1. Sul processo Salvini a Palermo, videoregistrato da Radio Radicale, si è allungata l’ombra delle vittime della strage di Cutro. In aula sono risuonate le stesse tesi che distinguono gli interventi di soccorso (SAR) dagli interventi di sorveglianza delle frontiere e di contrasto dell’immigrazione irregolare (law enforcement) che si sono ripetute per affermare che il caicco proveniente dalla Turchia si avvicinava alle coste italiane “in buone condizioni di navigabilità“. E “in buone condizioni di navigabilità” sarebbe stato il barchino (o barcone) di dieci metri con 55 persone a bordo soccorso da Open Arms il primo agosto del 2019. Ma non basta questa rilevazione per escludere una situazione di distress ( pericolo grave ed immediato) che impone un tempestivo intervento di soccorso, e che imporrebbe pure l’assunzione del coordinamento da parte della prima autorità statale che ne abbia notizia ed abbia i mezzi per intervenire e salvare vite umane, in modo da sbarcare i naufraghi in un porto sicuro (Place of safety- P.O.S.).

Gli obblighi di intervento immediato in caso  di distress (pericolo immediato per i naufraghi), stabiliti dalle Convenzioni internazionali non cambiano a seconda della zona SAR nella quale avvengono i salvataggi o della natura della nave soccorritrice, del tipo di attività o di percorso che ha intrapreso o della attività che sta operando, perché prevale il principio della salvaguardia della vita umana in mare che non ammette discriminazioni a seconda della ubicazione in mare, della tipologia del mezzo che effettua il soccorso, o dello status dei naufraghi che si trovano all’interno del mare territoriale o in acque internazionali. La ripartizione del mare in zone SAR (Search and rescue) di competenza di singoli Stati, sempre in base alle stesse Convenzioni di diritto del mare e dei relativi emendamenti, non modifica i criteri di valutazione di una situazione di distress a seconda dell’ubicazione dell’imbarcazione da soccorrere, o delle circostanze dell’intervento di soccorso, se interviene un mezzo militare in attività di contrasto dell’immigrazione irregolare (law enforcement).

Le zone SAR notificate dagli Stati all’IMO (Organizzazione marittima internazionale) sono zone di competenza non esclusiva per garantire la salvaguardia della vita umana in mare, non sono zone di giurisdizione nazionale o territoriale, nè tantomeno spazi stabiliti per escludere o rallentare attività di soccorso, quando è in gioco il valore superiore della vita umana in mare. Gli accordi bilaterali tra Stati non possono ridurre gli spazi di applicabilità delle norme e dei criteri di valutazione derivanti dalle Convenzioni internazionali e dai Regolamenti europei, semmai sarebbero doverosi accordi di coordinamento tra gli stati costieri, al fine di garantire il soccorso immediato dei naufraghi e lo sbarco in un porto sicuro. Le decisioni in materia di ricerca e soccorso in mare non possono essere condizionate in definitiva dall’esigenza di ridurre o gestire i “flussi migratori” termine che si può applicare nel caso di ingressi con visti legali, ma non nel caso di attività di ricerca e salvataggio in mare. L’esigenza di contrastare l’immigrazione irregolare non deve prevalere sul rispetto della vita umana, del principio di non respingimento, e della dignità della persona.

Il Protocollo addizionale alla Convenzione di Palermo contro il crimine transnazionale stabilisce infatti all’art.16 che “Nell’applicazione del presente Protocollo, ogni Stato Parte prende, compatibimente con i suoi obblighi derivanti dal diritto internazionale, misure adeguate, comprese quelle di carattere legislativo se necessario, per preservare e tutelare i
diritti delle persone che sono state oggetto delle condotte di cui all’articolo 6 del presente Protocollo, come riconosciuti ai sensi del diritto internazionale applicabile, in particolare il diritto alla vita e il diritto a non essere sottoposto a tortura o altri trattamenti o pene inumani o degradanti”. L’art. 19 dello stesso Protocolli stabilisce poi che: “Clausola di salvaguardia
(1) Nessuna disposizione del presente Protocollo pregiudica diritti, obblighi e
responsabilità degli Stati e individui ai sensi del diritto internazionale, compreso il
diritto internazionale umanitario e il diritto internazionale dei diritti dell’uomo e, in
particolare, laddove applicabile, la Convenzione del 1951 e il Protocollo del 1967
relativi allo Status di Rifugiati e il principio di non allontanamento.

(2) Le misure di cui al presente Protocollo sono interpretate ed applicate in modo
non discriminatorio alle persone sulla base del fatto che sono oggetto delle condotte
di cui all’articolo 6 del presente Protocollo. L’interpretazione e l’applicazione di tali
misure è coerente con i principi internazionalmente riconosciuti della non discriminazione.

 

2. Secondo gli ammiragli consulenti della difesa di Salvini, il “REGOLAMENTO (UE) N. 656/2014 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 15 maggio 2014 recante norme per la sorveglianza delle frontiere marittime esterne, che dichiarano di non prendere in considerazione, non sarebbe vincolante per le autorità degli Stati membri al di fuori delle acque territoriali e delle zone SAR dei paesi dell’Unione Europea. Inoltre, secondo gli stessi ammiragli, protagonisti dell’udienza del processo Salvini a Palermo, nel caso della ricorrenza degli indici di distress (pericolo grave ed immediato) indicati dal Regolamento, che è direttamente vincolante per tutti gli Stati membri, sarebbe sufficiente un attività di “assistenza” e non invece un intervento di soccorso e l’assunzione del coordinamento da parte dell’autorità SAR comunque informata, in assenza del coordinamento dell’autorità SAR competente, in quanto responsabile di una determinata area. La linea di attacco contro Open Arms inventata dalla difesa di Salvini per sviare l’attenzione dei giudici dalle responsabilità dell’ex ministro dell’interno, frana su un cumulo di omissioni e di travisamento delle norme applicabili.

Secondo gli articoli 10 e 117 della Costituzione, le Convenzioni internazionali ratificate dall’Italia, come le Convenzioni di Diritto marittimo e la Convenzione di Ginevra sui rifugiati sono vincolanti per le autorità italiane, lo ribadisce la sentenza della Corte di Cassazione n.6626 del 2020 sul caso di Carola Rakete. In base all’ordinamento dell’Unione Europea i Regolamenti europei sono direttamente vincolanti per le autorità italiane e prevalgono pure sulle norme di legge interne, con la possibilità in caso di contrasto, di un intervento della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Appare pacifico come il Regolamento europeo n.656 del 2014 non disciplini soltanto le attività delle unità Frontex e sia applicabile anche al di fuori delle frontiere esterne dell’Unione Europea. In questo senso, oltre alla sua espressa formulazione, i richiami che si fanno ai Regolamenti Frontex come il n.1624 del 2016, adesso abrogato, ma che richiamava il Regolamento n.656 del 2014, in recenti provvedimenti adottati dalle autorità italiane proprio per regolamentare le attività delle ONG al di fuori della zona SAR italiana.

Come si può verificare da ultimo nei decreti interministeriali a firma del ministro dell’interno Piantedosi, adottati nei confronti dei comandanti delle navi delle Geo Barents e Humanity One a novembre dello scorso anno, per impedire lo sbarco del “carico residuo” dei naufraghi nel porto di Catania. Decreti che il Tribunale di Catania ha peraltro dichiarato illegittimi, affermando la piena legittimità delle attività di ricerca e salvataggio poste in essere dalle navi della società civile nella cosiddetta zona SAR “libica”e dunque il diritto allo sbarco in un porto sicuro italiano. Una zona SAR che ancora oggi, malgrado il riconoscimento da parte dell’IMO nel 2018, non presenta i requisiti richiesti dalle Convenzioni internazionali, come la presenza di porti di sbarco sicuri ed un coordinamento unificato su scala nazionale ( che in Libia non esiste ancora) dei soccorsi (Maritime Rescue Coorination Center- MRCC). Ed anche questo è emerso nel corso dell’udienza del processo Salvini, svolta a Palermo il 24 marzo, quando sono stati sentiti i consulenti delle parti civili, gli Ammiragli Alessandro e Gallinelli.

Il Regolamento Frontex n.656 del 2014 detta regole vincolanti per i casi in cui durante una operazione di contrasto dell’immigrazione irregolare (law enforcement) si verifica una situazione di pericolo per le persone imbarcate su un mezzo privo di bandiera in navigazione nell’alto mare. Sono regole che fissano le responsabilità delle autorità nazionali dei paesi ospitanti le missioni Frontex, ma che si impongono a qualsiasi comandante di una nave che avvisti persone in situazione di pericolo in alto mare, sia nello svolgimento delle attività di intercettazione e monitoraggio, che nelle operazioni di ricerca e salvataggio. Regole che non possono essere ignorate dagli agenti istituzionali, dai vertici politici, dalla magistratura. Regole sui soccorsi in acque internazionali che in diversi procedimenti contro le ONG sono state chiarite ed hanno imposto l’archiviazione dei procedimenti a loro carico. Con l’archiviazione di quelle stesse accuse, basate su una presunta collaborazione con scafisti e trafficanti, che la difesa di Salvini ha rilanciato ancora una volta nell’udienza di venerdì 24 marzo nel processo “Open Arms” (perché scaturito proprio da una denuncia della ONG, come qualcuno dimentica) nei confronti di Matteo Salvini.

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