Proprio quando il decreto sulle Ong del governo Meloni sbarca alla Camera per l’iter di conversione, arriva sul tavolo del ministro dell’Interno Piantedosi una lettera della Commissaria per i Diritti umani del Consiglio d’Europa, Dunja Mijatovic, che boccia il provvedimento e ne sollecita il ritiro.

“Il governo italiano deve considerare la possibilità di ritirare il decreto legge” o quanto meno di rivederlo “per assicurare che il testo sia pienamente conforme agli obblighi del Paese in materia di diritti umani e di diritto internazionale”, scrive Mijatovic nella nota inviata al governo italiano, esprimendo forti preoccupazioni sul decreto legge 1/2023, laddove prevede che le navi debbano raggiungere senza ritardo il porto assegnato per lo sbarco. La Commissaria ritiene che “come già accaduto (ciò) impedisca alle Ong di effettuare salvataggi multipli in mare, costringendole a ignorare altre richieste di soccorso nell’area se hanno già delle persone a bordo”. Sempre Mijatovic ha evidenziato che “rispettando questa disposizione, i comandanti delle Ong verrebbero di fatto meno ai loro obblighi di salvataggio sanciti dal diritto internazionale”.

Si tratta di preoccupazioni assolutamente fondate perché la Convenzione ONU sul diritto del mare (UNCLOS) del 1982 all’articolo 98 paragrafo 1, dispone: «Ogni Stato deve esigere che il comandante di una nave che batte la sua bandiera, nella misura in cui gli sia possibile adempiere senza mettere a repentaglio la nave, l’equipaggio o i passeggeri: a) presti soccorso a chiunque sia trovato in mare in condizioni di pericolo; b) proceda quanto più velocemente possibile al soccorso delle persone in pericolo, se viene a conoscenza del loro bisogno di aiuto, nella misura in cui ci si può ragionevolmente aspettare da lui tale iniziativa». La normativa internazionale è dunque di chiara lettura: lo Stato deve esigere dal comandante di qualsiasi nave che egli agisca per prestare soccorso.

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Fatta salva l’esigenza di valutare gli eventuali rischi per la sicurezza della nave, non ci può dunque essere alcuna possibile diversa scelta rispetto all’obbligo ineludibile di effettuare anche diversi soccorsi qualora nel corso della propria navigazione la nave intercetti più situazioni di pericolo e altre navi non siano in grado di intervenire. Le autorità italiane non possono ordinare al comandante della nave in pericolo di non effettuare tali soccorsi ed eventuali ordini in tal senso sarebbero illegittimi. Si tratta di norme ribadite anche dall’art. 489 del Codice della navigazione dispone che “il comandante di nave, in corso di viaggio o pronta a partire, che abbia notizia del pericolo corso da una nave o da un aeromobile, è tenuto nelle circostanze e nei limiti predetti ad accorrere per prestare assistenza, quando possa ragionevolmente prevedere un utile risultato, a meno che sia a conoscenza che l’assistenza è portata da altri in condizioni più idonee o simili a quelle in cui egli stesso potrebbe portarla”.

Consapevole che il decreto legge tanto voluto sarebbe morto nelle aule giudiziarie appena dopo essere nato, il Governo non ha infatti contestato nulla all’operato della Geo Barents di MSF che è appena ripartita dal porto di La Spezia dopo avere effettuato più soccorsi durante la sua ultima missione. La propaganda si ferma dove inizia la realtà. La Commissaria Mijatovic sottolinea inoltre che oramai è prassi che alle navi delle Ong vengano assegnati porti di sbarco lontani nel centro e nord Italia, un fatto che “prolunga le sofferenze delle persone salvate in mare e ritarda indebitamente la fornitura di un’assistenza adeguata a soddisfare i loro bisogni primari”. Nella lettera osserva ancora come “l’adozione di questa prassi sia nata dall’intenzione di assicurare una migliore ridistribuzione dei migranti e dei richiedenti asilo sul territorio nazionale. Questo obiettivo potrebbe essere raggiunto sbarcando rapidamente le persone soccorse e assicurandosi che ci siano accordi pratici alternativi per ridistribuirle in altre zone del Paese”.

Nelle parole della Commissaria per i diritti umani non c’è solo un ragionevole buon senso, anche in questo caso si tratta di un preciso richiamo alle norme internazionali. Il Governo italiano non può infatti individuare ed assegnare il porto di sbarco a suo totale arbitrio come si trattasse di un sovrano capriccioso che tormenta alcuni sudditi a lui non graditi con le più bizzarre vessazioni, ma deve agire a tutela delle persone soccorse e, nello stesso tempo, a salvaguardia dell’operato dei soccorritori applicando le Linee Guida sul trattamento delle persone soccorse in mare dell’IMO (International Maritime Organisation) nella Risoluzione 167(78) del 20 maggio 2004 che prevedono che “I governi e l’RCC responsabile devono fare ogni sforzo per ridurre al minimo il tempo in cui i sopravvissuti rimangono a bordo della nave che li assiste” e che a tal fine “una nave non dovrebbe essere soggetta a ritardi ingiustificati, oneri finanziari o altre difficoltà connesse dopo aver assistito persone in mare; pertanto gli Stati costieri dovrebbero sollevare la nave non appena possibile”.

L’eventuale assegnazione di un porto nettamente più lontano da quello/i più prossimi all’area di soccorso può avvenire solo in casi assai rari e particolari e comunque la scelta va sempre motivata, caso per caso, sulla base di ragioni oggettive legate a una situazione contingente e mai può essere una scelta punitiva o dissuasiva, né alcunché ha a che fare con l’organizzazione del sistema di accoglienza. Tra gli emendamenti al decreto legge proposti dall’opposizione c’era la richiesta di inserire in modo esplicito nel testo normativo il rinvio alle citate Linee Guida, ma il Governo ha espresso parere negativo e la sua docile maggioranza l’ha seguito. Una piccola astuzia di misero profilo che nulla cambia nella sostanza rispetto agli obblighi dello Stato che l’attuale Governo cerca così tenacemente di evitare.

Come già ricordato un paio di anni fa dal Relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani dei migranti, la criminalizzazione delle organizzazioni della società civile “ha avuto un effetto profondo sulla sicurezza e sui diritti dei migranti, mettendo a repentaglio i loro diritti alla vita, alla ricerca di asilo, all’informazione e all’assistenza umanitaria, ad altri servizi di base come l’assistenza legale, l’alloggio e l’istruzione, e a godere della protezione da trafficanti di esseri umani e contrabbandieri”. (Rapporto del Relatore speciale sui diritti umani dei migranti, UN Doc. A/HRC/44/42, 13 maggio 2020).

Sono parole chiare e precise che entrano come una lama all’interno del clima avvelenato di criminalizzazione delle Ong che da molti anni (e non solo quindi con l’attuale Governo) caratterizza la vita politica italiana. Una criminalizzazione che è pericolosa non solo per i migranti ma per la vita democratica nel suo complesso, perché quando un Governo attacca in modo così virulento le organizzazioni della società civile che si occupano della tutela dei diritti umani fondamentali vuol dire che qualcosa di seriamente pericoloso sta accadendo.

Gianfranco Schiavone

Il Riformista

Ripubblicazione autorizzata dall’autore.

Articolo originale.