Sulla raccolta firme per due quesiti referendari “contro la guerra”. Il parere del Movimento Nonviolento.

Viene presentato come un Referendum pacifista contro le armi all’Ucraina; molti non sanno chi l’abbia proposto, cosa chiedono i quesiti, quando si voterà e quali saranno le conseguenze. Cerchiamo di fare chiarezza e argomentare la nostra posizione.

È iniziata la raccolta firme per due quesiti referendari relativi all’export di armamenti (volti a modificare il primo la legge di proroga dell’invio di armi in Ucraina e il secondo la legge 185/90 sull’export di armamenti) su cui ci esprimiamo nel metodo e nel merito con questo documento, per rispondere a chi chiede il nostro parere.

I due quesiti referendari sono promossi da due diversi Comitati, “Generazioni future” (primo quesito) e “Ripudia la guerra” (secondo quesito), e si coordinano per la raccolta firme con la campagna referendaria “L’Italia per la pace”.

La raccolta firme durerà tre mesi, dal 22 aprile al 22 luglio 2023, e dovrà raggiungere 500mila firme valide da presentare alla Corte di Cassazione. La decisione finale della Corte Costituzionale sull’ammissibilità arriverà entro fine 2023, per poi votare, se i quesiti e la validità delle firme troveranno semaforo verde, fra il 15 aprile e il 15 giugno 2024.

Siamo venuti a sapere di tale iniziativa a cose fatte, senza essere coinvolti nel dibattito preparatorio, né consultati sull’opportunità o meno di fare ricorso all’istituto referendario per tale materia e nella valutazione e scelta dei quesiti specifici.

Il Movimento Nonviolento fa parte della Rete Italiana Pace e Disarmo (RiPD), network di coordinamento delle maggiori organizzazioni impegnate sui temi oggetto dei quesiti referendari, che promuove in continuità campagne per il disarmo e il controllo degli armamenti, con la quale non c’è stato confronto nè condivisione sull’opportunità del lancio di questa campagna referendaria, che avrebbe potuto evidenziarne gli elementi di debolezza.

Per questo esprimiamo solo a posteriori dubbi e perplessità che forse (se richiesti prima) avrebbero potuto portare a scelte diverse.

Per i motivi che esponiamo qui sotto riteniamo di non attivarci nella raccolta firme.

Come Movimento Nonviolento siamo già fortemente impegnati – al limite delle nostre energie e risorse – contro la guerra e per la pace in Ucraina fin dal giorno dell’invasione russa (e anche ben prima, dal 2014 contro la vendita di armi alla Russia, contro l’espansione della Nato e per i processi di disarmo e democratizzazione in Europa e ai suoi confini).

Impegnati come siamo nella Campagna “Un’altra difesa è possibile” per l’istituzione del Dipartimento della Difesa civile non armata e nonviolenta tramite Legge di iniziativa popolare, e nella Campagna di “Obiezione alla guerra”, per il sostegno agli obiettori di coscienza, disertori e renitenti alla leva russi, bielorussi e ucraini, fosse dipeso da noi non avremmo certamente aggiunto l’impegno gravosissimo di una raccolta firme per dei referendum che non avranno, comunque vada, impatto sul conflitto in corso.

Di fronte alla necessità di unire gli sforzi del mondo per la pace, il disarmo, la nonviolenza, non ci pare opportuno lanciare a freddo, senza un approfondito dibattito preventivo, una ulteriore campagna (che se presa sul serio sarebbe totalizzante) che richiede organizzazione, sforzi e ingenti risorse che francamente non abbiamo e che non ci pare di vedere in campo.

Nel merito le proposte referendarie ci appaiono deboli per due ragioni:

– a proposito del quesito relativo all’abrogazione dell’Art. 1 del Dl 2 dicembre 2022 n. 185, convertito in legge n. 8 del 27 gennaio 2023, che proroga al 31 dicembre 2023 l’autorizzazione parlamentare all’invio di armi in Ucraina, ci sembra evidente che i tempi referendari – seppure tutto l’iter andasse in porto positivamente – non siano compatibili con i tempi tecnici per intervenire su una proroga che scade fra otto mesi;

– per quanto riguarda il quesito relativo all’abrogazione dell’art. 1, comma 6, lettera a), legge 09 luglio 1990, n. 185,  relativamente alle parole  “o le diverse deliberazioni del Consiglio dei Ministri, da adottare previo parere delle Camere”, in riferimento all’invio di armi all’Ucraina, è privo di efficacia in quanto la Legge 185/90 si applica all’export di armamenti effettuato dalle aziende produttrici di armi: togliere quindi direttamente nella legge 185/90 il punto sulle deliberazioni di Governo/Camere non ha alcuna influenza sulla cessione di armi verso l’Ucraina. Il passaggio parlamentare, in questo caso, è politico e non tecnico.

Per queste ragioni, di metodo e di merito, il Movimento Nonviolento non aderisce al comitato referendario e non collaborerà alla raccolta di firme né sul piano nazionale né su quello territoriale, non potendoci permettere di disperdere le nostre energie già impegnate in campagne che riteniamo di primaria importanza politica.

Il rischio di non riuscire a raccogliere le 500mila firme valide necessarie è tecnicamente elevato, e l’insuccesso andrebbe comunque a pesare sull’intero movimento pacifista, che verrebbe additato come debole e disorganizzato, e il tema pace/guerra liquidato come non popolare.

Se invece le firme saranno comunque raccolte, i due quesiti, così come formulati, hanno un’alta possibilità di essere bocciati dalla Corte, che può dichiararli inammissibili. In questo caso i proponenti potranno protestare, denunciando furti di democrazia, complotti o manovre politiche contro il pacifismo, ma alla fine ci sarà un nulla di fatto, con grande dispendio di energie.

Se invece la Corte approverà i quesiti e si arriverà a celebrare il Referendum nel 2024, a quel punto ovviamente parteciperemo alla campagna e al dibattito politico che ne scaturirà. Ma fin d’ora possiamo dire che a noi non pare che il “pacifismo giuridico” possa essere introdotto per via referendaria. Il ripudio costituzionale della guerra c’è già, e non viene rispettato dalla politica: non saranno due limitatissimi quesiti referendari, facilmente aggirabili, a ripristinarlo. Inoltre, fatto ancora più grave, se i Referendum andassero disertati, e non raggiungessero il quorum (rischio molto concreto), o peggio fossero bocciati nelle urne, allora le conseguenze politiche sarebbero disastrose: il pacifismo in toto sarebbe accusato di essere ininfluente, minoritario, residuale.

Detto tutto questo, aggiungiamo però che: il Referendum, previsto dall’articolo 75 della Costituzione italiana, è un elemento fondamentale della nostra democrazia: l’intero corpo elettorale viene chiamato ad abrogare una Legge, o una sua parte, per correggere l’azione del Parlamento ritenuta errata: il popolo come controparte del legislatore che egli stesso ha eletto; si capisce quindi la delicatezza e la straordinarietà di tale istituto, che tuttavia va preservato come espressione di volontà partecipativa diretta da parte del singolo cittadino. Per questo riteniamo inaccettabile che dopo l’approvazione del decreto attuativo relativo al funzionamento della piattaforma di raccolta elettronica delle sottoscrizioni per i referendum e i progetti di legge di iniziativa popolare, tale modalità non sia ancora operativa con la piattaforma istituzionale e gratuita, ma ci si debba rivolgere a piattaforme implementate da società private a pagamento. Per questo chiediamo al Governo che venga garantito il diritto alla piena partecipazione civica attivando senza ulteriori ritardi la piattaforma pubblica.

A fronte delle critiche e perplessità che abbiamo illustrato, esprimiamo pieno rispetto per tutti coloro che si impegneranno nel referendum, per chi firmerà e voterà, riconoscendone la formale legittimità e il diritto, pur nel dissenso politico e nella differente valutazione di opportunità.

 

 

Documento approvato il 16 aprile 2022 dal Direttivo e dal Comitato di coordinamento nazionale

L’articolo originale può essere letto qui