzano delle Persone che non hanno commesso reati ma che a detta del governo “sono illegali” facendo capo alla vergognosa legge “Bossi-Fini” del 2002 ed alla legge n. 94 del 2009, che, nel Testo Unico delle norme sugli stranieri extracomunitari, introduce il cosiddetto “reato di clandestinità”, il tutto mentre si continuano a stringere memorandum con “stati – non stati” come Libia e Tunisia al solo scopo di esternalizzare le frontiere finanziando luoghi di detenzione e guardie costiere più simili a bande che nel Mediterraneo mettono in atto delle vere e proprie cacce all’uomo.

comunicato su ecoinformazioni

 

Smantellare la fortezza-Europa e la sua deriva autoritaria. Il Forum per Cambiare l’Ordine delle Cose propone una roadmap dal basso per un Patto su Migrazioni e Asilo

L’ ECRE (Consiglio europeo per i rifugiati e gli esuli) ha pubblicato alla fine dell’estate un  rapporto in cui formula una serie di raccomandazioni ai due co-legislatori dell’Unione Europea, il Parlamento e il Consiglio, in vista della fase finale dei negoziati che si stanno svolgendo sul Patto europeo Migrazioni e Asilo. Più nello specifico, rispetto al nuovo regolamento procedure, ECRE ritiene che debba essere introdotta la proposta avanzata dal Parlamento, cioè l’obbligo per l’autorità di un paese di registrare la domanda e di fornire al richiedente informazioni su dove e come presentarla. Rispetto allo stato di primo ingresso (ex regolamento Dublino) dovrebbero poter permanere le condizioni che consentono ai richiedenti, in alcune circostanze, le condizioni di accoglienza, anche se presenti, in via temporanea, in uno Stato membro diverso da quello competente per la loro richiesta. ECRE chiede di vietare la proposta avanzata dalla Commissione, e anche dal Consiglio, sullo screening, ritenendo che tali procedure possano incoraggiare attività di polizia discriminatorie. Anche il Forum chiede di fermare questa deriva autoritaria che in tutta Europa sta mettendo a rischio la tutela dei diritti umani e di cittadinanza attraverso il Patto Europeo per le Migrazioni. Ed è per questo che, al fine di smantellare l’Europa Fortezza, un continente fatto di procedure di frontiera per i richiedenti asilo e di un sistema di accoglienza che diviene strumento di sorveglianza e di controllo, stiamo costruendo una Roadmap per ragionare ed approfondire insieme, dal basso con momenti pubblici cittadini, le politiche europee che fondano il Patto Per Le Migrazioni e l’Asilo e promuovere una visione comune e una narrazione alternativa. Vogliamo rendere evidente la strategia profondamente sbagliata che da anni sta muovendo anche la politica europea e che si fonda sull’inasprimento delle azioni di chiusura e di aumento dei muri, fisici ed elettronici, e di nuovi e più violenti respingimenti. Se approvati questi testi produrranno crisi periodiche che renderanno l’Europa una cupa fortezza che sta minando stato di diritto e del livello di democrazia interna. Per maggiori informazioni scrivi a: info@cambiarelordinedellecose.eu

abstract nota “Forum per Cambiare l’Ordine delle Cose”

 

I migranti e gli isolani: dalla cronache di un’attivista sulla settimana di sbarchi a Lampedusa

Gli sbarchi continuano giorno dopo giorno. Stremati dal viaggio e affamati, i profughi non hanno alcuna idea di dove andare. Qualcuno chiede indicazioni per Palermo, non sanno di essere su un’isola. Sono in mare da quattro giorni. I mediatori presenti fanno quello che possono, riescono a dare risposte a una piccolissima parte della folla, il cibo è poco e la distribuzione è lenta. Il sistema di trasferimento veloce via bus è totalmente insufficiente, nonostante un aumento degli sbarchi fosse ampiamente prevedibile non sono state prese misure adeguate. Tra i nuovi arrivati, chi può scappa dall’hotspot, in tanti bussano alle porte degli isolani in cerca di cibo, le persone aprono le loro case e qualcuno organizza una spaghettata. Gli abitanti di Lampedusa mettono frettolosamente insieme vestiti, giocattoli, cibo, cercano di supportare i profughi. Ognuno fa quel che può: i volontari delle associazioni danno manforte agli operatori della Croce Rossa, i ristoratori danno fondo alle riserve alimentari, gli isolani tentano di comunicare in lingue sconosciute e persino qualcuno tra i turisti prova a rendersi utile comprando e portando in giro vettovaglie. La strada è piena di ragazzi che corrono senza meta, cercando di sfuggire ai controlli e all’idea che qualcuno gli dica cosa fare senza avere a sua volta alcun programma di gestione della situazione. Quando i poliziotti e i finanzieri intercettano i giovani in fuga li fanno sedere per terra per controllarli. Anche i bambini sono tanti, le madri sono giovanissime, è a loro che il sistema di supporto allo sbarco dà la priorità. Arriva il via libera perché alcune persone lascino l’isola. Sono appena settecento. L’animo dei lampedusani sembra contrastato. Vivono di turismo, sono preoccupati perché alle strutture ricettive cominciano ad arrivare disdette, è un colpo duro per chi lavora solo pochi mesi l’anno. Dagli occhi di alcuni tra loro si percepisce quasi un senso di colpa, davanti a una sofferenza che non è paragonabile a nulla, ma allo stesso tempo denunciano solitudine e stanchezza. (claudia gallinaro)

versione articolo Napolimonitor

 

Presentata la position paper dell’Alleanza contro la povertà: “Urgente riaprire il dibattito per la reintroduzione di una misura universale di reddito”. Si stima che con i nuovi strumenti sostitutivi, Assegno di Inclusione e Supporto per Formazione e Lavoro, la platea dei beneficiari del vecchio RdC si dimezzerà del 50%

Indispensabile e pregiudiziale è per noi – precisa l’Alleanza nella sua position paper,  presentata giovedì scorso al Senato – un ritorno ad una misura universalistica e non categoriale. Una serie di ragioni sostengono questa posizione, che sembrava quasi incardinata nel nostro ordinamento già dal 2018, con l’introduzione del Reddito di inclusione e con le successive misure fino al Reddito di cittadinanza. Quel principio è una delle ragioni fondative dell’Alleanza contro la povertà, che già nella proposta originaria sostenne l’introduzione nell’ordinamento di una misura diretta alla povertà che fosse connotata dal vincolo universalistico. La spinta di quella intuizione raccolta all’epoca dal legislatore ci aiutò a liberarci dal triste primato, che condividevamo con la Grecia, di essere gli unici due Paesi europei a non avere un reddito minimo. Quindi quel vincolo aveva allora e ha oggi, per noi, un suo valore specifico. Da ciò che ci suggerisce la nostra esperienza, vivere in una condizione di disagio sociale, quanto non di povertà, prescinde dall’età, dal luogo dove si vive o dalle origini etniche: banalmente chi è povero, è semplicemente povero. La fragilità sociale, per quanto viva nelle persone, è oggettiva. E i motivi per i quali ci si trova in una situazione di soggezione e disagio, prevalentemente non dipendono dalla volontà di chi in quella situazione si è trovato: forse solo un anno e mezzo prima lavorava e aveva una vita dignitosa; oppure lavora e ha una famiglia e due figli da far crescere (working poor), o è un lavoratore sottopagato; o, ancora, ha dei figli maggiorenni da mandare all’università, o forse in questa condizione si è trovato a seguito del fallimento della sua impresa artigiana o commerciale, o per condizioni che non hanno direttamente a che fare con il lavoro o per una situazione non riconducibile alla solo assenza di occupazione, come un problema sanitario o anche la crescita del costo della vita. Perché – lo ricordiamo – l’inflazione colpisce soprattutto i più economicamente fragili o, come in questi mesi, la variazione delle rate di mutuo, che ha un forte impatto sulla condizione di famiglie e singoli.  A volte basta davvero poco per scivolare nella solitudine drammatica di chi non ce la fa. In altre parole, chi vive in povertà non può essere considerato colpevole della propria condizione”.

versione articolo Redattore Sociale

 

Teatro greco Siracusa, un bene da tutelare o da consumare? Politecnico di Torino e le Università di Trieste e Palermo studieranno lo stato di salute del monumento e i protocolli per la salvaguardia

Un contesto unico, estremamente suggestivo e carico di storia, il teatro greco di Siracusa, il monumento più famoso della città, costituisce da oltre un secolo lo scenario in cui vengono realizzate le rappresentazioni classiche, che attirano anche turisti stranieri di ogni parte del mondo. Eppure il teatro soffre da anni una situazione dicrescente degrado, nei confronti della quale bisognerebbe intervenire per evitare che il danno cresca in maniera esponenziale. Lo sanno bene gli esperti, non solo locali, lo sanno gli archeologi della Soprintendenza, a cui spetta il ruolo di tutela, e il personale del Parco archeologico, diretto attualmente da Carmelo Bennardo, a cui compete il controllo della fruizione del monumento. In concreto, poco e nulla si è fatto per avviare una stagione di interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, o di restauro e consolidamento. Di recente, qualcosa sembra si stia muovendo. Soprattutto da quando il teatro greco è diventato anche una location prestigiosa e unica per spettacoli di tipo diverso da quelli classici, concerti musicali di noti e acclamati cantanti pop e rock. Eventi che hanno richiamato un pubblico molto numeroso ma hanno esposto il monumento a rischi ulteriori, legati ai numeri alti di afflusso e probabilmente anche alle emissioni sonore particolarmente elevate. Un grido di allarme è stato lanciato da vari archeologi, ma anche dalla Consulta universitaria per l’archeologia del mondo classico e dalla Fédération internationale des associations d’etudes classiques, che hanno rivolto un appello al Governo nazionale, alla presidenza della Regione ed al sindaco di Siracusa. Nel frattempo tre università sono state coinvolte per studiare lo stato di salute del monumento e gli interventi per salvaguardarlo. Hanno ricevuto incarichi il Politecnico di Torino, l’Università di Trieste e sta per riceverlo l’Università di Palermo. Ognuno di questi Atenei, con i loro specialisti, si occuperà di uno degli aspetti del deterioramento del bene. Per la prima volta pare che si voglia fare sul serio. Ci auguriamo che sia davvero così e che non accada che, a spettacoli conclusi, la questione venga accantonata.

per maggiori informazioni si rinvia su ARGO Catania

 

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